Introduzione
L’uso di gameti di donatori nel trattamento medico dell’infertilità ha una lunga storia, a partire dal primo caso documentato di donazione di seme nel 1898. In passato, quando si consigliava di mantenere segreta la donazione i genitori erano isolati dal sostegno sociale e dalla possibilità di parlare con altre persone sull’impatto dell’impiego della donazione di gameti per creare una famiglia.
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un cambiamento nella pratica clinica con un approccio più aperto sia per quanto riguarda le raccomandazioni professionali a sostegno della disclosure o rivelazione del concepimento da donatore, sia per quanto riguarda la rimozione dell’anonimato del donatore in alcuni Paesi.
A partire dalla Svezia nel 1985 anche altri Paesi hanno emanato una legislazione che consente al concepito da donatore di accedere all’identità del donatore tra cui vi sono la Svizzera (1992), l’Austria (2002), la Norvegia (2003), la Nuova Zelanda (2004), i Paesi Bassi (2004), il Regno Unito (2005), la Finlandia (2007) (Blyth e Frith, 2009).
Molte società di medicina della riproduzione hanno raccomandato che la disclosure è nel migliore interesse del concepito da donatore e concordano sul fatto che la consulenza rappresenti un elemento essenziale della preparazione dei genitori prima delle procedure di donazione (Blith, 2012).
Nel 2004 il Comitato Etico della Società Americana di Medicina della Riproduzione ha dichiarato quanto segue: “Anche se in ultima analisi la scelta è degli aspiranti genitori, si incoraggia la rivelazione alle persone concepite da donatori per quanto riguarda l’uso di gameti di donatori nel loro concepimento” (Ethics Committee of the American Society for Reproductive Medicine, 2004).
In questo mutevole contesto giuridico, sociale e professionale, un numero sempre maggiore di genitori ha intenzione di rivelare il concepimento da donatore ai loro figli e ricorre all’aiuto di un consulente nel prendere tale decisione (Indeku, Dierickx, Schotsmans, Daniels, Rober e D’Hooghe, 2013).
Preparazione dei genitori alla disclosure
I genitori scelgono di rivelare il concepimento da donatore per una serie di motivi, come la prevenzione di una rivelazione involontaria, le convinzioni personali sulla trasparenza e sulla onestà e sul diritto dei figli di conoscere la loro origine genetica. I genitori interessati alla disclosure cercano informazioni sull’età migliore per la rivelazione ma aiutare i genitori a discutere con i propri figli il concepimento da donatore richiede una preparazione prima della vera narrazione.
La condivisione delle informazioni rappresenta un’esperienza molto emotiva in cui i genitori provano una serie di incertezze e di preoccupazioni. Il consulente per l’infertilità può svolgere un ruolo determinante per aiutare i genitori a esplorare le loro paure, ridurre le loro ansie e aumentare la loro fiducia nella disclosure.
Prima di discutere il “quando e come” della disclosure, il consulente deve innanzitutto esplorare cosa significa la rivelazione per i genitori; il modo in cui si vedono come genitori alla luce dell’uso di gameti di donatori; come si aspettano che gli altri, compreso il loro figlio, reagiscano (Thorn, 2013). Si può creare nel genitore non genetico la paura che non sarà mai un genitore reale venendo a mancare il legame di sangue e, in ultima analisi, c’è il timore di venire rifiutato dal figlio.
Il primo intervento fondamentale della consulenza è quello di aiutare i genitori a esplorare e riformulare il significato di famiglia che non è solo legato ai rapporti genetici. E’ quindi importante nel racconto sulla disclosure che la persona che ha fornito i gameti sia indicata come il donatore e non come l’altro genitore o vero genitore o ancora peggio si possa parlare ai figli di due mamme/papà.
Al di là dell’importanza del linguaggio, l’altro elemento chiave della storia di disclosure è la definizione di famiglia come basata sulle relazioni amorose e non sulla genetica.
Il secondo intervento di consulenza è quello di istruire i genitori sulla natura del legame. Alcuni genitori temono che l’uso del donatore creerà una distanza nel loro rapporto con il proprio figlio. Nonostante questi timori, la ricerca ha costantemente evidenziato la presenza di legami di lunga durata nelle famiglie con concepimento da donatore.
In particolare, con il passare del tempo i genitori sono meno preoccupati della loro relazione con i figli, hanno più fiducia nei loro ruoli genitoriali e danno meno importanza alle differenze genetiche (Kirkman, 2004; Indeku, D’Hooghe, Daniels, Dierickx e Rober, 2014). Inoltre i genitori vedono la loro scelta del concepimento da donatore come una scelta positiva e i bambini nelle famiglie con concepimento da donatore hanno una adeguata crescita perché è presente una buona qualità genitoriale (Golombok, Brewaeys, Giavazzi, Guerra, MacCallum e Rust, 2002).
