La curiosità del mondo occidentale rispetto alle potenzialità e ai vari impieghi delle sostanze allucinogene fa risalire le sue origini alla fine degli anni ‘50 del secolo scorso. Di pari passo, le ricerche inerenti alle potenzialità terapeutiche di tali sostanze non si sono mai fermate, nonostante abbiano avuto una notevole battuta d’arresto dopo gli anni ‘70.
Ondate di ricerca
La prima fase di ricerche cliniche con psichedelici classici o serotoninergici è stata condotta, in Europa e negli Stati Uniti, dalla fine degli anni ’50 fino alla metà degli anni ’70, su oltre 40.000 partecipanti e ha prodotto oltre un migliaio di articoli scientifici (Ross et al., 2022).
I primi studi scientifici sugli psichedelici per il trattamento del distress psicologico si sono concentrati sull’angoscia di fine vita in malati terminali di cancro con intenso dolore cronico (Kast e Collins, 1964; Kast, 1966, 1967, in Ross et al., 2022).
Questi studi hanno suggerito che il gruppo trattato con LSD riportava una diminuzione del dolore, sia acuto che cronico, fino a diverse settimane dopo la sessione, una diminuzione della depressione e della paura della morte.
Gli studi, tuttavia, presentavano carenze sostanziali in termini di rigore scientifico, tra cui l’assenza di un gruppo placebo e un gruppo di controllo. Si tratta di somministrazioni in aperto senza accecamento, nessuna misura di esito standardizzata, metodologia poco chiara per la valutazione del dolore e mancanza di un’adeguata preparazione psicoterapeutica (supporto e integrazione prima, durante e dopo le sessioni di somministrazione del farmaco).
La combinazione dei farmaci con la psicoterapia
Dalla metà degli anni ’60 alla metà degli anni ’70 allo Spring Grove State Hospital di Baltimora (Grof et al., 1973; Grof e Halifax, 1977; Pahnke et al., 1969; Richards, 1978, in Ross et al., 2022) è stato redatto e utilizzato un protocollo che integrasse l’uso di micro dosi di LSD in combinazione con la psicoterapia.
Il target degli interventi rimaneva il disagio psichiatrico ed esistenziale e il dolore associato al cancro in fase avanzata, in ambito ambulatoriale.
Il protocollo ha prestato molta attenzione a “set e setting” ed è stato somministrato da un team di terapia della diade, con psicoterapia integrativa preparatoria e post-sessione.
Analogamente alle ricerche precedenti, questi studi hanno riportato significative riduzioni all’interno del gruppo di ansia, depressione, paura della morte e dolore.
Nello stesso modo, purtroppo, questi studi pilota sulla psicoterapia assistita da sostanze allucinogene, presentavano notevoli limitazioni. Tra cui, campioni di piccole dimensioni, mancanza di diversità etnica e mancanza di un gruppo placebo, rendendo i risultati aperti a errori di tipo I (falsi positivi) e non generalizzabili.
L’opinione pubblica su questi interventi
La demonizzazione e la guerra contro le sostanze psichedeliche, all’inizio degli anni ‘70, ha fatto sì che l’opinione pubblica rifiutasse un qualsiasi utilizzo di tali molecole anche in campo scientifico, rallentando notevolmente le ricerche in anche ambiti terapeutici.
Solo nella seconda decade del nuovo millennio, studi e sperimentazioni con molecole psichedeliche per la cura e il benessere psicologico, sono state reintrodotte e sostenute dalla comunità scientifica.
Tutto infatti è cambiato, quando lo scienziato inglese Robin Carhart-Harris ha potuto mostrare al mondo gli effetti dell’LSD sul cervello umano tramite tecniche di neuro-imaging.
Andando contro la propaganda che aveva colpito le sostanze psichedeliche negli anni precedenti, il cervello fotografato dal ricercatore inglese era magnificamente attivo, rivelando una connettività neuronale ben maggiore rispetto alle normali attività cerebrali.
