Volevo essere un duro
Che non gli importa del futuro
Un robot, un lottatore di sumo
Uno spaccino in fuga da un cane lupo
Alla stazione di Bolo
Una gallina dalle uova d’oro
Però non sono nessuno
[…]
Non sono altro che Lucio
La cultura della performance
Al settantacinquesimo Festival della canzone italiana il cantautore Lucio Corsi ha presentato la canzone “Volevo essere un duro” in cui ha affrontato l’antinomia tra gli standard irrealistici di forza e di perfezione che celebra la società moderna e la reale condizione di fragilità umana.
Del brano, l’autore ha dichiarato: “Parla del fatto che questo mondo ci vorrebbe infallibili, solidi come le pietre e perfetti come i fiori senza dirci che i fiori sono appesi a un filo”.
Sempre più spesso nei nostri studi arrivano persone che riferiscono di percepire che, nonostante il loro impegno e i loro sforzi, sentono che tutto ciò che fanno non va mai abbastanza bene. Che si confrontano con degli ideali di forza e perfezione e che si sentono inadeguate, difettose, inferiori. Che percepiscono che dentro di loro ci sia qualcosa che non va.
Del resto, viviamo in una società dominata dalla cultura della performance che celebra l’efficienza, la velocità, il risultato e la produttività.
Siamo bombardati ogni giorno da messaggi che ci richiedono di essere forti, perfetti, produttivi, performanti e impeccabili. I social media amplificano questo processo proponendo degli ideali fisici (fisici scolpiti e perfetti), lavorativi (carriere brillanti) e relazionali (famiglie “del Mulino Bianco”) assolutamente distorti.
L’errore e l’imperfezione non sono assolutamente contemplati e, se ci sono, sono segni di inadeguatezza e di debolezza. Ogni opportunità lavorativa deve essere colta a discapito del benessere e della qualità della vita. Siamo imprigionati nella gabbia del dover essere forti e perfetti. Ad ogni costo.
A cosa “servono” gli standard severi? Vediamolo con degli esempi clinici
Luca
Nel corso dell’infanzia Luca ha vissuto esperienze ripetute e protratte nel tempo di derisione e prese in giro da parte dei pari. Il suo ambiente familiare è stato caratterizzato, in particolare, da un padre assente, critico e svalutante.
Tali esperienze di vita l’hanno portato allo sviluppo di credenze di inadeguatezza (“Sono inadeguato”) e di rappresentazioni degli altri come “critici e umilianti”.
Così Luca, per andare a iper-compensare la propria intrinseca percezione di inadeguatezza e per non incorrere nella critica da parte degli altri, ha utilizzato una strategia guida volta al raggiungimento di standard severi. G
li standard elevati a cui aderire in maniera perfezionistica sono, dunque, delle strategie volte a disconfermare l’idea di sé come “inadeguato”.
Chiara
Chiara ha vissuto in un clima familiare deprivante da un punto di vista emotivo e invalidante, incentrato alla critica e alla svalutazione. Nella sua infanzia, ha ricevuto stima e affetto dai suoi genitori solo su base condizionata e, quindi, unicamente se si mostrava rispondente alle loro esigenze. In caso contrario, sarebbero arrivati rifiuto e svalutazione.
Avendo vissuto in un clima familiare in cui il successo veniva premiato e valorizzato mentre l’insuccesso metteva a rischio l’amore e l’accettazione genitoriale, ha imparato ad incentrare la propria amabilità sulla propria adeguatezza e sul proprio valore.
Così, Chiara, nel corso del tempo, ha sviluppato degli standard severi, ha cominciato a lavorare molto duramente, a prepararsi eccessivamente e ad affannarsi costantemente per conseguire degli obiettivi impossibili.
Gli standard elevati a cui tende servono a Chiara per sentirsi adeguata e, di conseguenza, per essere accettata e amata dagli altri.
La funzione degli standard elevati
Se gli standard severi servono a Luca, dunque, per non sentirsi inadeguato, gli stessi servono a Chiara per essere accolta e amata dagli altri.
Le origini degli standard severi, come è stato messo in evidenza negli esempi clinici soprariportati, sono da rintracciarsi nella storia di vita della persona. Aspettative elevate e critiche eccessive da parte dei genitori e amore condizionato al raggiungimento di standard elevati nonché modelli di figure di riferimento di standard severi sono alla base degli sforzi incessanti nel raggiungimento della perfezione.