Il terzo intervento è quello di esplorare il significato psicologico del donatore per la famiglia. I genitori spesso temono l’interesse del bambino per il donatore, credendo che la curiosità di quest’ultimo per il donatore rappresenti un fallimento da parte loro o il rifiuto del bambino. E’ importante sottolineare che la curiosità del bambino per il donatore suggerisce il contrario. Infatti, le domande indicano attaccamento, sicurezza e fiducia nel rapporto con i genitori ed è proprio sulla base di tutti questi sentimenti che possono porre tali domande.
Quando fare la rivelazione sulla natura del concepimento
I genitori che hanno intenzione di rivelare al figlio le sue origini hanno opinioni diverse sul momento in cui farlo, ad esempio “quando è il momento giusto”, quando ritengono che i figli possano capire, oppure nella prima infanzia prima dell’entrata nella scuola primaria. Alcuni considerano priva di senso la rivelazione a un bambino piccolo, dal momento che i bambini non comprendono, in questa fase di sviluppo cognitivo, come avviene la riproduzione. Tuttavia, l’enfasi sull’importanza della comprensione cognitiva, addotta come giustificazione per rinviare la rivelazione, sottovaluta la rilevanza delle componenti affettive e relazionali della storia sia per il bambino che per i genitori.
Pertanto, molti genitori iniziano a raccontare la loro storia quando i figli hanno da 3 a 5 anni e scoprono che la narrazione precoce ha diversi vantaggi (Rumball e Adair, 1999). La narrazione precoce permette ai genitori di esercitare le loro abilità “narrative” e di superare il primo ostacolo emotivo, lasciandoli più liberi di impegnarsi in future conversazioni. Così la storia della famiglia con concepimento da donatore diventa una parte normale della vita, di cui i bambini sono sempre stati a conoscenza.
Le narrazioni efficaci condividono alcune caratteristiche tra le quali:
- la dichiarazione dell’incapacità di avere un figlio da soli;
- il bisogno di aiuto da parte di un donatore e/o un medico;
- l’unicità del loro bambino;
- la gioia dei genitori quando il loro bambino è nato;
- la conclusione con “questo è il modo in cui siamo diventati una famiglia”.
Alla fine, ascoltando il racconto della sua famiglia, il bambino sperimenterà prima di tutto la vicinanza del rapporto con i suoi genitori e in secondo luogo elaborerà i fatti in base allo stadio del suo sviluppo. La maggior parte delle coppie che arrivano alla disclosure riferisce di essere contenta di aver condiviso le informazioni e di non aver riportato alcun effetto negativo sui propri figli o sul rapporto con il bambino (Rumball e Adair, 1999; Blake, Casey, Readings, Jadva e Golombok, 2010).
Alcune ricerche hanno riscontrato relazioni genitore-figlio più positive nelle famiglie che hanno rivelato la modalità del concepimento e si evidenzia che le coppie che hanno fatto discosure si considerano più competenti rispetto a coloro che non hanno effettuato nessuna rivelazione (Lycett, Daniels, Curson e Golombok, 2005). Alcuni genitori scelgono di aspettare a parlare ai loro figli quando hanno un’età compresa tra 7 e 11 anni nella convinzione che la storia della rivelazione debba essere raccontata quando i bambini sono “abbastanza grandi per capire”.
In generale la disclosure durante gli anni della scuola comporta che i genitori affrontino l’argomento del concepimento tutto insieme e non gradualmente. Le reazioni dei bambini in questa fascia di età possono variare molto, ma i genitori spesso segnalano una risposta iniziale di disinteresse. E’ importante sottolineare che non esiste un modo corretto di reagire alla rivelazione e lo stesso bambino può mostrare livelli variabili di interesse nel corso del tempo. Sia la ricerca che i resoconti dei genitori suggeriscono che i bambini possono pensare al concepimento con donazione senza necessariamente discuterlo con i loro genitori (Blake, Casey, Jadva e Golombok, 2013). E’ importante che i consulenti raccomandino ai genitori di trovare delle opportunità per affrontare l’argomento ed esplorare ogni domanda.
Conclusioni
La rivelazione del concepimento da donatore è un problema significativo per i genitori che utilizzano i gameti di donatori per formare una famiglia. Anche se la fiducia dei genitori cresce con il supporto della consulenza, dei libri, dei materiali didattici e dei gruppi di sostegno, le preoccupazioni riguardo alla discussione del concepimento da donatore riaffiorano durante l’intero ciclo di vita della famiglia.
I genitori che aspettano “fino a quando non sono abbastanza grandi per capire” rischiano di posticipare la rivelazione se non ricevono un sostegno e non pensano alla rivelazione come a un processo. E’ quindi auspicabile un counseling individuale/di coppia che fornisca il sostegno necessario e lo spazio di accoglienza dove poter affrontare i timori e le domande specifiche dei genitor
Bibliografia
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