Lo scorso 10 Ottobre è stata la “Giornata mondiale per la salute mentale”, un evento annuale attraverso il quale l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ricorda l’importanza delle cure e dell’integrazione delle persone con disagi psichici. Il tema di quest’anno è stato: “La dignità nell’ambito della salute mentale”.
Ma cosa si intende per Salute Mentale?
Secondo la definizione dell’OMS, con l’espressione salute mentale si fa riferimento ad uno stato di benessere emotivo e psicologico nel quale l’individuo è in grado di sfruttare le sue capacità cognitive o emozionali, esercitare la propria funzione all’interno della società, rispondere alle esigenze quotidiane della vita di ogni giorno, stabilire relazioni soddisfacenti e mature con gli altri, partecipare costruttivamente ai mutamenti dell’ambiente, adattarsi alle condizioni esterne e ai conflitti interni.
Dai dati emerge che almeno un cittadino su quattro sviluppa un disturbo mentale nell’arco della sua vita, nella maggior parte dei casi costituito da disturbi depressivi o disturbi d’ansia. A rilevarlo è l’OMS, che ha presentato un nuovo piano d’azione europeo sulla salute mentale 2013-2020 con varie azioni per contrastare i disturbi mentali e migliorare la qualità della vita dei cittadini.
La depressione da sola è responsabile del 13,7% del carico di disabilità (inteso come anni con cui si vive con una disabilità), ponendosi come la prima malattia cronica in Europa. A seguire ci sono i disturbi collegati all’alcol (6,2%), l’Alzheimer e le altre demenze (3,8%), la schizofrenia e i disturbi bipolari (2,3% ciascuno).
Nonostante tutto quello che viene fatto, compreso anche questa ricorrenza annuale, ancora molti si vergognano della malattia mentale e tendono perciò a considerarla come una sconfitta personale. La paura, la vergogna portano allo sguardo dell’altro, al pregiudizio.
Spesso infatti i pazienti portano storie di profondo dolore legate alla vergogna per la patologia psichica, dove le parole psichiatra, psicoterapia o psicofarmaci evocano vissuti di diffidenza. Alla malattia quindi segue lo stigma a cui, in un secondo momento è legata la discriminazione sociale.
Il termine “stigma” indica che, nello specifico, la diagnosi di malattia mentale e i comportamenti che la accompagnano, risvegliano nelle persone atteggiamenti negativi e di rifiuto senza che ci sia una conoscenza del problema.
Lo stigma che accompagna la malattia mentale crea un circolo vizioso di alienazione e discriminazione, intesa come privazione di diritti e benefici, per la persona malata, la sua famiglia e tutto l’ambiente ad essi circostante, diventando spesso la fonte principale di un grave isolamento sociale, di fenomeni di emarginazione e di una protratta marginalizzazione.
Quindi la persona che soffre di un disturbo mentale si trova a dover combattere su due fronti: da un lato l’esperienza di malattia, con tutto ciò che questo comporta in termini di sofferenza e disabilità e, dall’altro, con le reazioni dell’ambiente sociale e lo stigma che circonda il disturbo mentale e che, in molti casi, rappresenta una vera e propria “seconda malattia”.
Interessante sull’argomento, un articolo pubblicato nel 2013 nel Journal of Community Psychology, dove gli autori sostengono che per diminuire gli effetti negativi dello stigma sarebbe necessario inserire nella terapia il supporto sociale e il coping.
Allo studio hanno preso parte 101 soggetti adulti di età media di 44 anni. Il 40% presentava una diagnosi primaria di schizofrenia, il 19% di disturbo schizoaffettivo, il 17% di disturbo depressivo, l’11% di disturbo bipolare, il 2% di disturbo d’ansia generalizzato, il 2% di disturbo post traumatico da stress, l’1% di disturbo ossessivo compulsivo e il 5% di altre patologie.
Il campione ha riportato bassi livelli di sostegno sociale che, a sua volta, era connesso a livelli più alti di stigma sociale ed interiorizzato e a livelli più bassi di guarigione e di qualità di vita.
Emerge che le persone affette da disturbi psichici usano frequentemente approcci di coping che comprendono sia strategie nocive che benefiche. Sembra perciò consigliabile incoraggiare tali soggetti a potenziare gli approcci di coping che siano responsabilizzanti ed orientati all’azione ed invitare alla riduzione di approcci più dannosi quali il tenere nascosto, il ritirarsi e il distanziarsi.
Quindi è importante in sede di trattamento terapeutico, aiutare i soggetti a comprendere come si rapportano allo stigma e lavorare sia con i pazienti sia con le famiglie, al fine di ampliare il repertorio di coping individuale in modo da includere strategie più utili e responsabilizzanti.
L’importante ruolo del sostegno sociale nel processo di stigma non può essere sottovalutato. Il sostegno sociale smorza gli effetti negativi dello stress e, nello specifico, dello stress associato allo stigma.
Le persone con disturbi psichici che hanno l’opportunità di sperimentare sostegno emotivo e concreto dagli altri, non sorprendentemente, gestiscono meglio lo stigma, fanno passi avanti verso la guarigione e tendono ad impiegare strategie di coping meno nocive.