Le psicoterapie evidence-based di ultima generazione stanno mirando sempre di più all’integrazione di pratiche corporee afferenti da ambiti molteplici. Sia come trattamento di condizioni sintomatologiche, sia come promozione e mantenimento di un più generico benessere.
Uno dei campi che negli ultimi anni ha preso più piede è quello delle discipline orientali, come la meditazione. Questa, nelle sue declinazioni terapeutiche, ha ormai consolidato la sua efficacia come pratica integrativa per un numero ampio di condizioni cliniche e non.
Da questo interesse verso la meditazione, l’attenzione si è rivolta anche alle discipline corporee, come lo Yoga, che analogamente alla mindfulness promuovono e addestrano all’accettazione del momento presente.
La nascita e diffusione dello Yoga
Lo Yoga nasce come pratica spirituale nella tradizione induista, si diffonde in occidente come pratica prevalentemente fisica, mantenendo però delle caratteristiche peculiari. Esso, infatti, come nella sua accezione più tradizionale, concepisce il corpo come strumento indispensabile per raggiungere l’accettazione e l’equilibrio tra emozioni, comportamenti e cognizioni.
Uno degli intenti dello Yoga può essere descritto come “..la scoperta, la costruzione e il rafforzamento della connessione tra la mente, il corpo, il respiro, le sensazioni, i ricordi, le esperienze fisiche e gli stati di consapevolezza di chi lo pratica, così come la sua interconnessione con gli altri esseri umani e il contesto ambientale a cui appartiene”.
Le sue componenti principali
Nella sua forma occidentale più diffusa, l’Hata Yoga, sono 3 le componenti che costituiscono la pratica: la respirazione controllata (pranayama), il movimento (asana), e la meditazione (dhyana).
Ciascuna di queste componenti è interconnessa, dal momento che gli esercizi fisici sono collegati al respiro e vengono praticati con l’attenzione focalizzata al momento presente.
Questo indirizza il praticante verso una consapevolezza non giudicante del movimento, del respiro e delle emozioni che intercorrono, favorendo l’accettazione e il contatto con tutte le componenti dell’esperienza.
La natura dello Yoga
Quando si pensa allo Yoga, per come spesso viene presentato visivamente, l’immagine è quella di corpi flessibili e forti che sopportano posizioni scomode e faticose. Tuttavia con una guida adeguata ci accorgiamo che praticare non ha nulla a che vedere con il performare.
Infatti, una delle caratteristiche che ha permesso allo Yoga di essere considerato come integrazione all’interno dell’approccio terapeutico è anche la sua adattabilità. Può essere praticato, infatti, in modo estremamente delicato e lento, praticamente da tutti – in una forma o nell’altra. Anche da chi soffre di una condizione di dolore cronico o soffre conseguenze mediche invalidanti o è stato sedentario per decenni.
Lo Yoga integrato nelle terapie
Sono stati quindi svariati i campi di applicazione dello Yoga come pratica integrativa all’interno di percorsi terapeutici per una molteplicità di disturbi.
Uno dei primi ad interessarsi a questa integrazione è stato Van der Kolk, che ha approfondito come la pratica dello Yoga stimolasse nei pazienti la consapevolezza e aumentasse l’accettazione e la tolleranza delle emozioni, migliorandone di fatto la regolazione emotiva.
Da qui l’utilizzo sempre più ampio e più studiato all’interno del trattamento per il Disturbo Post Traumatico da Stress, e la costruzione di protocolli specifici come il Trauma Sensitive Yoga, inseritosi a pieno titolo nella ampia ed efficace schiera degli interventi bottom-up.
Sono molti e anche molto recenti gli studi che valutano l’impiego dello Yoga come supporto per vari disturbi, dal dolore cronico alla schizofrenia, dai disturbi alimentari ai disturbi dell’umore.
Terapia cognitivo comportamentale e Yoga
Nell’eterogeneità degli studi è interessante un’integrazione tra la terapia cognitivo comportamentale e lo yoga, pensata per i disturbi d’ansia, nello specifico il Disturbo d’Ansia Generalizzato.
In uno studio del 2015, Khalsa e colleghi costruiscono un protocollo di intervento composto da sessioni di Kundalini Yoga, interventi cognitivo-comportamentali e incontri di gruppo.
L’intervento di integrazione risulta particolarmente efficace, confermano gli autori, perché affronta contemporaneamente sia i processi cognitivi che quelli fisiologici. Riduce sia l’ansia di stato che l’ansia di tratto e migliora le sintomatologie in concomitanza come i disturbi del sonno e il tono dell’umore basso.
I ricercatori affermano che “entrambi [gli interventi] lavorano insieme in modo molto efficace perché mentre lo yoga riduce le cause fisiologiche dell’ansia, riducendo così la tendenza all’insorgere di pensieri negativi, la TCC si concentra sul cambiamento del contenuto dei pensieri negativi quando si presentano”.
Riconoscendo che l’ansia è un problema che affligge mente e corpo, lo Y-CBT si propone di affrontare in modo strutturato entrambi gli aspetti, costituendo un intervento efficace e innovativo. Ne deriva un modello, che integra quindi i benefici comprovati di entrambi gli approcci e che apre le porte a interventi sempre più articolati ma ben sostenuti dalla ricerca.
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