Il 25 novembre di ogni anno si celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Quando si parla di violenza sulle donne la nostra mente va subito a forme di aggressione fisica o sessuale che prevedono inevitabilmente un contatto fisico. Eppure la violenza esiste in forme diverse. Pensiamo, per esempio, alla violenza psicologica; ma non solo. Oggi esiste un’altra forma di violenza: quella indotta dalla tecnologia.
È indubbio quanto la tecnologia (internet, social media) abbia inevitabilmente rivoluzionato la nostra capacità di comunicare, di scambiare informazioni tra le persone e di costruire relazioni.
La tecnologia ha sicuramente molti vantaggi. Pensiamo banalmente all’importanza che ha per ognuno di noi, in un periodo storico come quello che stiamo attraversando. Laddove una pandemia ci sta costringendo a limitare potentemente i nostri contatti sociali, poter disporre di strumenti tecnologici ci fa sentire meno soli e ci dà la possibilità di continuare a vivere relazioni sia in ambito lavorativo che personale.
L’uso diffuso di social, pensiamo per esempio a Facebook, Instagram, Snapchat, Telegram – solo per citarne alcuni – ha cambiato potentemente la comunicazione gli uni con gli altri e la scelta del tipo di informazione da condividere. Ed è in questo contesto che emergono fenomeni quali il sexting in cui una coppia sceglie di scambiarsi foto, video, messaggi sessualmente espliciti. Si tratta di una pratica abbastanza comune e assolutamente accettabile quando si verifica tra adulti consenzienti.
Purtroppo però ci sono anche degli svantaggi e così, sfortunatamente, la tecnologia ha anche favorito la diffusione di informazioni in modi negativi e dannosi contribuendo a influenzare il panorama della violenza.
Cos’è il revenge porn
Una forma crescente di violenza indotta dalla tecnologia è il cosiddetto abuso sessuale basato sulle immagini (Eaton & McGlynn, 2020), termine generico utilizzato per descrivere qualsiasi immagine o video sessualmente esplicito creato e/o distribuito senza il consenso della persona ritratta.
Tale macrocategoria include la pornografia non consensuale, all’interno della quale rientra il revenge porn.
Sebbene i media hanno spesso usato il termine revenge porn per descrivere la pornografia non consensuale, in realtà le due espressioni non sono sovrapponibili.
Il revenge porn, infatti, implica la diffusione di immagini sessualmente esplicite allo scopo di umiliare o danneggiare la vittima (Citron & Franks, 2014), laddove la diffusione non consensuale di immagini sessualmente esplicite non è sempre motivata da vendetta o dall’intento di infliggere un danno all’altro (McGlynn, Rackley & Houghton, 2017).
Gli scopi del revenge porn
Coloro che condividono immagini e video per vendetta possono includere il nome o le informazioni di contatto della persona mostrata (per esempio, indirizzo e numero di telefono) al fine di umiliarla e svergognarla.
Le ragioni che muovono quest’azione possono essere il vendicarsi di un torto subito, quale ad esempio l’infedeltà reale o immaginaria o l’interruzione della relazione, assurgendo così l’atto di revenge porn a una forma legittima di vendetta interpersonale (Hall & Hearn, 2019), che implica una forma di punizione e controllo.
Walker e Sleath (2017) hanno indicato che i perpetratori di revenge porn usano la tecnologia per esercitare controllo e potere sulle loro vittime. Gli uomini che pubblicano foto nude delle loro ex partner possono infatti aver bisogno di riaffermare il proprio ruolo di genere (come superiore a quello della donna) recuperando quel potere che hanno sentito di aver perso subendo la decisione di chiusura della relazione sentimentale.
Non tutti sono consapevoli del danno psicologico, fisico, economico che si può generare condividendo materiale sessualmente esplicito all’insaputa della vittima. Il fatto che alcune persone potrebbero non avere l’intenzione specifica di ferire, danneggiare e umiliare l’altro non giustifica quel comportamento dal momento che le immagini private sono destinate a rimanere tali.
La condivisione di un’immagine o un video con una persona, nella maggior parte dei casi conosciuta e con la quale c’è stata (o c’è ancora) una relazione di qualche tipo, non equivale infatti a considerare irrilevante il destinatario del materiale.
Quali motivazioni spingono qualcuno a voler condividere materiale intimo di una persona, senza il suo consenso?
Alcuni possono considerarlo come un gioco. Altri possono avere lo scopo di ottenere un guadagno economico: possono infatti vendere le immagini sessualmente esplicite, oppure potrebbero tentare di ricattare minacciando di diffondere le immagini a meno che la vittima non paghi una certa cifra o non faccia determinate cose. Infine, un’altra spiegazione può essere legata alla gratificazione sessuale e al mostrare la propria mascolinità a un gruppo di pari (Henry & Flynn, 2019).