Grazie anche a tali rivelazioni, le ricerche scientifiche in questo ambito hanno ripreso piede. Vari sono stati i successivi tentativi di dare un maggior rigore scientifico alle ricerche condotte.
Inoltre, gli obiettivi terapeutici si sono orientati anche al trattamento e la cura di altri disturbi psicologici come la depressione, l’ansia, le ossessioni e il PTSD.
Infine i ricercatori hanno posto la loro attenzione anche su altri gruppi di molecole psichedeliche oltre l’LSD. In particolare sembra esserci stato un ampio riconoscimento dello psilocibina come molecola d’elezione per il continuo di questi studi.
Psilocibina
La psilocibina è una delle numerose sostanze psichedeliche esplorate come potenziale terapia per i disturbi psichiatrici, è la molecola attiva dei funghi allucinogeni. Ha effetti praticamente indistinguibili dall’LSD, ma una minore durata media dei suoi effetti.
Grazie a Gordon Wasson, etnomicologo e saggista statunitense, la psilocibina viene conosciuta dal mondo occidentale intorno alla fine degli anni ‘50 (nel maggio 1957, la rivista Life pubblicò un articolo intitolato ” Seeking the Magic Mushroom”, che introdusse per la prima volta i funghi psicoattivi a un vasto pubblico).
Diversi studi hanno sperimentato una forma sintetizzata del farmaco per il trattamento di pazienti con depressione e ansia, con risultati promettenti.
Gli studi di efficacia
Da allora, molte ricerche hanno fornito prove preliminari che la terapia assistita da psilocibina può produrre miglioramenti rapidi, robusti e sostenuti, in particolare in pazienti con malattie croniche potenzialmente letali come cancro e AIDS.
Si è notata una riduzione dell’ansia correlata al cancro, della depressione e dell’ideazione suicidaria, nonché miglioramenti nel disagio esistenziale, nel benessere spirituale e nella qualità della vita.
Inoltre, la psilocibina ha provocato esperienze di tipo mistico, vissute come effetti ansiolitici e antidepressivi altamente significativi e spirituali.
I risultati, valutati longitudinalmente dopo la somministrazione di psilocibina (da 5 a 7 settimane), hanno continuato a riscontrare la presenza di effetti benefici, suggerendo un potenziale meccanismo d’azione psicologico sostenuto (Agin-Liebes et al., 2020; Griffiths et al., 2016; Grob et al., 2011; Ross et al., 2016, 2021).
Ultimi studi sul trattamento della depressione
Recentemente è stato pubblicato un nuovo studio sugli effetti della psilocibina sul cervello di pazienti affetti da depressione.
In tale ricerca, un team del Psychedelic Division di San Francisco e uno del Centre for Psychedelic Research dell’Imperial College di Londra, hanno confrontato i risultati ottenuti integrando la psilocibina e la psicoterapia.
Sono stati effettuati uno studio in aperto sulla depressione resistente al trattamento, in cui tutti i partecipanti hanno ricevuto psilocibina, e uno studio di controllo randomizzato sulla depressione che ha confrontato la psilocibina con l’escitalopram, un inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina (SSRI).
Tutti i partecipanti hanno ricevuto interventi di psicoterapia con professionisti della salute mentale e scansioni cerebrali sono state effettuate prima, un giorno dopo e tre settimane dopo che i partecipanti hanno ricevuto la terapia con psilocibina.
Ciò che è emerso è che la psilocibina è in grado di incrementare l’integrazione globale dell’attività cerebrale anche dopo alcune settimane dall’assunzione, molto dopo che gli effetti della sostanza erano svaniti.
Come funziona
Tommaso Barba, ricercatore dell’Imperial College di Londra, spiega in un’intervista come sono state condotte le sperimentazioni, i cui effetti erano oggetto della ricerca.
