Il trauma psicologico, sebbene abbia un carattere di oggettiva gravità, è sempre definito in rapporto alla capacità del soggetto di sostenerne le conseguenze.
In questo senso, il trauma è definito come un evento emotivamente non sostenibile per chi lo subisce, che minaccia la salute e il benessere di un individuo, rendendolo impotente di fronte a un pericolo (Eisen & Goodman, 1998).
L’incapacità di reagire, l’impotenza dinanzi al trauma rappresenta dunque l’elemento centrale nella comprensione dell’evento che assume la connotazione di trauma.
Il trauma rappresenta un’esperienza devastante anche dal punto di vista cognitivo, dal momento che ci spinge a mettere in discussione gli assunti di base della sopravvivenza. Ognuno di noi ha la propria visione del mondo fatta di presupposti, aspettative, convinzioni che, senza neppure rendercene conto, guidano il nostro comportamento quotidiano. Rappresentano la spina dorsale del nostro agire.
Quando un evento traumatico imbatte nella vita di un individuo, tre assunzioni fondamentali possono essere violate (Janoff-Bulman, 1992).
La prima è che il mondo è benevolo e non accadranno cose brutte. Intellettualmente sappiamo che le cose negative accadono ma emotivamente è come se dicessimo: “non a me”. Quando ciò si verifica, ci troviamo a fare i conti con la nostra vulnerabilità emotiva: rendersi conto che quell’evento negativo sia accaduto proprio a noi risulta davvero ‘troppo’.
La seconda assunzione che viene violata nel caso di un trauma è che la vita è un qualcosa di controllabile, il cui esito è determinato dalla persona. Il presupposto sottostante è l’illusione del controllo: quanto accade dipende da ciò che faccio. I sismologi possono prevedere un terremoto o limitarne i danni, ma certamente non possono evitarlo. Dopo un trauma o una perdita significativa, dunque, il mondo non è più prevedibile e internamente non ci si sente più al sicuro.
Infine, l’ultima assunzione a essere violata è che il Sé ha valore. La maggior parte delle persone mantiene nel profondo la credenza di essere degne e meritevoli di risultati positivi e che quindi alle persone buone non accadono cose brutte.
In sintesi, possiamo asserire che il trauma rappresenta un evento psicologicamente ‘sismico’ che riduce in macerie la nostra comprensione del mondo, di sé e degli altri; va a minare le fondamenta delle nostre convinzioni costringendoci a metterle in discussione.
Siamo letteralmente scossi e si impone la necessità di ricostruire nuovi presupposti di base. La ricostruzione fisica di una città che avviene dopo un terremoto può essere paragonata proprio all’elaborazione cognitiva e alla riorganizzazione che un soggetto vive subito dopo un trauma, alla ricerca di una nuova visione del mondo entro cui perseguire nuovi obiettivi.
È possibile che questa ricostruzione di sé conseguente a un evento traumatico si accompagni a un risvolto positivo? Oppure dobbiamo rassegnarci all’idea di trauma come qualcosa di terribilmente negativo che fa sentire come se la vita fosse finita anche molto tempo dopo che l’evento è passato?
Negli ultimi vent’anni, gli psicologi hanno mostrato un crescente interesse alla percezione di cambiamenti di vita positivi che emergono a seguito di situazioni di vita difficili, come ad esempio la diagnosi di una malattia cronica o terminale, perdere una persona cara, o anche una violenza sessuale.
Questo fenomeno è descritto come crescita post-traumatica (Tedeschi & Calhoun, 2004) e i ricercatori hanno scoperto cinque specifiche aree di crescita che spesso emergono dopo un evento traumatico: relazioni interpersonali, identificazione di nuove possibilità per la propria vita, forza personale, spiritualità e apprezzamento per la vita.
Per esempio, i soggetti a seguito di un evento avverso possono arrivare a instaurare relazioni più intime e profonde caratterizzate da un maggior senso di empatia per gli altri, a un’apertura nei confronti di nuove esperienze o a cambiamenti negli scopi di vita; arrivano a sviluppare una maggiore forza interiore nell’affrontare gli ostacoli della vita, così come a un aumento della vita spirituale, fino a un maggior senso di riconoscenza verso la propria vita che si accompagna al desiderio di vivere più pienamente ogni singolo momento.