Pensiamo, ad esempio, al caso in cui un ragazzino scelga di diffondere materiale sessualmente esplicito della propria partner per vantarsi della sua vita sessuale. In questo caso non c’è vendetta, dunque, bensì la condivisione di una ‘preda’ con i compagni al fine di sentirsi riconosciuto nella propria autostima.
Il codice penale
Indipendentemente dalle motivazioni sottostanti è importante sottolineare che si tratta di un reato che esiste da circa un anno. È stato introdotto con l’approvazione del Codice rosso (legge 69 del 19 luglio 2019) sulle violenze domestiche. La norma parla di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate e tale reato è punito con la reclusione da uno a sei anni.
Due sono gli elementi di offesa: il non consenso della vittima e il fatto che il contenuto sia di natura intima o sessualmente esplicito. Esiste l’aggravante della relazione affettiva, se c’è o c’è stata, come esiste per gli altri reati di violenza e quindi la pena risulterà più severa qualora i fatti siano commessi da un ex partner che decide di diffondere il materiale intimo al termine della relazione dopo che quel materiale era stato prodotto consensualmente nel corso della relazione.
Prevalenza del fenomeno di pornografia non consensuale e revenge porn
La prevalenza del fenomeno è estremamente difficile da valutare poiché dipende da quanto la vittima lo riferisca alle autorità e molti fattori possono influenzare una vittima nel non denunciare questo tipo di reato.
Dato che le vittime hanno subito umiliazioni e sono state sottoposte a diffamazione personale è comprensibile che non vogliano riferire le loro esperienze temendo un giudizio o anche solo per proteggersi nuovamente dall’imbarazzo e dalla vergogna di essere ancora una volta oggetto di umiliazione nel far visualizzare le immagini. La paura dunque di ulteriore vittimizzazione, e l’imbarazzo dovuto alla natura privata delle immagini, possono influenzare le vittime a non denunciare questi reati, nonostante il danno subito.
Uno studio online volto a stimare la prevalenza della pornografia non consensuale (nella sua definizione più ampia) è stato condotto in Australia (Henry, Powell & Flynn, 2017). I risultati hanno evidenziato che 1 australiano su 10 aveva vissuto l’esperienza di diffusione di proprie immagini sessuali senza aver fornito il consenso. Tale risultato è coerente con quanto emerso in uno studio più recente su un campione online di 3044 adulti americani (Ruvalcaba & Eaton, 2019), dove 1 su 12 (8%) ha riferito di essere stato vittima di pornografia non consensuale in un qualche momento della propria vita e 1 su 20 (5%) ha condiviso di essere stato responsabile della diffusione di immagini e video intimi senza il consenso della vittima.
Solo uno studio ha fatto esplicito riferimento al revenge porn. Usando un campione online rappresentativo della popolazione adulta americana, Lenhart, Ybarra e Price-Feeney (2016) hanno trovato che 1 americano su 25 (4%) aveva subito la diffusione di un’immagine intima personale sul web, con l’intento specifico di arrecare loro un danno.
La restrizione a immagini distribuite nel web può aver portato a una sottostima del fenomeno dal momento che il web rappresenta solo uno dei domini tecnologici dove la violenza può estrinsecarsi.
Recentemente la British Broadcasting Corporation, meglio conosciuta come BBC, ha riferito di un drammatico aumento delle segnalazioni relative al revenge porn, come se questo fenomeno si fosse esacerbato durante il lockdown conseguente all’emergenza da covid-19.
Sebbene la condivisione di foto intime sia ormai parte integrante delle relazioni sentimentali del nostro tempo, forse la questione dell’aumento dei livelli di revenge porn mette in luce un problema emerso come conseguenze della pandemia da coronavirus. Ovvero l’impatto che può aver avuto sulle relazioni intime delle persone limitando le connessioni intime reali e aumentando quelle virtuali, creando così il terreno per la diffusione di un reato grave con pesanti ripercussioni psicologiche sulle vittime.
Quali conseguenze per le vittime di revenge porn?
Il revenge porn può avere un forte impatto emotivo sulle persone coinvolte.
Parte dell’impatto è sicuramente legato all’emozione di colpa: lo scenario che possa venir detto loro che avrebbero dovuto conoscere i rischi quando hanno inviato quelle foto corroborerebbe l’idea di aver in qualche contribuito alla violenza. Del resto gli adulti che scelgono di condividere foto intime con partner consenzienti non hanno fatto nulla di sbagliato. La colpa è solo delle persone che hanno scelto di condividere le immagini senza il loro permesso.
