Psicobiotica è un termine coniato recentemente e fa riferimento al rapporto tra mente, batteri e intestino.
Soltanto negli ultimi 10-15 anni si è scoperta con certezza la connessione diretta tra intestino e cervello (tanto che l’intestino viene chiamato “il secondo cervello”). Però era ormai da diversi decenni che i ricercatori avevano cominciato a orientare i loro studi sulle relazioni esistenti tra la flora intestinale e la nostra salute fisica e mentale.
L’organismo umano fin dalla nascita è abitato da una vasta gamma di microrganismi (batteri, funghi, archeobatteri, protozoi e virus) che vivono e colonizzano le superfici corporee esposte, le mucose comunicanti con l’esterno e soprattutto il tubo digerente, dove svolgono le funzioni principali. Questo insieme di microrganismi, in passato chiamato con il termine di “flora batterica” o “flora intestinale” perché in tempi remoti i batteri erano ancora poco conosciuti e venivano considerati alla stregua di piante, è stato recentemente denominato Microbiota.
Microrganismi intestinali
Attualmente sappiamo che questa grande comunità di microrganismi intestinali (il peso dei microbi nel nostro intestino è quasi uguale al peso del cervello) può produrre sostanze assai benefiche per la salute. Come per esempio vitamine o molecole come i neurotrasmettitori, che, arrivando fino al cervello, possono generare diversi sentimenti ed emozioni. E’ quindi scientificamente dimostrato che lo stato del nostro intestino influenza il nostro umore e la nostra salute mentale.
Ma è una strada a doppio senso, poiché la mente influenza anche il nostro intestino. Le prime supposizioni erano derivate da esperimenti nei ratti che dimostrarono che una condizione di stress, quale per esempio la separazione precoce dalla loro madre, può alterare il loro microbiota e di conseguenza il loro comportamento.
Gli studi scientifici
Il ruolo cruciale del microbiota intestinale nello sviluppo del cervello è stato dimostrato negli animali privi del patrimonio microbico. Uno studio ha scoperto che i topi allevati in ambienti sterili e quindi privi di batteri indigeni (topi privi di germi) hanno mostrato anomalie nel processo di maturazione del sistema nervoso e reazioni fisiologiche esagerate allo stress, reversibili attraverso la ricolonizzazione batterica indotta da farmaci specifici.
Da allora è stato dimostrato che i batteri intestinali partecipano alla regolazione di vari e importanti processi fisiologici, tra cui immunomodulazione, adiposità e bilancio energetico, nonché l’attività del sistema nervoso intestinale.
Microbiota nel feto e nei neonati
Conferme in tal senso sono poi giunte da più recenti studi sull’uomo che hanno accertato che le caratteritiche del microbiota si determina già alla nascita. In particolare, i bambini nati con taglio cesareo acquisiscono un microbiota diverso rispetto a quelli nati con parto vaginale a causa della diversa esposizione ai microbi.
Infatti, l’intestino del feto, sterile fino alla nascita, può essere colonizzato dai batteri presenti nel canale vaginale in caso di parto naturale. Mentre, in caso di parto cesareo, ciò non si verifica, con la conseguenza che l’impatto con i batteri ambientali risulterà più pericoloso.
La ricchezza del microbiota intestinale è poi influenzata positivamente dall’allattamento al seno, che fornisce i nutrienti più adatti non solo alla crescita dell’organismo del neonato, ma anche alla selezione del microbiota migliore per il suo intestino.
Ciò ha influenza sulla durata dello svezzamento, utile per permettere alla barriera intestinale di maturare a sufficienza prima di venire a contatto con proteine o altre sostanze potenzialmente allergizzanti.
Il microbiota nel corso della vita
Se, da un lato, è certo che il “nucleo” del microbiota non si modificherà per tutta la vita, è anche dimostrato che buona parte della sua composizione sarà invece destinata a mutare in funzione di diversi fattori ambientali come lo stile di vita, l’uso di farmaci e disinfettanti e ovviamente l’alimentazione. Sono considerati fattori negativi per il mantenimento di un adeguato patrimonio batterico intestinale l’esposizione ad antibiotici e l’assunzione di alimenti a basso contenuto di fibre.
