Come si può spiegare il senso di vuoto? Descrivere e riuscire a empatizzare con una sensazione che per sua definizione indica qualcosa che non c’è?!
In effetti il senso di vuoto è uno degli aspetti mentali più complessi, il cui continuum spazia tra l’essere un’esperienza umana universale, in cui ognuno entra in contatto con se stesso e da cui può trarre l’opportunità per conoscersi e crescere, fino ad una sensazione (trasversale ad alcuni disturbi psicopatologici) di smarrimento nella percezione di sé.
Le diverse modalità con cui si esperisce il senso di vuoto potrebbero tra loro sovrapporsi, susseguirsi o essere singolarmente sperimentate e possono essere così riassunte:
- una noia transitoria dovuta alla mancanza di bisogni attivi. Solitamente in questi casi il senso di vuoto emerge dopo un definitivo fallimento o paradossalmente dopo il raggiungimento di un importante obiettivo, in cui la persona si sente, appunto, svuotata perché non ha più un obiettivo a cui ambire. Quando, a questa mancanza di scopi si aggiunge l’incapacità di prendere decisioni in maniera autonoma, di imporre i propri desideri e di intraprendere qualsiasi iniziativa, il vuoto diventa una componente dell’esperienza depressiva.
- Il senso di vuoto può essere inoltre percepito come l’impressione di “dover fare qualcosa”, senza però saper finalizzare tale necessità e porta l’individuo a sperimentare un senso di frenesia, agitazione, che non trova però spiegazione immediata. Determinando un altro fenomeno spesso associato, il cosiddetto senso di insoddisfazione cronica.
- Una mancanza di senso dell’esistenza, che diventa un aspetto più generalizzato (abbondantemente descritta da poeti, scrittori e filosofi tra cui Leopardi, Beckett, Schopenhauer) e si connota come una perdita di significato rispetto alla propria vita. La persona si sente come un granello di sabbia, insignificante, di fronte a qualcosa di vasto e incomprensibile.
- Il senso di vuoto talvolta è esperito come un’anticipazione inquietante della morte in cui viene smarrito il senso di sé, espressione caratteristica di coloro che sperimentano gli stati dissociativi. In particolare, durante la depersonalizzazione (una forma di processo dis-integrativo della coscienza), l’individuo può sperimentare un vuoto mentale terrifico, un “buco nero” da cui si può uscire solo tramite potenti sensazioni dolorose (come ad esempio tagliarsi o bruciarsi).
- Il senso di vuoto può inoltre essere la causa di altre emozioni che emergono nel momento stesso in cui viene sperimentato: paura, tristezza, rabbia, angoscia, inquietudine, terrore sono spesso conseguenti a questa sensazione. In questo caso è importante riconoscere che il fattore scatenante di queste emozioni è il vuoto, in quanto l’intervento terapeutico sarà declinato diversamente.
Il senso di vuoto ha una forte rilevanza clinica dato che in esso si verificano più frequentemente gesti suicidari, atti autolesivi e/o comportamenti impulsivi.
Nel caso in cui, quando si sperimenta il vuoto, emerge il “bisogno di qualcosa” come fare sesso compulsivamente, abbuffarsi di cibo, uso di sostanze, questi comportamenti diventano mezzi il cui fine è uscire dallo stato di vuoto.
Questi bisogni sono diversi dai desideri (connotati dall’anticipazione della soddisfazione che procura gioia), ma sono piuttosto descritti come automatismi necessari per uscire da uno spazio dove nulla ha senso. L’obiettivo non è mangiare o fare sesso, ma sentire un’elevata attivazione fisiologica che possa aiutare ad uscire da questo stato senza scopi.
Quando invece vengono sperimentate emozioni intollerabili (ad esempio la paura dovuta al senso di vulnerabilità), l’unico modo per gestirle è mettere in atto comportamenti disfunzionali che possano ridurre l’attivazione emotiva ed evocare un distacco assoluto dal mondo.
L’anestesia emotiva può essere usata da alcuni pazienti per evitare di venire a contatto con il sé indegno e sporco che non riescono a tollerare. In questo caso il senso di vuoto ha una connotazione inizialmente piacevole, di controllo, in cui l’utilizzo del gesto autolesivo o suicidario avviene all’interno di un senso di distacco onnipotente, in cui appunto tutto è possibile, anche la morte.
Il senso di vuoto nei disturbi di personalità
Tra i disturbi in cui ritroviamo con maggiore frequenza questa sensazione vi sono i disturbi di personalità: in questi casi il senso di vuoto è espressione di un deficit di autodirezionalità. Quest’ultima è una componente del funzionamento del sé e si riferisce all’avere obiettivi a breve e lungo termine percepiti come propri e inseguiti con persistenza; inoltre le difficoltà in tale funzione psicologica indicano l’incapacità nell’utilizzare standard interni di comportamento costruttivi, prosociali e scarse capacità autoriflessive. In generale, questo tipo di pazienti sembrano avere una costante mancanza di scopi attivi nella mente e difficoltà nel perseguire i loro obiettivi.
