Lo stigma in psichiatria
Fu il sociologo canadese Erwin Goffman (1970) a teorizzare il concetto di stigma, adottato dalla psichiatria sociale per definire l’insieme di pregiudizi negativi attribuiti alle persone con problemi psichici a causa del loro disturbo e che determinano rifiuto, discriminazione ed esclusione.
Lo stigma si divide in istituzionale, sociale ed interiorizzato.
Stigma istituzionale
Lo stigma istituzionale comprende le leggi e le regolamentazioni giuridiche o le procedure burocratiche che privano il soggetto affetto da patologia psichiatrica di diritti ed opportunità.
Stigma sociale
Lo stigma sociale o pubblico consiste nella condivisione di stereotipi e comportamenti negativi da parte di buona parte della popolazione verso un dato gruppo di persone affette da problemi psichici.
Lo stigma pubblico si compone di tre aspetti (cognitivo, emozionale e comportamentale) che si traducono in stereotipi, pregiudizi e discriminazioni.
Gli stereotipi sono un insieme di credenze e opinioni rigidamente precostituite e generalizzate su persone o gruppi sociali. Un esempio di stereotipo è quello sulla pericolosità dei pazienti psichiatrici.
I pregiudizi sono il grado di accordo verso uno stereotipo o l’assunzione degli stereotipi entro il proprio sistema di valori: ne conseguono reazioni emozionali negative (es. paura o pena) che si traducono in comportamenti discriminatori, quali ad esempio l’esclusione (Corrigan, 2000).
Stigma interiorizzato
Lo stigma interiorizzato o self-stigma si ritrova a livello individuale e si riferisce ai vissuti negativi o ai pregiudizi che la persona malata ha interiorizzato riguardo la propria patologia psichiatrica.
L’individuo, consapevole degli atteggiamenti negativi altrui o esposto ad esperienze pregiudiziali, assume nel proprio sistema di valori personali tali accezioni negative che lo inducono a ritenersi un soggetto di minor valore e di conseguenza attuare comportamenti in risposta a tali pregiudizi (Corrigan & Watson, 2002).
Le conseguenze dello stigma
Prendendo in considerazione le conseguenze sulla persona, lo stigma istituzionale e lo stigma pubblico possono impattare negativamente sull’opportunità alla persona bollata come “malato di mente” di raggiungere essenziali obiettivi di vita quali una occupazione stabile e il vivere in maniera indipendente.
In relazione al self-stigma, è ampiamente dimostrato che diminuisca l’empowerment, l’autostima e l’autoefficacia personale spingendo l’individuo a mettere in atto meccanismi di mantenimento dello stigma stesso.
Non è infrequente infatti che tali pazienti, non ritenendosi all’altezza di determinati compiti o nell’aspettativa di essere considerati inferiori, si astengano da proporsi per determinate attività o iniziative rendendo in questo modo più improbabili le opportunità di un impiego stabile, lo sviluppo di relazioni sociali funzionali e la creazione di una rete di supporto sociale che permettono all’individuo di raggiungere i propri obiettivi di vita (Corrigan & Shapiro, 2010).
Ricerche sullo stigma nei pazienti psichiatrici
La maggior parte degli studi controllati relativi al peso dello stigma pubblico verso i soggetti affetti da psicopatologia utilizza un metodo basato sulla presentazione di vignette cliniche o descrizioni scritte di personaggi caratterizzate dal background storico ed i loro sintomi.
Molti degli studi strutturati in questa modalità hanno indagato lo stigma verso specifiche patologie quali la depressione o la schizofrenia ma negli ultimi anni c’è un crescente numero di ricerche simili rivolte ai disturbi d’ansia (Curcio & Coboy, 2020).
La letteratura indica che lo stigma pubblico differisce nelle manifestazioni in base alla tipologia e gravità dei sintomi mostrati tramite le vignette: mentre verso pazienti schizofrenici o depressi prevalgono percezioni di pericolosità, vissuti di paura e desideri di distanza sociale, verso i soggetti ansiosi i giudizi sono di debolezza e colpevolizzazione (Curcio & Coboy, 2020).
Un disturbo che ha solo recentemente ricevuto attenzione nell’ambito di indagine sullo stigma sociale è il Disturbo Ossessivo Compulsivo.
Cos’è il DOC
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo è un quadro psicopatologico altamente invalidante caratterizzato dalla ricorrenza di pensieri, impulsi o immagini mentali percepiti come intrusivi o involontari (ossessioni) e da comportamenti che il soggetto si sente costretto a mettere in atto (compulsioni) per prevenire o ridurre il disagio, l’ansia o altri stati emotivi indotti dalle ossessioni (American Psychiatric Association, 2013).
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo risulta solitamente avere un impatto importante sul funzionamento degli individui che ne sono affetti tanto da essere considerato una delle principali cause di disabilità fra i disturbi psichiatrici.
