I disturbi dell’umore sono sindromi psicopatologiche caratterizzate da un’alterazione dei meccanismi fisiologici di oscillazione del tono dell’umore che normalmente permettono all’individuo di adeguare le proprie reazioni alle condizioni dell’ambiente che lo circonda.
Nel caso dei disturbi dell’umore le variazioni dello stato d’animo avvengono spesso spontaneamente, sono di eccessiva entità e si accompagnano ad un’ampia gamma di sintomi che portano l’individuo a non essere più in grado di mantenere il suo normale funzionamento quotidiano.
I disturbi dell’umore sono solitamente distinti in disturbi depressivi (“depressione unipolare”) e disturbi bipolari. I primi sono caratterizzati da umore depresso con:
- sentimenti di profonda tristezza, colpa ed apprensione,
- sensazione che nulla abbia più valore,
- tendenza all’isolamento e all’apatia,
- perdita di interesse e di piacere nelle attività quotidiane,
- disturbi del sonno o dell’appetito,
- scarso desiderio sessuale.
Questi sintomi di disturbo dell’umore possono presentarsi come episodi acuti (della durata di almeno due settimane per parlare di disturbo depressivo maggiore) o come lunghi periodi di umore tendenzialmente depresso ma senza che gli altri sintomi depressivi siano particolarmente marcati o numerosi (con una durata di almeno due anni per diagnosticare un disturbo distimico).
Questi disturbi condividono una caratteristica che li distingue dai disturbi bipolari: l’assenza di episodi maniacali, misti o ipomaniacali, sia presenti che passati.
I disturbi dell’umore di tipo bipolare sono invece caratterizzati dall’alternarsi di episodi depressivi a fasi con umore marcatamente euforico o irritabile, associato a:
- aumento del livello di attività in ambito lavorativo, sociale o sessuale,
- loquacità insolita o eloquio rapido,
- impressione soggettiva che i pensieri si succedano velocemente,
- diminuito bisogno di sonno,
- elevata autostima,
- facile distraibilità,
- eccessivo coinvolgimento in attività piacevoli potenzialmente dannose.
Tra i disturbi dell’umore, il disturbo bipolare II si differenzia dal bipolare I per la presenza di sintomi ipomaniacali, quindi meno gravi ed intensi, con una ridotta compromissione sul piano sociale e lavorativo del soggetto. Infine, il disturbo ciclotimico è caratterizzato dalla presenza, per almeno due anni, di una rapida e continua alternanza di sintomi depressivi ed ipomaniacali di moderata intensità.
I disturbi dell’umore costituiscono una patologia ampiamente diffusa tra la popolazione generale e, soprattutto la depressione, un motivo frequente di consultazione del medico di base. Si calcola che il 20% della popolazione nel corso della vita vada incontro ad episodi depressivi o maniacali con un rapporto di 1:3 tra forme bipolari e unipolari. Nei Paesi Occidentali la prevalenza della depressione maggiore risulta essere del 2,2% in un mese e del 5,8% nel corso della vita, con una frequenza circa doppia nelle donne rispetto agli uomini. L’età di esordio varia molto tra i disturbi dell’umore unipolari e bipolari: infatti nei primi l’età tipica di esordio varia tra i 30 ed i 40 anni mentre nelle forme bipolari tra i 15 ed i 30 anni.
L’attenzione rivolta ai disturbi dell’umore da parte del mondo scientifico è giustificata, oltre che dalla loro elevata diffusione, anche dalle gravi complicanze ad essi associate, quali la compromissione della vita sociale, lavorativa ed affettiva, l’abuso di alcol o droghe ed infine il suicidio.
Le ipotesi che tentano di spiegare i fattori che concorrono a generare un disturbo dell’umore si dividono in ipotesi biologiche e psicologiche. Le prime sostengono l’idea che in alcuni soggetti sia presente una particolare vulnerabilità dei sistemi biochimici su base genetica oppure in relazione ad alterazioni neurotrasmettitoriali, in particolare del sistema noradrenergico e serotoninergiuco; tale vulnerabilità, sulla spinta di fattori ambientali, darebbe luogo a quadri clinici depressivi, maniacali o misti.
I modelli causali di tipo psicologico dei disturbi dell’umore hanno invece sottolineato il ruolo centrale delle rappresentazioni mentali “negative” che l’individuo ha di se stesso, gli altri ed il mondo e che ne guidano pensieri e comportamenti (ipotesi cognitiva) oppure hanno messo in relazione la depressione con esperienze di perdita in età infantile (ipotesi psicoanalitica).
Mentre in passato la cura dei disturbi dell’umore, soprattutto quelli di grave entità, era associata quasi unicamente all’uso di farmaci, negli ultimi decenni la psicoterapia cognitivo-comportamentale è riconosciuta come un trattamento particolarmente efficace, soprattutto se in associazione alla terapia farmacologica.
Il paziente può giovare della psicoterapia cognitivo-comportamentale non solo nella fase acuta ma anche nella prevenzione delle ricadute e, nelle forme bipolari, come intervento preventivo in fase intercritica. Altre forme di psicoterapia non hanno particolari prove scientifiche di efficacia per la cura dei disturbi dell’umore.