Quante volte abbiamo detto “sto impazzendo!”, “diventerò matto!”, “sono fuori di me!” durante momenti concitati, di forte stress o di carico emotivo?!
In questo caso sono, per la maggior parte delle volte, espressioni colorite per indicare un nostro stato mentale – la paura di impazzire – che non si tramutano in una perdita di senno.
Altre volte la sensazione di poter davvero perdere il controllo delle proprie facoltà mentali si fa più minacciosa. Sembra reale e porta a conseguenti rimuginii o ruminazioni, che non fanno altro che aumentare lo stato d’ansia e di allerta. Ma anche in questo caso è più il timore della condizione che stiamo vivendo e delle sue conseguenze, che l’effettivo pericolo.
Uno stato emotivo, fisico o fisiologico particolare, può infatti portare la persona ad allarmarsi, credendo di poter impazzire. Tale giudizio non fa altro che aumentare lo stato precedente, in un circolo vizioso che si autoalimenta.
Solitamente le persone che temono di impazzire tendono ad osservarsi molto attentamente. Interpretano stati mentali alterati come segno dell’imminente “pazzia”. Durante uno stato d’ansia interpretano la confusione mentale tipica come perdita di controllo. Oppure leggono il pensare continuamente al passato (ruminazione) come indicativo del fatto che non ne usciranno. O ancora valutano le preoccupazioni per il futuro (rimuginio) come una trappola che li porterà a “diventare matti”.
La paura di impazzire trova origine nella storia
Proviamo innanzitutto a capire la storia che le espressioni come pazzo, folle, matto si portano dietro. Nell’antichità la condizione di follia era associata a cause spirituali, religiose e mistiche. I comportamenti devianti venivano interpretati come punizioni divine, per cui il folle doveva essere allontanato dalla società, se non bruciato vivo.
Verso gli inizi dell’800 i malati iniziarono ad essere internati in luoghi appositi, ma curati con metodi quali lobotomia, elettroshock, contenzione fisica e isolamento. Solo verso la metà del secolo scorso vennero sintetizzati i primi psicofarmaci e data dignità al malato psichiatrico.
Storicamente, non è difficile capire come, anche a livello culturale, la paura di impazzire e delle sue conseguenze siano minacciose. Ciò aumenta ulteriormente il timore di poter diventare pazzo, anche se non vi sono motivi oggettivi per crederlo.
Come si diventa “pazzi”
In realtà sappiamo che difficilmente si diventa “folli” da un giorno all’altro. Perdere le proprie facoltà mentali, come durante un esordio psicotico, è un evento piuttosto raro. Sicuramente è ben diverso dal credere di poter perdere il controllo durante o a seguito di una forte attivazione emotiva o di uno stato di confusione mentale dovuto all’ansia.
Solitamente i gravi problemi psichiatrici, tali da far perdere il contatto con la realtà, si manifestano già lungo il corso dello sviluppo. Vi sono comunque sintomi e segni precedenti all’esordio, che fungono da campanello d’allarme. Per tutto il resto si tratta di alterazioni emotive, fisiologiche, cognitive comprensibili all’interno di un funzionamento psicopatologico, ma che non portano alla perdita delle proprie capacità mentali.
Disturbi associati alla paura di diventare pazzi
La paura di impazzire è presente trasversalmente in vari disturbi, dove possiamo individuare fattori di vulnerabilità che ne favoriscono l’insorgere. A livello cognitivo vi sono alcuni fattori che favoriscono la vulnerabilità del soggetto nel momento in cui emerge il pensiero di poter diventare pazzo. In particolare le credenze riguardo:
- alla probabilità di sviluppare malattie mentali
- alla terribilità e insopportabilità della condizione di malattia mentale
- all’incapacità di fronteggiare materialmente ed emotivamente tale possibile condizione
- all’incompetenza della classe medica (sfiducia),
- all’insopportabilità delle sensazioni fisiche e fisiologiche, considerate un segnale di pericolo (anxiety sensitivity)
Vi possono essere poi delle convinzioni che aumentano il timore stesso di impazzire. Ad esempio la paura che l’altro si allontanerà e che preoccuparsi delle proprie facoltà mentali aiuterà a rimanere sani di mente.
Il disturbo d’ansia per la salute mentale (Ipocondria)
Tra i vari disturbi, nel disturbo d’ansia per la salute (detto ipocondria), che si caratterizza per il timore di avere una grave malattia, vi è anche il timore di poter diventare pazzo. Si parla di ansia per la salute mentale.