Analogamente ai casi di violenza sessuale, purtroppo ci sono prove che indicano che le vittime di revenge porn si assumano la responsabilità, almeno in parte, di quanto successo avendo loro stesse condiviso quelle immagini che poi sono diventate oggetto di vendetta da parte dell’altro. Inoltre, l’invio di materiale sessualmente esplicito da parte di una donna la colloca sicuramente in una posizione a maggior rischio di stigmatizzazione sociale rispetto a un uomo ed è proprio a causa di questo stigma che le vittime possono tendere a non cercare aiuto e a non denunciare questo reato (Ruvacalba & Eaton, 2019).
È interessante riflettere sul significato sottostante alla terminologia adottata. Purtroppo i media hanno reso popolare l’espressione revenge porn che risulta una scelta semantica sufficiente di per sé a gettare colpa ingiustificata sulle vittime. Il termine revenge porn, infatti, suggerisce che la vittima abbia provocato un danno o un dolore al perpetratore in conseguenza del quale questi sta cercando vendetta, ferendola o danneggiandola, e questo (ahimè!) supporta la tendenza a biasimare le vittime per l’abuso che hanno ricevuto. Per questo motivo alcuni autori tendono a non usare il termine revenge porn (Maddocks, 2018).
Dal sexting al revenge porn
Sebbene gran parte dell’attenzione negativa dei media riguardo al sexting ruota attorno al concetto di disattenzione, ingenuità, non curanza di giovani donne che inviano foto nude a chiunque senza considerarne i fattori di rischio (Albury e Crawford, 2012). In realtà le donne tendono generalmente a raggiungere un certo livello di fiducia nei confronti della persona prima di sentirsi a proprio agio nell’inviare materiale intimo.
Questa prospettiva contrasta con l’argomento in base al quale la donna avrebbe dovuto conoscere meglio la persona prima di condividere foto o video intime di sé. È interessante notare quanto la tendenza automatica sia quella a pensare che la donna avrebbe dovuto essere più cauta, piuttosto che condannare l’azione violenta da parte dell’altro.
Come vi sentireste se il vostro corpo o un video di un vostro rapporto sessuale fosse visto da tutti, senza il vostro consenso? E come vi sentireste nel sapere che colui che ha commesso questo è una persona che avete amato, con il quale avete avuto una relazione?
Ci si sente violati, traditi rispetto a un patto implicito di riservatezza di quel materiale. È indubbio che il tradimento subito da qualcuno che amavamo, e a cui tenevamo, cambia la percezione di fiducia dell’altro. È esperienza comune quella di sviluppare temi di profonda sfiducia e di minaccia alla propria sicurezza personale. La persona si sente danneggiata, oltraggiata da un’azione che può essere decodificata come prova di non contare niente. L’emozione di vergogna, imbarazzo e il sentimento di umiliazione sono al cuore dell’esperienza di revenge porn.
Conseguenze psicologiche del revenge porn
Come con altre forme di abuso sessuale, le vittime di pornografia non consensuale e revenge porn possono avere conseguenze a livello fisico e mentale. Sebbene la pornografia non consensuale sia sempre più riconosciuta come una forma di abuso sessuale il fatto che sia perpetrata non usando la forza fisica può rendere le vittime meno inclini a etichettarla come violenza sessuale.
La ricerca qualitativa condotta da Bates (2016) supporta l’idea che la pornografia non consensuale ha molte analogie, in termini di conseguenze per la salute delle vittime, alla violenza sessuale agita di persona. In interviste individuali con 18 donne vittime di revenge porn, le partecipanti hanno riportato sintomi di disturbo da stress post-traumatico, ansia, depressione, pensieri suicidari, comportamenti disfunzionali (autolesionismo e abuso di alcol), e altri esiti negativi sulla propria salute mentale come conseguenza della loro vittimizzazione (Bates, 2016).
La minaccia del riemergere degli abusi porta le vittime a riferire continui timori, come se la persona rivivesse costantemente la minaccia relativa al fatto che le immagini possano essere condivise nuovamente o che possano essere rimesse online, e che quindi altre nuove persone potrebbero vedere questo materiale intimo.
Le vittime tendono a essere ipervigilanti nelle interazioni virtuali e reali, a controllare internet e i social in modo compulsivo al fine di scongiurare il rischio di essere nuovamente visibili. Talvolta si prova un senso di impotenza rispetto all’impossibilità di essere certi di non essere più oggetto di diffusione. Anche se infatti certi contenuti vengono tolti dal web, alcuni utenti possono condividere le immagini mediante i social rendendo difficile la rimozione permanente di ogni traccia da internet.
Si tratta di un danno continuo e di lunga durata in cui le vittime vivono costantemente la paura di essere riconosciute, il non sapere chi e quanti possano aver visto le nostre foto e tutto questo può andare potentemente a interferire negativamente nel proprio funzionamento quotidiano.