L’intestino si comporta come un enorme organo sensoriale, alimentando costantemente il cervello con le informazioni, ma in che modo il microbiota invia segnali al cervello? Ciò avviene attraverso i neurotrasmettitori: alcuni microbi sono in grado di produrre la maggior parte dei neurotrasmettitori cerebrali importanti. In particolare, sappiamo che il 90% della nostra serotonina è sintetizzata nell’intestino.
La dieta è quindi considerata tra i principali fattori che hanno un impatto sul microbiota intestinale umano, dall’infanzia alla vecchiaia, ed è stato quindi coniato il termine di Probiotici per indicare micro-organismi vivi che, somministrati in quantità adeguata, apportano un beneficio alla salute dell’ospite.
Probiotici e salute mentale
Visto che i probiotici aiutano a mantenere il benessere intestinale, diversi ricercatori hanno ipotizzato che potrebbero incidere positivamente anche sul nostro benessere emotivo. Secondo questa linea di studi, quindi, una alterata composizione del microbiota intestinale potrebbe svolgere un ruolo nello sviluppo della depressione. Al tempo stesso, la ricostituzione di un equilibrato patrimonio batterico può rappresentare un obiettivo per la prevenzione e il trattamento di tale disturbo.
Alcune ricerche sembrano confermarlo. Nel 2016 infatti, è stato pubblicato un articolo che, sulla base di 5 studi clinici in cui i partecipanti volontari erano stati sottoposti a un trattamento con probiotici, ha rilevato che globalmente i probiotici riducevano il rischio di sviluppare una depressione nelle persone sane e che alleviavano i sintomi della depressione nei soggetti che ne erano affetti.
Quindi l’intestino si comporta come un enorme organo sensoriale, alimentando costantemente il cervello con le informazioni.
Ma in che modo il microbiota invia segnali al cervello? Ciò avviene attraverso i neurotrasmettitori: alcuni microbi sono in grado di produrre la maggior parte dei neurotrasmettitori cerebrali importanti, in particolare, sappiamo che il 90% della nostra serotonina è sintetizzata nell’intestino.
Strategie terapeutiche innovative
Ne deriva la rapida crescita di nuove strategie terapeutiche per il trattamento di disturbi psichiatrici che puntino al microbiota intestinale. La International Society for Nutritional Psychiatry Research nel 2015 ha pubblicato uno studio che indica quali sono le sostanze nutritive che aiutano a prevenire e ad alleviare alcune alterazioni mentali come depressione e ansia.
In questa lista di sostanze troviamo gli acidi grassi omega 3, le vitamine del gruppo B, il triptofano, il magnesio e lo zinco.
Ma se i batteri intestinali possono comunicare con il cervello allora perché non cercare di controllare questa comunicazione per ottenere un effetto positivo sulla mente, per esempio diminuendo ansia e depressione?
Gli psicobiotici
E’ proprio in base a queste considerazioni che è stato introdotto il termine di Psicobiotici, per indicare prodotti contenenti organismi vivi che potrebbero apportare un contributo alla cura dei pazienti con malattie psichiatriche se ingeriti in quantità adeguata.
Ad esempio, è stato scoperto che il Bifidobacterium longum ha una profonda attività anti-ansia, sembra migliorare le capacità cognitive nei topi, ridurre le risposte allo stress e migliorare la memoria.
In un articolo pubblicato sul “Trends in Neurosciences”, Philip Burnet, professore di psichiatria dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, ha sostenuto che l’assunzione di probiotici è solo uno dei possibili approcci alla psicobiotica. “In realtà, puntiamo a un allargamento della definizione di questo termine per includere farmaci come antidepressivi e antipsicotici con effetti sui batteri intestinali”.
E’ stato infatti recentemente dimostrato che alcuni psicofarmaci determinano un aumento di varietà e numerosità della flora batterica intestinale, aprendo così la strada a nuove conoscenze circa i meccanismi di azione di tali medicinali.