Generalmente emergono sintomi somatici che non hanno una base organica o sono sproporzionati in intensità rispetto al problema esistente. Preoccupazioni corporee ed eccessiva consapevolezza di ciò che accade nel corpo. Paura di poter contrarre una seria malattia mentale. Ciò porta a resistenza alle rassicurazioni mediche e comportamenti ipocondriaci (richieste di rassicurazione, ricerche di informazioni su internet).
In questo disturbo è centrale la stabile tendenza ad interpretare erroneamente le informazioni relative ai sintomi corporei e ogni altra informazione ritenuta rilevante per la salute mentale. Ciò determina attenzione selettiva sul corpo e abbassamento delle soglie sensoriali, con maggior percezione di apparenti “stranezze” che alimentano la paura di impazzire. I comportamenti di ricerca di sicurezza inducono un aumento di sintomi ansiogeni, a sua volta giudicati come segno di malattia mentale.
Attivazione emotiva e paura di impazzire
Un’altra condizione (non clinica) che porta le persone a credere di perdere il controllo delle proprie facoltà è vivere uno stato emotivo fortemente alterato.
Tutti noi infatti abbiamo una finestra di tolleranza emotiva all’interno della quale riusciamo a vivere le nostre emozioni e ad avere la sensazione di riuscire a gestirle. Questa si è strutturata da piccoli nelle interazioni con i nostri genitori. Più erano in grado di accogliere e contenere le emozioni più favorivano l’ampliamento di questa finestra.
Se, ad esempio, i genitori rispondevano con depressione all’attivazione del bambino non ne favorivano l’ampliamento. Perciò, chi ha una finestra più stretta, è più facile che percepisca le emozioni come minacciose e difficili da controllare. Nel momento in cui esse escono da questa finestra vengono percepite come pericolose scatenando il timore di impazzire.
Anche in questo caso non si tratta di “pazzia”, ma di allenarci ad ampliare la nostra finestra al fine di essere più flessibili, e poter vivere le nostre emozioni senza il timore di diventare “folli”.
Come aiutarsi e farsi aiutare
Accogliere le emozioni e non temerle
Innanzitutto possiamo provare a cambiare la prospettiva attraverso la quale osserviamo le nostre reazioni emotive, fisiche e fisiologiche.
Si tratta solo di normali risposte del nostro corpo, che se impariamo a conoscere e accettare non sono poi così terribili. Posso essere spiacevoli, ma vogliono pur sempre comunicarci qualcosa e come tali, dobbiamo imparare ad ascoltarle.
Essere curiosi ci aiuta ad osservare quello che ci succede senza giudicarlo per forza pericoloso e minaccioso, ma semplicemente una nuova esperienza. Nessuno è mai diventato pazzo per aver esperito ansia, tristezza, gioia o rabbia.
Imparare a meditare e a normalizzare i sintomi somatici
La meditazione mindfulness può sicuramente aiutare da questo punto di vista permettendo alla persona di stare nel “qui e ora” e osservarsi sospendendo il giudizio. Ovviamente è una pratica che va allenata e utilizzata comprendendone appieno i principi teorici di riferimento.
Individuare gli stimoli che favoriscono l’insorgere del circolo vizioso (stato fisico/emotivo – minaccia percepita – aumento dello stato fisico/emotivo), può aiutare ad essere pronti nei momenti di maggiore vulnerabilità, per affrontarli con apertura e accettazione.
Come abbiamo visto i fattori psicologici hanno un importante ruolo nell’incrementare i sintomi somatici. Se valutiamo un giramento di testa come terribile, avremo più probabilità di agitarci e di far sì che tale giramento continui.
La psicoterapia mirata
La terapia cognitivo-comportamentale da questo punto di vista offre gli strumenti utili a fronteggiare meglio i sintomi fisici e a ridurre lo stress generale che può aggravarli. E’ quindi consigliato affidarsi ad un professionista con il quale acquisire le tecniche a noi più funzionali.
L’obiettivo terapeutico è duplice: imparare a normalizzare le alterazioni somatiche, senza spaventarsi e ridurre il senso di sé di persona vulnerabile e in balia delle proprie emozioni. Scopo fondamentale del lavoro è quindi quello di allenare il paziente a normalizzazione i sintomi, riattribuendoli a cause innocue. Accettando di stare con le proprie emozioni e reazioni fisiologiche, vivendole per ciò che sono, senza farsi dominare dalla paura di impazzire.