Revenge porn e stalking
Capita che in conseguenza della diffusione di materiale sessuale le vittime di revenge porn siano anche vittime di stalking da parte di sconosciuti che hanno trovato il loro riferimento sul web (Citron & Franks, 2014). Talvolta le molestie possono diventare così intollerabili e inarrestabili da avere conseguenze gravissime. Per esempio, alcune donne sono state costrette a trasferirsi in paesi stranieri, cambiando il proprio nome, al fine di fuggire ai danni emotivi e alle ripercussioni personali.
Le donne perdono il lavoro in conseguenza della diffusione di materiale sessualmente esplicito. È il caso recente della maestra di Torino che in seguito alla pubblicazione di sue foto intime è stata licenziata da scuola. In quel caso la moglie di un amico ha visto i video e ha riconosciuto che la protagonista fosse la maestra d’asilo dei propri figli e così ha deciso di inviare il video alla preside la quale ha preso il provvedimento di espulsione dalla scuola.
Oltre alla perdita di lavoro possiamo riscontrare anche una difficoltà a ottenere un nuovo impiego. Immaginiamo un potenziale datore di lavoro che effettuando una ricerca sul web di un candidato trovasse informazioni della persona che si collegano a immagini nude e sessualmente esplicite. È legittimo pensare che ci sarebbero pesanti implicazioni.
Aumentare la consapevolezza del fenomeno del revenge porn permette di promuovere un crescente riconoscimento di quanto la tecnologia sia uno strumento sempre più utilizzato per molestare, intimidire, umiliare gli altri. Solo così le vittime possono essere pienamente supportate, a livello psicologico e legale, e incoraggiate a farsi avanti.
Sebbene il revenge porn è sempre più all’attenzione dei media, anche in seguito a vicende di cronaca, potrebbero esserci persone che non sono consapevoli che si tratti di un reato. Di conseguenza non saranno a conoscenza delle procedure in atto per proteggersi nel caso in cui diventassero vittima.
La criminalizzazione di ogni forma di diffusione di materiale sessuale senza il consenso della vittima è essenziale visto che le conseguenze psicologiche e fisiche sulle vittime sono analoghe a ogni altra forma di violenza e abuso sessuale.
Bibliografia
- Albury, K., & Crawford, K. (2012). Sexting, consent and young people’s ethics: Beyond Megan’s story. Continuum: Journal of Media & Cultural Studies, 26, 463-473.
- Bates, S. (2016). Revenge porn and mental health: a qualitative analysis of the mental health effecs of revenge porn on female survivors. Feminist Criminology, 1-21.
- Citron, D. K., & Franks, M. A. (2014). Criminalizing revenge porn. Wake Forest Law Review, 49, 345-391.
- Criddle, C. (2020). ‘Revenge porn new normal’ after cases surge in lockdown. BBC Technology reporter. https://www.bbc.co.uk/news/technology-54149682.
- Eaton, A. E., & McGlynn, C. (2020). The psychology of nonconsensual porn: Understanding and addressing a growing form of sexual violence. Policy insights from the behavioral and brain sciences, 7(2), 190-197.
- Hall, M., & Hearn, J. (2019). Revenge pornography and manhood acts: A discourse analysis of perpetrators’ accounts. Journal of Gender Studies, 28(2), 158-170.
- Henry, N., & Flynn, A. (2019). Image-based sexual abuse. Online distribution channels and illicit communities of support. Violence Against Women, 25(16), 1932-1955.
- Henry, N., Powell, A., & Flynn, A. (2017). Not just ‘revenge pornography’: Australians’ experiences of image-based abuse. A summary report. RMIT University.
- Lenhart A, Ybarra M & Price-Feeney M 2016. Nonconsensual image sharing: One in 25 Americans has been a victim of “revenge porn”. New York: Data & Society Research Institute, Center for Innovative Public Health Research. https://datasociety.net/pubs/oh/Nonconsensual_Image_Sharing_2016.pdf
- Maddocks, S. (2018). From nonconsensual pornography to image-based sexual abuse: Charting the course of a problem with many names. Australian Feminist Studies, 33(97), 345-361
- McGlynn, C., Rackley, E., & Houghton, R. (2017). Beyond ‘revenge porn’: The continuum of image-based sexual abuse. Feminist Legal Studies, 25(1), 25-46.
- Ruvalcaba, Y., & Eaton, A. A. (2019). Nonconsensual pornography among U.S. adults: A sexual scripts framework on victimization, perpetration, and health correlates for women and men. Psychology of Violence, 10(1), 68-78.
- Walker, K., & Sleath, E. (2017). A systematic review of the current knowledge regarding revenge pornography and non-consensual sharing of sexually explicit media. Aggression and Violent Behavior, 36, 9-24.