L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) descrive la dipendenza patologica come una “condizione psichica, talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo e una sostanza, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni che comprendono un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione”.
Nonostante il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM-5 continui a proporre una nozione di “dipendenza” riferita principalmente all’assunzione di sostanze psicotrope, questa viene sempre più utilizzata anche nell’inquadramento di particolari entità sindromiche derivanti dallo sviluppo di comportamenti di assuefazione in assenza di qualsiasi sostanza.
Le nuove scienze neurologiche propongono una teoria unitaria della dipendenza, per cui le dipendenze comportamentali e le dipendenze da sostanze sono considerate globalmente. Molti autori stanno cominciando a considerare le “dipendenze da sostanze” (ad esempio da alcol) e le “dipendenze comportamentali” (ad esempio il gioco di azzardo patologico) come manifestazioni cliniche con diverse analogie tra loro e trattabili secondo approcci similari. Per questo si preferisce parlare di “dipendenza patologica”.
Le “nuove dipendenze”, o “dipendenze senza sostanza”, si riferiscono a una vasta gamma di comportamenti anomali: tra esse possiamo annoverare il gioco d’azzardo patologico, lo shopping compulsivo, la “new technologies addiction” (dipendenza da TV, internet, social network, videogiochi…), la dipendenza dal lavoro (workaholism), da sesso (sex-addiction) e dalle relazioni affettive, e alcune devianze del comportamento alimentare come l’ortoressia o dell’allenamento sportivo come la sindrome da overtraining.
Sia le classiche dipendenze da sostanze che le dipendenze comportamentali presentano numerosi elementi in comune:
- Inizialmente vengono ricercate per il piacere e il sollievo che ne derivano: è la fase della “luna di miele”, durante la quale è anche quasi sempre presente la negazione del problema;
- La sostanza (o il comportamento) domina costantemente il pensiero: vi è l’impossibilità di resistere all’impulso di assumerla (o di eseguire il comportamento), vissuta con modalità compulsiva;
- Presenza del craving: desiderio crescente o stato di tensione che precede l’assunzione della sostanza (o la messa in atto del comportamento);
- Presenza di instabilità dell’umore: inizialmente precedente l’assunzione della sostanza (o del comportamento), successivamente sempre più generalizzata;
- Presenza di tolleranza, ovvero progressiva necessità di incrementare la quantità di sostanza (o di tempo dedicato al comportamento) per ottenere l’effetto piacevole;
- Presenza di una crescente sensazione di perdita del controllo sull’assunzione della sostanza (o sull’esecuzione del comportamento);
- Presenza di un profondo disagio psichico e fisico quando s’interrompe o si riduce l’assunzione della sostanza (o il periodo dedicato al comportamento);
- L’uso della sostanza (o l’esecuzione del comportamento) continuano nonostante le progressive e sempre più gravi ricadute sul funzionamento personale e interpersonale (sfera lavorativa, affettiva, amicale, personale…);
- Frequente tendenza a riavvicinarsi alla sostanza (o al comportamento) dopo un periodo di interruzione (fenomeno della ricaduta);
- Elevata frequenza dell’assunzione di più sostanze (o dell’esecuzione di più comportamenti), nonché di passaggio da una dipendenza a un’altra;
- La somiglianza dei principali fattori di rischio: impulsività, sensation-seeking, capacità metacognitive disarmoniche, inadeguato ambiente genitoriale.
La terapia cognitivo-comportamentale (TCC) è il trattamento più indicato nelle dipendenze comportamentali, essendo basata su evidenze scientifiche, ed è utile anche nelle dipendenze da sostanze.
La chiave di questa efficacia risiede nell’attenzione che tale approccio pone sullo sviluppo del senso di auto-efficacia del paziente rispetto alla propria patologia, sull’impiego di una terapia psico-farmacologica di appoggio, sul potenziamento delle abilità di coping (ovvero abilità di fronteggiamento dello stress) che riducono progressivamente le aspettative positive che il paziente ripone nel comportamento di dipendenza e sulla collaborazione che si instaura tra paziente e terapeuta nella risoluzione del problema.
Le ricerche mostrano che per la TCC i risultati più importanti si hanno nella prevenzione delle ricadute, poiché i suoi effetti sono durevoli nel tempo e si registrano miglioramenti anche a trattamento concluso (Epstein et al., 2003; Rawson et al., 2006).
Alcuni studi hanno messo in luce come, alla fine del trattamento, i risultati più durevoli siano da ricondurre a interventi Cognitivo-Comportamentali (che quindi intervengono anche sul sistema d’idee e di credenze che la persona ha riguardo a sé stessa, agli altri, al proprio disturbo…), piuttosto che a programmi che si concentrano esclusivamente sul fattore comportamentale legato all’uso di sostanze, come il Contingency Management (CM) (Epstein et al., 2003; Rawson et al., 2002).