Il senso di vuoto non è presente solo nel disturbo borderline di personalità, come l’attuale nosografia ci suggerisce. Infatti lo ritroviamo anche nel disturbo narcisistico di personalità e nel disturbo dipendente di personalità. Nel disturbo borderline di personalità il DSM – 5 (il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) riporta nel criterio 7 la seguente dicitura: “sentimenti cronici di vuoto”. In effetti, le persone che soffrono di questo disturbo descrivono spesso stati mentali di vuoto e di distacco emotivo, che solitamente sperimentano dopo essere entrati in contatto con un sé indegno, schifoso, vulnerabile che non può essere tollerato.
Sottrarsi a questo senso di indegnità è perciò agognato dal paziente, che entra in una sorta di stato estatico dove tutto è percepito come sotto controllo ed emerge un senso di invulnerabilità. È qui che solitamente avvengono gesti autolesivi o suicidiari, in quanto sono sia l’effetto di questo stato sia un modo per evocarlo.
Quando, nel paziente con disturbo borderline di personalità, il senso di vuoto percepito è più simile alla mancanza di scopi, il passaggio all’acting out è utile per provocare un’attivazione fisiologica che possa far allontanare la persona da questa penosa mancanza di senso.
In questo stato tutto ciò che attiva l’arousal è funzionale a riempire il vuoto: comportamenti sessuali promiscui, abbuffate, abuso di alcol, guida spericolata sono tutti comportamenti attivamente ricercati, che portano però alla conferma del disprezzo verso di sé secondo un circuito senza fine: senso di indegnità – vuoto – gestione disregolata – indegnità.
Lo stato mentale di vuoto nel disturbo narcisistico di personalità, viene descritto nel mito di Narciso come un peregrinare senza scopi e passioni, il cui sentimento di noia e insoddisfazione pervade tutto il sé. In effetti le persone che soffrono di questo disturbo descrivono il senso di vuoto come se tutta la propria esperienza interiore fosse devitalizzata e spenta. L’orgoglio non è più in grado di accendere l’ego trionfante e nonostante possano continuare ad esistere le fantasie di successo e potere, queste non hanno più lo stesso sapore grandioso.
Inizialmente la persona può sostare in questo stato mentale in quanto diventa spettatore sopraelevato delle fatiche degli altri e la propria autostima rimane stabile. Ma quando questa condizione perdura e subentrano la noia carica d’angoscia, l’insoddisfazione cronica e il bisogno dell’altro, lo stato di vuoto non è più tollerato e diventa fonte di sofferenza da cui è necessario uscire.
Se il senso di vuoto narcisistico è più simile ad una rassegnazione apatica, un sottrarsi al mondo e ai propri desideri al fine di evitare i fallimenti che sono fonte di vergogna e umiliazione, siamo di fronte a ciò che sperimenta il tipo di narcisista definito vulnerabile (Russ et al., 2008).
Rinunciare può essere preferibile alla fatica di perseguire i propri obiettivi, in quanto i bisogni del narcisista vulnerabile sono tutti legati alla propria autostima e non al piacere intrinseco nell’attività stessa. Quindi meglio rassegnarsi, ritirarsi ed evitare qualsiasi fallimento, vivendo le fantasie grandiose solo nella propria immaginazione.
Anche nel funzionamento delle persone con disturbo dipendente di personalità il senso di vuoto è legato agli scopi. In questo caso viene percepito nel momento in cui vi è l’abbandono, dato che la presenza dell’altro è fondamentale per sentirsi autoefficaci, attivi e allontanare quel senso di sé di inadeguatezza tanto temuto.
La personalità dipendente, quando entra in questo stato, può percepire una sorta di disorganizzazione, disintegrazione del sé e del proprio schema corporeo. Solitamente, quando viene a mancare l’altro, l’umore subisce un’inflessione negativa: non vi sono più desideri, bisogni e la perdita prende il sopravvento. Se non vi è la figura di riferimento che mantiene l’autostima tutto manca di senso.
Come descritto sopra gli stati di vuoto possono essere di diversa natura e correlare a diversi assetti personologici. Le terapie cognitivo-comportamentali di seconda e terza generazione mettono in campo numerose tecniche e strategie utili alle gestione e regolazione emotiva. Inoltre il lavoro di consapevolezza sui comportamenti impulsivi e autolesivi salvaguarda la salute fisica e mentale del paziente che è più disponibile a sviluppare strategie alternative per gestire i diversi stati mentali.
Durante il percorso terapeutico comprendere da dove deriva la sensazione di vuoto, esserne consapevoli e accettarla può essere il primo passo per potervi convivere o forse uscirne attraverso modalità funzionali.
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