La resilienza è un costrutto trasversale a molti ambiti. Si parla di resilienza in ingegneria e in metallurgia, intendendo la capacità di un materiale di resistere agli urti senza spezzarsi, quindi di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stato sottoposto a schiacciamento o deformazione; si parla di resilienza in informatica, riferendosi a un sistema che continua a funzionare, nonostante alcune anomalie. Persino in biologia, si parla di organismi resilienti, in grado di autoripararsi dopo aver subito un danno.
In psicologia, invece, la resilienza definisce la capacità delle persone di riuscire ad affrontare gli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà. In pratica la persona resiliente è quella che riesce a non farsi travolgere dagli eventi ma che riesce a dare un senso a quanto accade e a trovare le risorse per andare avanti.
Avere buona resilienza non significa infatti solo sapersi opporre alle pressioni dell’ambiente, ma implica una capacità di andare avanti, nonostante le crisi e permette la ricostruzione di un percorso di vita. L’individuo resiliente non è colui che ignora o nega le difficoltà e neanche le minimizza. Al contrario, è colui che riesce a trasformare l’evento negativo in fonte di apprendimento, inteso come la capacità di acquisire competenze utili per migliorare la propria qualità di vita e proseguire nel proprio percorso di crescita e realizzazione.
In pratica, la resilienza ci insegna a considerare le difficoltà come opportunità. Coloro che possiedono un alto livello di resilienza riescono a fronteggiare efficacemente le avversità, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti.
Sin dai tempi antichi, gli uomini si sono distinti dagli animali per la capacità innata di resistere a vari disastri naturali alle guerre ed alle carestie. Evitare le sconfitte, le delusioni, i conflitti è impossibile.
’indagine sui processi di resilienza si è sviluppata originariamente in ambito psicopatologico, al termine del secondo conflitto mondiale con l’intento di individuare le risorse che permettono ad alcuni individui di mantenere un buon adattamento psicologico a fronte dei numerosi casi di disturbi post traumatici da stress ed altre forme di patologia riscontrate nei reduci.
Successivamente, gli studi sulla resilienza sono proseguiti nell’ambito della psicologia dell’età evolutiva con l’intento di esplorare le diverse traiettorie di sviluppo di soggetti passati per esperienze evolutive segnate da eventi traumatici.
Uno dei primi studi sulla resilienza fu condotto nel 1992 dal gruppo dell’Università di Davis (California), guidato da Emma Werner su 698 neonati dell’isola Kauai (Hawai). Molti di loro avevano una probabilità elevata di sviluppare problemi, a causa di diversi fattori di rischio: complicazioni alla nascita, povertà, vivere in famiglie con problemi di alcolismo, malattie mentali, violenza, litigi. Tuttavia, i risultati hanno evidenziato che, all’età di 18 anni, mentre 2/3 dei ragazzi presentavano molti disagi, circa 1/3 di essi era cresciuto in maniera adeguata, avviando relazioni stabili, svolgendo attività lavorative ed erano diventati soggetti che coglievano ogni occasione per migliorarsi.
Il gruppo della Werner evidenziò come l’aver ricevuto da persone significative un’accettazione incondizionata e l’aver saputo attribuire senso e significato alla vita avesse reso questi individui più immuni agli stressor cui erano stati sottoposti, promuovendo in loro un processo di resilienza.
E’ possibile individuare cinque componenti che contribuiscono a sviluppare la resilienza:
1. Ottimismo: è la disposizione a cogliere il lato buono delle cose, la tendenza ad aspettarsi un futuro ricco di occasioni positive, la propensione a sminuire le difficoltà della vita, cercando sempre di mantenere più lucidità per trovare soluzioni ai problemi. Il soggetto ottimista, a differenza del pessimista, interpreta le difficoltà come transitorie, e non permanenti; come circoscritte, e non pervasive a tutti gli ambiti di vita; infine, come non unicamente dipendenti dalla sua responsabilità, bensì come frutto del concorso di più variabili, alcune delle quali fuori dal suo controllo.
2. Autostima: una elevata autostima protegge da sentimenti di ansia e depressione e influenza positivamente lo stato di salute fisica. Avere una bassa considerazione di sé ed essere molto autocritici, infatti, conduce a una minore tolleranza delle critiche altrui, cui si associa una quota maggiore di dolore, aumentando la possibilità di sviluppare sintomi depressivi.
3. Hardiness (robustezza psicologica): è un tratto di personalità che comprende tre dimensioni: impegno, controllo e gusto per le sfide. Per impegno si intende la tendenza a lasciarsi coinvolgere nelle attività. La persona con questo tratto si dà da fare, è attiva, non è spaventata dalla fatica; non abbandona facilmente il campo; è attenta e vigile, ma non ansiosa; valuta le difficoltà realisticamente. Perché ci sia impegno è necessario avere degli obiettivi, qualcosa da raggiungere, per cui lottare e in cui credere. Per controllo si intende la convinzione di poter dominare in qualche modo ciò che si fa o le iniziative che si prendono, ovvero la convinzione di non essere in balia degli eventi. L’espressione gusto per le sfide fa riferimento alla disposizione ad accettare i cambiamenti. La persona con questo tratto vede gli aspetti positivi delle trasformazioni e minimizza quelli negativi. Il cambiamento viene vissuto più come incentivo a crescere che come difficoltà da evitare a tutti i costi e le sfide vengono considerate stimolanti piuttosto che minacciose. La persona generalmente è aperta e flessibile.