Da un punto di vista neuroscientifico il nostro cervello agisce creando dei modelli della nostra realtà sia a livello percettivo che astratto. Gli psichedelici, quando assunti, stimolando la neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di cambiare ed adattarsi in risposta ad un ambiente in continuo cambiamento.
Utilizzando questa capacità durante la terapia, spesso si riesce a cambiare la narrazione disfunzionale che i pazienti attribuiscono a loro stessi e al loro ambiente, spesso causa dei disturbi sofferti.
La seduta avviene in una stanza studiata per dare un senso di positività e rilassamento al paziente. Si viene accompagnati da due terapeuti, solitamente un uomo e una donna per cercare di dare un bilanciamento di supporto a chi attraversa queste esperienze molto intense.
Si sta sdraiati sul letto, con una mascherina sugli occhi e delle cuffie con una playlist di musica tendenzialmente classica pensata per seguire il trip (l’ascesa, il peak e l’atterraggio). La musica aiuta il paziente ad entrare in contatto con tematiche personali che solitamente risiedono sotto coscienza e avere la possibilità di rivivere e riaffrontare ricordi drammatici, di affacciarsi alle proprie paure e ai propri problemi, sempre con l’aiuto degli psicoterapeuti.
Risultati e follow-up
Entrambi gli studi hanno riscontrato miglioramenti grazie alla terapia con psilocibina, come misurato dai punteggi dei partecipanti sui questionari clinici.
L’analisi delle scansioni cerebrali ha rivelato un aumento della comunicazione e connettività tra quelle regioni del cervello che solitamente appaiono maggiormente segregate e isolate nei pazienti depressi.
I modelli di attività cerebrale nella depressione possono infatti diventare rigidi e limitati e la psilocibina potrebbe potenzialmente aiutare il cervello a uscire da questo solco in un modo che le terapie tradizionali non possono.
Studi precedenti avevano riportato cambiamenti iniziali nell’attività cerebrale quando le persone venivano scansionate mentre assumevano sostanze psichedeliche, ma nell’ultima ricerca tale cambiamento sembra permanere anche a distanza di settimane. Ciò che suggerisce un’azione sostenuta della sostanza anche quando non è più attiva, indicando un possibile cambiamento a livello di plasticità cerebrale.
Limiti e studi ancora necessari
Nonostante i promettenti risultati il professor Carhart-Harris sostiene che non è ancora possibile sapere con certezza per quanto tempo durano i cambiamenti nell’attività cerebrale osservati con la terapia con psilocibina e ulteriori ricerche risultano necessarie per capirlo.
Le ricadute purtroppo sono possibili e potrebbe darsi che dopo un po’ il cervello ritorni ai rigidi schemi di attività che vediamo nella depressione.
Tuttavia, i dati ottenuti sono estremamente promettenti in quanto cambiamenti simili nella connettività cerebrale non sono stati osservati nei pazienti trattati con escitalopram (antidepressivo convenzionale SSRI). Ciò suggerise che lo psichedelico funzioni in modo diverso nel trattamento della depressione, rendendo il cervello più flessibile e fluido e meno radicato nel pensiero negativo e negli schemi associati alla depressione (David Nutt, in Wall et al., 2023).
Questi risultati aprono alla possibilità di aver individuato un meccanismo fondamentale attraverso il quale la terapia psichedelica possa funzionare non solo per la depressione, ma anche per altre malattie mentali, come l’anoressia o la dipendenze (Carhart-Harris, in Zeifman et al., 2023).
Possibili rischi
La psilocibina risulta una sostanza sicura a livello organico, che non crea dipendenza e che non arreca danni ai neuroni, non è tossica (Barba T., 2023).
Nella seconda ondata di ricerca psichedelica finora, non sono stati segnalati eventi avversi gravi (SAE) medici o psichiatrici associati a farmaci in questa popolazione. Ciò suggerisce che la psicoterapia assistita da sostanze psichedeliche sia sicura da somministrare attraverso l’uso di appropriate strategie di mitigazione del rischio come l’esclusione della malattia psicotica (che può essere slatentizzata dalle esperienze psichedeliche).
