Raramente la percezione che abbiamo di un pericolo per la nostra salute, corrisponde alla reale minaccia a cui siamo esposti.
Storicamente, verso la fine degli anni ’60, ci sono stati i primi studi in proposito che hanno chiarito alcuni aspetti relativi al rischio biologico nella popolazione.
È stato dimostrato come il rischio reale, cioè il numero di eventi negativi sul totale di quelli possibili, non coincida quasi mai con il rischio percepito. Alcune minacce per la salute vengono sovrastimate, mentre altre sottostimate.
È interessante notare come esistono fattori specifici che influenzano costantemente la nostra percezione, come il fatto che il rischio percepito sia tanto maggiore quanto più l’evento può esser catastrofico e quanto meno si conosce l’argomento. Ad esempio, molta gente teme più l’incidente aereo, mentre in realtà è molto più pericolosa l’auto.
Il concetto di catastroficità è comunque soggettivo e dipende dall’impatto emotivo provocato dalla situazione: se si tratta di catastrofe globale e che può incidere pure sulle generazioni future, allora il rischio sarà percepito come maggiore.
Per quanto riguarda la conoscenza dell’argomento, si è visto come gli eventi dei quali in realtà si conosce poco siano quelli percepiti come più rischiosi, quali ad esempio le situazioni che dipendono da cause o fattori ignoti, non visibili direttamente, come le radiazioni o la trasmissione di virus.
Anche l’effetto novità può influenzare la percezione del rischio per la salute, ad esempio la scoperta di una nuova malattia, ecc. È importante anche considerare come le conoscenze che noi sviluppiamo su certi temi derivino dai mass media e non da fonti scientifiche, quindi spesso ci affidiamo a informazioni distorte, che vengono amplificate proprio per suscitare allarmismo e/o per fare notizia.
Un ulteriore fattore che modifica la percezione del rischio è l’esperienza personale e/o familiare, come ad esempio i parenti deceduti per una certa malattia, ecc.
Considerate queste premesse, riguardo all’Ebola possiamo dire che si tratta di un virus mortale, di cui la popolazione generale non aveva mai sentito parlare fino a poco tempo fa, di cui non si conoscono un vaccino o una cura, e di relativamente alla quale i media continuano a mostrare immagini di morti per le strade e a gridare a ogni nuovo caso.
Allo stesso tempo, in pochi conoscono veramente le possibili vie di trasmissione e le azioni che stanno intraprendendo le autorità sanitarie internazionali per limitarne la diffusione. Quindi, il suo grado di catastroficità è alto, mentre la conoscenza è scarsa, per cui è naturale che per la maggior parte della popolazione la percezione del rischio dell’Ebola sia molto maggiore rispetto al suo rischio reale.
La malattia da virus Ebola, chiamata in precedenza “febbre emorragica”, è una malattia grave, spesso fatale. Viene infatti riportato un tasso di mortalità di circa il 50%. Colpisce uomini e primati, non è nota la sua origine ma si pensa che i pipistrelli della frutta ne siano i principali serbatoi.
Il virus è stato riconosciuto la prima volta nel 1976 in Congo e Sudan, attualmente è presente da alcuni mesi in focolai di epidemia in diversi stati dell’Africa Occidentale (soprattutto Guinea, Liberia e Sierra Leone).
Inizialmente la trasmissione è avvenuta con la manipolazione di animali morti ed infetti, mentre il contagio tra esseri umani avviene esclusivamente attraverso il contatto diretto (cioè di ferite e/o mucose) con sangue e fluidi corporei (feci, urine, sperma, vomito, saliva) di persone già ammalate, cioè con sintomi evidenti e conclamati, oppure con oggetti contaminati.
I segni e sintomi tipici di Ebola sono febbre improvvisa, stanchezza intensa, dolori muscolari, mal di testa, mal di gola, seguiti da vomito, diarrea, emorragie interne ed esterne. Il periodo di incubazione va da 2 a 21 giorni, nei quali il paziente non è contagioso.
I soggetti più a rischio sono sicuramente i famigliari di persone già malate e gli operatori sanitari, che devono esser adeguatamente informati sulle modalità di prevenzione e sui metodi per proteggersi; inoltre, possono esser maggiormente esposti al contagio anche gli operatori addetti alla sepoltura ed i cacciatori nelle zone della foresta pluviale, ma in entrambi questi ultimi casi, si fa riferimento esclusivamente all’Africa Occidentale, dove le condizioni igienico-sanitarie sono molto precarie e neanche lontanamente paragonabili alle norme messe in atto quotidianamente in Europa.
Sicuramente, il virus ebola non si trasmette con una stretta di mano, frequentando luoghi pubblici, con l’uso di denaro o mangiando frutta tropicale, nuotando in una piscina, con le punture di zanzare, ecc.
Anche un viaggio nel continente africano presenta un rischio estremamente basso se non si hanno contatti diretti con persone che già manifestano i sintomi, o con i corpi dei defunti.
Proprio per questo, è ingiustificato l’allarmismo esagerato che si sta verificando in Italia e, più in generale nei paesi occidentali, rispetto al rischio di contagio da virus Ebola.
Sono stati registrati pochissimi casi in Spagna e Stati Uniti, tutti tra il personale sanitario che aveva curato malati provenienti dall’Africa, tutti andati a buon esito (eccetto un missionario) e neanche un solo caso nel nostro paese.
Il Ministero della Sanità italiano, seguendo anche le direttive dell’OMS in proposito, sta monitorando la situazione, valutando i casi sospetti, predisponendo adeguati controlli alle frontiere e nei luoghi di transito, es. aeroporti.
Come più volte ribadito da medici e ricercatori, risulta estremamente remota la possibilità che si verifichino casi di contagio in Italia, meno che meno una vera e propria epidemia; qualora, comunque, si ammalassero dei cittadini, essi riceverebbero tutte le cure più adeguate, con buone probabilità di remissione.
Non è concepibile che, a causa di timori irrazionali e disinformazione selvaggia, spesso propagata per fini politici o pubblicitari, la popolazione viva nel terrore e manifesti atteggiamenti insensati, simili alla caccia all’untore tipica delle grandi pestilenze di medioevale memoria.
Perciò, è infondato aver paura delle persone che tornano da viaggi in Africa, dei profughi che sbarcano sulle coste siciliane, degli immigrati che vivono nei centri di accoglienza e delle persone di colore in generale, di viaggiare in aereo o di consumare alimenti stranieri.
Preoccuparsi in anticipo in maniera esagerata non è di alcuna utilità, anzi, fa aumentare ansia e pensieri negativi, ci fa vivere con un forte disagio immotivato, e ci spinge a comportamenti di “psicosi collettiva” in vista di un pericolo che molto probabilmente neppure si paleserà.
Importante è, invece, diffondere corrette informazioni sull’argomento e tutti gli eventuali aggiornamenti, garantendo in caso di bisogno strumenti e mezzi per affrontare in modo efficace il problema.