4. Emozioni positive: ovvero il focalizzarsi su quello che si possiede invece che su ciò che ci manca.
5. Supporto sociale: capacità di costruire relazioni eterogenee e molteplici che possano sostenere l’individuo nei momenti difficili. Questo tipo di relazioni crea un clima di amore e di fiducia e fornisce incoraggiamento e rassicurazione favorendo, così, l’accrescimento del livello di resilienza. E’ importante sottolineare come la presenza di persone disponibili all’ascolto sia efficace poichè mobilita il racconto delle proprie difficoltà. Raccontare è liberarsi dal peso della sofferenza e l’accoglienza da parte degli altri segnerà il passaggio da un racconto tutto interiore alla condivisione partecipata dell’accaduto.
In definitiva, ciò che determina la qualità della resilienza è la qualità delle risorse personali e dei legami che si sono potuti creare prima e dopo l’evento traumatico.
Uno dei fattori più importanti da promuovere in un processo di resilienza è l’alta tolleranza alla frustrazione, ovvero la capacità di dilazionare la gratificazione del momento presente per perseguire e perseverare nel raggiungimento dei propri obiettivi. Questi devono essere specifici, graduali e realistici, in modo da risultare sfidanti, ma non eccessivi. La capacità di tollerare la frustrazione permette anche di metabolizzare disagi, sconfitte e fatiche.
La resilienza si apprende con l’esperienza; non è una qualità innata e immutabile e chiunque può svilupparla e imparare a migliorare a partire dalle proprie difficoltà. E’ necessario iniziare con il diventare consapevoli dei propri limiti e delle proprie potenzialità, per poi imparare ad utilizzare le seconde a sostegno dei primi.
Avere un alto livello di resilienza non significa non sperimentare affatto le difficoltà o gli stress della vita, significa avere le risorse per riuscire ad affrontarli senza farsi sopraffare dagli eventi stessi. Avere un alto livello di resilienza non significa essere infallibili ma disposti al cambiamento quando necessario; disposti a pensare di poter sbagliare. La resilienza è data dall’interazione tra ciò che ho (risorse esterne), ciò che io sono (forze interiori) e ciò che io posso fare.
Un modo per implementare la resilienza è avvicinarsi alla pratica della Mindfulness, e nello specifico sviluppare la capacità di decentrarsi dai propri pensieri, considerandoli per quello che sono, ovvero contenuti della mente. L’accettazione intenzionale e non giudicante del qui e ora permette, da un lato, di depurare la valutazione cognitiva da errori e distorsioni, dall’altro, facilita la gestione dello stress.
L’attitudine ad accettare sentimenti spiacevoli, a osservare pensieri e sensazioni, senza reagire a essi, è una delle modalità per costruire e rinforzare il processo di resilienza. Resiliente è colui il quale distingue ciò che può e non può cambiare e, in quest’ultimo caso, è comunque consapevole di poter modificare la propria interpretazione degli eventi; la resilienza è infatti in gran parte frutto del modo cui l’individuo concettualizza e spiega gli eventi che accadono e quanto si percepisce in grado di incidere su di essi.
Chi ha una buona resilienza vive le emozioni negative e dolorose con accettazione, accogliendole, senza privarsi al contempo della possibilità di sperimentare anche delle emozioni più positive. La persona resiliente è in grado di trovare significati nelle avversità della vita, il che è molto importante per il superamento dei traumi e degli eventi negativi.
In conclusione per diventare persone resilienti è importante essere ottimisti e trovare il lato positivo nelle cose; a fianco dell’ottimismo, poi, ci deve essere un alto livello di autostima. Ovviamente, è importante avere anche il controllo dell’ambiente, impegnarsi in ogni azione ed essere pronti a gestire i cambiamenti come sfide da vincere. Bisogna, poi soffermarsi sulle cose che si hanno e non su quelle che invece mancano. In ultimo, è fondamentale essere amati e stimati dagli altri; raccontarsi aiuta ad alleggerirsi e a gestire il dolore. E’ però opportuno tenere conto del fatto che non si è resilienti ad oltranza.
Sappiamo che esistono molte situazioni dalle quali la persona, per quanto si sforzi, non riesce ad uscir fuori, perdendo la fiducia nelle proprie capacità di farcela, non vedendo una soluzione ai suoi problemi. In questi momenti può essere di aiuto intraprendere un lavoro di psicoterapia perché in fondo lo scopo ultimo di un percorso psicologico è quello di aiutare la persona ad essere maggiormente resiliente.
Un buon percorso psicologico permette di far uscire le risorse bloccate, aiutando la persona a sviluppare nuovi punti di vista sulla situazione e ad acquisire maggiore competenza riguardo ai propri schemi di pensiero e alle proprie emozioni.