Ma non è solo questo: la narrativa distorta della nostra società secondo la quale bisogna fare di tutto per raggiungere la perfezione; i social media in cui le persone mostrano solo il meglio di sé; la costante pressione a performare e al raggiungimento di risultati elevati a discapito dei propri bisogni; il messaggio, ormai neppure tanto implicito, di dover essere sempre forti, perfetti e “migliori”. Tutti questi fattori contribuiscono a generare un senso di inadeguatezza portando le persone a rincorrere degli standard elevati per non sentire il timore di non essere “abbastanza”.
Il costo psicologico degli standard severi
- “A casa e in ufficio, mi sforzo di mantenere tutto in perfetto ordine!”
- “Devo sempre avere il migliore aspetto possibile!”
- “Devo essere il migliore nelle cose che faccio!”
- “Devo fare così tante cose da non avere mai il tempo per rilassarmi!”
- “Sono sempre impegnato a raggiungere qualche obiettivo!”
- “Non devo assolutamente sbagliare!”
Lavorare incessantemente, essere genitori perfetti, non avere nulla fuori posto in casa, mantenere un aspetto impeccabile: questo continuo tendere a performare e a raggiungere standard personali irragionevoli e obiettivi “impossibili” nonché l’esagerata preoccupazione di commettere errori hanno notevoli costi a livello psicologico.
Chi si sforza senza tregua di raggiungere standard elevatissimi sacrifica tanti aspetti della propria vita quali la salute, la vita affettiva e sociale, la felicità, il relax, il buon umore.
Il sentirsi continuamente sotto pressione per rincorrere la perfezione fa sì che la salute ne soffra a causa dello stress quotidiano. Le relazioni con le persone care ne risentono dato che, in questa rincorsa, rimane ben poco tempo da trascorrere con loro.
Tutte le energie sono impiegate a raggiungere i propri standard. Il perfezionismo influenza così, in aggiunta, anche le attività ricreative e di svago: per esse o non c’è abbastanza tempo oppure diventano quasi un lavoro in quanto anche lì si va ad estrinsecare l’esigenza di fare tutto perfettamente.
La vita intorno alla performance
Tutta la vita di chi ha standard severi sembra ruotare intorno alla performance: si perde così, nel corso del tempo, il contatto con la parte di sé più autentica e non si riesce neppure a riconoscere i propri desideri.
Raramente viene dedicato un po’ di tempo ad assaporare il piacere e il divertimento. Non esiste il rilassamento né il godersi la vita. Non c’è il tempo per farlo.
Dall’essere perfezionisti a livello clinico possono, così, derivare varie problematiche quali stress cronico, cefalee tensive, colon irritabile, colite, insonnia, ansia, depressione, disturbi legati all’aspetto fisico, disturbi alimentari, disturbi sessuali, ecc.
Verso una nuova narrativa
Gli standard severi costano molto a chi li ricerca a tutti i costi: pretendere così tanto da sé stessi e sottoporsi ad una pressione continua rende impossibile il raggiungimento di un piacere autentico e porta alla perdita di contatto col proprio sé.
Un percorso di psicoterapia può aiutare le persone a prendere le distanze da condizionamenti del passato e a vivere secondo ciò che desiderano autenticamente. Ma, accanto a questo, occorre a livello sociale dirigerci verso una nuova narrativa libera dal mito della perfezione e in cui si celebri l’essere autentici, l’essere capaci di ascoltare e di scegliere in funzione dei propri bisogni e di accettare le vulnerabilità insite in ciascuno di noi.
Occorre riscoprire il valore del tempo e l’importanza di vivere secondo ciò che conta davvero e che arricchisce la nostra esistenza. Imparare a stare invece che fare. Perché la vera bellezza non è essere perfetti ma essere umani.
Riferimenti bibliografici
- Antony, M.M., & Swinson, R.P. (2018). Nessuno è perfetto. Strategie per superare il perfezionismo. Trento: Erickson.
- Carcione, A., Nicolò, G., & Semerari, A. (2016). Curare i casi complessi. La terapia metacognitiva interpersonale dei disturbi di personalità. Bari-Roma: Editori Laterza.
- Han, B-C. (2020). La società della stanchezza. Milano: Nottetempo.
- Young, J.E., & Klosko, J.S. (2004). Reinventa la tua vita. Milano: Raffaello Cortina Editore.