Il processo di crescita post-traumatica non è una diretta conseguenza del trauma quanto piuttosto della lotta incessante al fine di raggiungere un adattamento alla nuova realtà imposta proprio dall’evento traumatico.
Tra i processi psicologici che possono spiegare come le percezioni di cambiamento positivo si verificano a seguito di eventi stressanti vi è anche il dibattito se il costrutto di crescita post-traumatica rappresenti una reale crescita.
In altri termini, Taylor (1983) ha proposto che gli individui di fronte a eventi traumatici sviluppano e mantengono illusioni positive non legate a reali cambiamenti positivi.
Creatività come manifestazione della crescita post-traumatica
Le esperienze di vita negative rappresentano un tema ricorrente nelle biografie di artisti illustri. Pensiamo, per esempio, alla celebre pittrice messicana Frida Kahlo.
La sua vita fu intensa e crudele caratterizzata da gravi eventi personali: prima la poliomielite, poi un incidente stradale in cui rimase gravemente ferita, fino a tre gravidanze che non è riuscita mai a portare a termine. È interessante chiedersi quanto possa essere riuscita a trasformare la sua sofferenza in arte, a sfruttare il dolore delle esperienze di vita negative come carburante per ispirare e motivare il suo lavoro artistico.
Le esperienze di vita, riportate da individui altamente creativi, suggeriscono che gli eventi traumatici possono aver giocato un ruolo nell’accrescere la loro creatività.
Queste osservazioni, perlopiù aneddotiche, sembrano suggerire una relazione stretta tra esperienze di vita traumatiche e il pensiero creativo, e puntano alla possibilità che questi individui possano essere stati in grado di trasformare le loro esperienze negative in fonte di ispirazione e motivazione per il loro lavoro, contribuendo (forse) al loro processo di cura.
Marie Forgeard, psicologa del McLean Hospital e della Facoltà di Medicina di Harvard, nel 2013 ha condotto una ricerca che ha fornito un supporto scientifico all’esistenza di una relazione tra esperienze di vita avverse e la percezione di creatività e all’ipotesi che le percezioni di un incremento nella creatività costituiscano una manifestazione della crescita post-traumatica.
Secondo Forgeard (2013) nel momento in cui un evento doloroso ci costringe ad abbandonare le nostre convinzioni mandandole in frantumi, la mente si apre a nuove domande e a nuove sfide, aiutando a stimolare l’estro e la fantasia. Ecco dunque che il dolore e la sofferenza possono rappresentare la molla per una crescita creativa che permetta di reinvestire in una nuova rappresentazione di sé e del mondo circostante e che attribuisca senso e significato all’esperienza traumatica.
I risultati di questa ricerca non suggeriscono certo che la sofferenza conseguente a un evento traumatico rappresenti la condizione necessaria e sufficiente allo sviluppo della creatività. Le esperienze traumatiche, infatti, sono psicologicamente devastanti, a prescindere dal tipo di crescita creativa che ne consegue, e per fortuna ci sono molti stimoli differenti che possono ispirare e motivare la nostra creatività.
Tuttavia, dato che la maggior parte delle persone sfortunatamente fa esperienze di eventi negativi in un qualche momento della loro vita, risulta davvero una sfida affascinante riuscire a sfruttare queste esperienze, sia da soli che con l’aiuto di uno psicoterapeuta, per guarire, crescere e soddisfare il proprio potenziale creativo.
Bibliografia essenziale:
Eisen, M. L., & Goodman, G. S. (1998). Trauma, memory, and suggestibility in children. Development and Psychopathology, 10, 717-738.
Forgeard, M. J. C. (2013). Perceiving benefits after adversity: the relationship between self-reported posttraumatic growth and creativity. Psychology of Aesthetics, Creativity, and the Arts, 7(3), 245-264.
Janoff-Bulman, R. (1992). Shattered assumptions: Towards a New Psychology of Trauma. New York: Free Press, pp.256.
Taylor, S. (1983). Adjustment to threatening events: A theory of cognitive adaption. American Psychologist, 38, 1161-1173.
Tedeschi, R. G., & Calhoun, L. G. (2004). Posttraumatic growth: conceptual foundations and empirical evidence. Psychological Inquiry, 15, 1–18.