Serve una solida preparazione psicoterapeutica, supporto durante la sessione e integrazione in seguito, permettendo a chi assume la terapia di essere in grado di integrare il vissuto esperito nelle sessioni di trattamento nella vita di tutti i giorni (Ross et al., 2022).
I pazienti con depressione non dovrebbero tentare di auto-medicarsi con la psilocibina, poiché l’assunzione in assenza di queste attente precauzioni potrebbe non avere un esito positivo.
Limiti dello studio
Nonostante il tentativo di dare maggiore rigore scientifico, come in ogni studio, anche Carhart-Harris e Nutt riconoscono alcuni limiti della loro ricerca.
Il campione è molto ristretto sia in termini numerici sia riguardo a determinate caratteristiche di selezione. In questo stadio, gli screening sono stati molto restrittivi. Infatti, si sono reclutati pazienti non estremamente complicati in modo da poter isolare i vari fattori.
Inoltre, sono stati evitati pazienti con multiple diagnosi psichiatriche, e tendenzialmente sono stati scelti coloro che avevano diagnosi più “pure”. I pazienti non dovevano avere disturbi psicotici o disturbi bipolari o altre condizioni che potevano compromettere l’alleanza con il terapeuta che si deve formare prima delle sessioni.
Infine, i risultati iniziali dei due studi condotti hanno riportato una riduzione delle misure di depressione, ma il meccanismo alla base di come il trattamento esercita questi effetti non è ancora completamente chiaro.
Conclusioni
Questi ultimi studi aprono la possibilità a un eventuale utilizzo di sostanze psichedeliche, e in particolare della psilocibina, come coadiuvante dell’attivazione cerebrale e connettività emotiva del paziente, rendendo così la psiche maggiormente sensibile e malleabile a un intervento di psicoterapia mirato.
Se ancora i dati a disposizione non risultano completamente soddisfacenti, i ricercatori stanno facendo passi in avanti enormi. Se e quando riusciranno a spiegare l’esatto funzionamento della psilocibina in ambito terapeutico, saranno riusciti a mitigare i limiti delle loro ricerche e avranno determinato l’effettiva rischiosità di tali interventi, sarà compito della psicoterapia indagare e formarsi affinché si possa individuare un approccio funzionale al paziente trattato con psilocibina.
La strada per mettere a disposizione, su larga scala, tali tipi di interventi appare ancora lunga, ma già qualcosa di muove. Ad esempio dall’anno prossimo in Oregon sarà possibile richiedere interventi terapeutici integrati all’assunzione di psilocibina.
L’Oregon Psilocybin Services, un braccio dell’Oregon Health Authority, ha infatti dichiarato di aver rilasciato una licenza a EPIC Healing Eugene che diventerà il primo centro di servizi autorizzato nello stato. Una volta ottenuta la licenza, i centri di servizio possono assumere e/o stipulare contratti con facilitatori autorizzati che sono addestrati a fornire sessioni di preparazione, amministrazione e integrazione ai clienti.
Bibliografia
- Barba T., “La psilocibina è davvero il futuro della medicina?”, 2023, RollingStone Italia
- Ross S., Agrawal M., Griffiths R.R., Grob C., Berger A., Henningfield J.E., (2022)
- Psychedelic-assisted psychotherapy to treat psychiatric and existential distress in life-threatening medical illnesses and palliative care, Neuropharmacology, Volume 216
- Wall M.B., Lam C., Ertl N., Kaelen M., Roseman L., Nutt D.J., Carhart-Harris R.L., (2023) Increased low-frequency brain responses to music after psilocybin therapy for depression, Journal of Affective Disorders, Volume 333,Pages 321-330
- Zeifman R.J., Wagner A.C., Monson C.M., Carhart-Harris R.L., (2023) How does psilocybin therapy work? An exploration of experiential avoidance as a putative mechanism of change., J Affect Disord, Vol: 334, Pages: 100-112