I contenuti dei pensieri ossessivi e il tipo di comportamenti compulsivi possono variare enormemente da caso a caso, o variare anche nel corso del tempo nella stessa persona.
I sottotipi di DOC
Nonostante i dubbi ossessivi possono riguardare pressocché qualsiasi tema, esistono dei contenuti ricorrenti che di solito si riferiscono a temi particolarmente significativi o temuti dall’ individuo stesso.
I contenuti ricorrenti si riferiscono di solito a pensieri o dubbi relativi alla possibilità di contaminazione con agenti tossici, dannosi o disgustosi (“E se quella macchia fosse sangue infetto?”) oppure paure che possano accadere eventi nefasti di carattere scaramantico/superstizioso (“Se indosso il colore nero questo porterà sfortuna?”).
Altre comuni ossessioni si riferiscono al bisogno estremo di tenere in ordine certi oggetti o allineare in un determinato modo effetti personali o arredi.
Altrettanto frequenti sono le paure ossessive di poter generare delle catastrofi per propria disattenzione o leggerezza (“Se avessi lasciato il gas aperto e la casa esplodesse?”) o di poter perdere il controllo e diventare violento o aggressivo verso se stesso o altri (“Potrei impazzire e buttarmi dalla finestra”).
Esistono anche ossessioni di carattere morale/religioso inerenti a pensieri intrusivi inaccettabili che il soggetto stesso giudica come indice di qualcosa di grave e malevolo nella propria natura (“Se penso una bestemmia commetto una cosa gravissima”, “Se trovo attraente un’altra donna questo equivale a voler tradire mia moglie”).
Vi sono infine dubbi ossessivi sulla propria relazione sentimentale (“Lo amo o non lo amo?”) e sul proprio orientamento (“Ho guardato un uomo in doccia… potrei essere gay”).
Questi sono solo alcuni esempi della variegata gamma di dubbi, pensieri, immagini mentali ricorrenti che i pazienti ossessivi vivono costantemente e che tentano di scacciare o annullare con i più disparati mezzi esterni (es. chiedere rassicurazioni ad altri, controllare che un evento non sia accaduto, lavarsi, pulire abiti o cose, allineare oggetti) o interni (contrastare i pensieri, ripercorrere scene vissute, ripetersi mentalmente delle formule “positive” che tranquillizzano).
Dato che ad ogni ossessione possono corrispondere uno o più mezzi di rassicurazione (compulsioni), una distinzione del tipo di unicamente basata sui comportamenti compulsivi attuati ha scarso senso clinico.
Le dimensioni sintomatologiche
Alcune ricerche (es. Baer, 1994; Leckman et al., 2005; Bloch et al., 2008) si sono rivolte all’individuazione di sottotipi basati su fattori/dimensioni sintomatologiche che includono ossessioni e compulsioni che tendono a manifestarsi insieme.
I quattro fattori individuati erano i pensieri inaccettabili (ossessioni religiose, sessuali e aggressive con compulsioni di controllo), sintomi da ordine/simmetria, sintomi da contaminazione/pulizia e infine sintomi da accumulo/accaparramento.
L’utilizzo di un approccio dimensionale sembra utile ai fini della comprensione della complessità di espressione che può assumere la sintomatologia permettendo al terapeuta uno sguardo di ampio spettro che è necessario per un’adeguata pianificazione di trattamento.
In un’ottica dimensionale piuttosto che categoriale, quindi basata sulle tematiche ossessive ricorrenti, sono state identificate quattro dimensioni principali di timori ossessivo-compulsivi (Abramowitz et al., 2011):
- preoccupazioni relative a germi e contaminazione;
- preoccupazioni relative alla possibilità di essere responsabile di danni, lesioni, incidenti, disgrazie;
- bisogno di simmetria, ordine e completezza;
- pensieri inaccettabili (es.: di natura sessuale, a contenuto immorale o violento; preoccupazione di poter fare qualcosa di imbarazzante, sconveniente o terribile).
DOC e stigma nei diversi sottotipi clinici
Gli studi sul DOC come costrutto unico hanno essenzialmente valutato lo stigma verso il DOC confrontato con altri disturbi mentali gravi quali la schizofrenia rilevando un giudizio meno stigmatizzato verso i pazienti affetti da Disturbo Ossessivo-Compulsivo (Chasson et al., 2018).
Tuttavia, quando si considerano i sottotipi sintomatologici che il disturbo ossessivo -compulsivo può assumere, i risultati degli studi sono meno univoci.
Ponzini & Steinman (2021) hanno recentemente condotto una review della letteratura esistente sul peso dello stigma sociale negli specifici sottotipi di DOC utilizzando delle vignette cliniche esemplificative di soggetti affetti di diversi sintomi ossessivi: ossessioni aggressive, sessuali, sintomi di ordine/simmetria, sintomi da contaminazione, sintomi da controllo, sintomi legati all’intolleranza dell’errore/scrupolosità.
In alcuni studi dei 10 esaminati lo stigma verso la persona veniva confrontato con quello verso un soggetto di controllo (con altra patologia o sintomi subclinici). In alcuni casi il protagonista della vignetta era un uomo, in altri casi una donna e in alcune ricerche veniva descritto come un amico o come una persona cara.
I dieci studi considerati coinvolgevano campioni di diverse nazioni (USA, Turchia, Spagna e Singapore) e di un’ampia fascia d’età (16-74), questi punti di forza in termini di generalizzabilità dei risultati venivano tuttavia ridotti dal limite della presenza massiva di soggetti femminili nei campioni.
I risultati della ricerca
I risultati dello studio suggeriscono che i soggetti affetti da DOC con pensieri inaccettabili di carattere sessuale o aggressivo, rispetto a tutti gli altri sottotipi, elicitano un maggior desiderio di distanza sociale. Il sottotipo con ossessioni aggressive una maggiore percezione di pericolosità rispetto ad altri sintomi, quali ordine/simmetria.
Non si rilevano differenze sostanziali – tra i vari sottogruppi DOC – in termini di altri pregiudizi (es. debolezza) o discriminazione (es. mancanza di aiuto). Inoltre la review non ha tuttavia prodotto risultati univoci rispetto a significative differenze di stigma sociale tra determinati sottotipi di DOC e altri disturbi, quali la schizofrenia.
Basandosi su questi dati, gli autori (Ponzini & Steinman, 2021) suggeriscono la necessità di una maggiore ricerca sullo stigma sociale nei sottotipi di Disturbo Ossessivo-Compulsivo, anche tramite utilizzo di “vignette cliniche” maggiormente standardizzate e campioni più omogenei tra loro.
Questo aiuterebbe inoltre una più appropriata stesura di protocolli di intervento mirati alla riduzione dei pregiudizi esterni o interiorizzati dai pazienti stessi (self-stigma).
Esistono infatti interventi efficaci volti alla riduzione dello stigma sociale e quello interiorizzato basati sulla normalizzazione delle persone affette da disturbi mentali e l’abbattimento dei falsi miti esistenti (Corringan et al., 2001).
L’efficacia di questi interventi potrebbe quindi essere ulteriormente implementata con una maggiore attenzione al peso dello stigma in soggetti affetti da specifici sintomi ossessivi, mitigandone gli effetti negativi secondari che gli atteggiamenti stigmatizzati producono su queste persone.
Bibliografia
- Abramowitz, J. S., McKay, D., & Taylor, S. (Eds.). (2011). Obsessivecompulsive disorder: Subtypes and spectrum conditions. Elsevier.
- American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Washington, DC: Author.
- Baer L. (1994). Factor analysis of symptom subtypes of obsessive-compulsive disorder and their relation to personality and tic disorders. J Clin Psychiatry. 55:18–23.
- Bloch MH, Landeros-Weisenberger A, Rosario-Campos MC, et al.(2008). Systematic review of the factor structure of obsessive-compulsive disorder. Am J Psychiatry. 165:1532–1542
- Chasson, G. S., Guy, A. A., Bates, S., & Corrigan, P. W. (2018). They aren’t like me, they are bad, and they are to blame: A theoretically-informed study of stigma of hoarding disorder and obsessive-compulsive disorder. Journal of Obsessive-Compulsive and Related Disorders, 16, 56–65.
- Corrigan P.W. (2000). Mental health stigma as social attribution: implication for research methods and attitude change, in Clinical Psychology and Sciences Practice, 2000, 7: 48-67.
- Corrigan, P. W., & Shapiro, J. R. (2010). Measuring the impact of programs that challenge the public stigma of mental illness. Clinical Psychology Review, 30(8), 907–922.
- Corrigan, P. W., & Watson, A. C. (2002). Understanding the impact of stigma on people with mental illness. World Psychiatry, 1(1), 16–20.
- Fazel, J. Danesh (2002). Serious mental disorder in 23 000 prisoners: a systematic review of 62 surveys, in The Lancet, Vol. 359, No.16.
- Goffman, E. (1970). Stigma, l’identità negata. Laterza ed.
- Leckman JF, Bloch MH, King RA (2009). Symptom dimensions and subtypes of obsessive-compulsive disorder: A developmental perspective. Dialogues Clin Neurosci. 2009;11:21–33.
- Ponzini, G. T., & Steinman, S. A. (2021). A Systematic Review of Public Stigma Attributes and Obsessive–Compulsive Disorder Symptom Subtypes. Stigma and Health. Advance online publicatioN. http://dx.doi.org/10.1037/sah0000310