La paura del rifiuto
Nel corso della vita a ciascuno di noi è capitato di ricevere un rifiuto. Una delle prime cose che si impara, infatti, è che non sempre gli altri ci scelgono come amici, partner o collaboratori.
In termini psicologici, la paura del rifiuto o sensibilità al rifiuto è una disposizione della persona. E’ assimilabile a un tratto di personalità, che si manifesta con una aspettativa ansiosa e persistente di essere rifiutati. Prevede una ipersensibilità a percepire il rifiuto nel momento stesso in cui avviene e con reazioni emotive intense in seguito all’evento (Downey & Feldman, 1996).
In altre parole, l’alta sensibilità al rifiuto è caratterizzata da una intensa preoccupazione per situazioni, reali o presunte, in cui si è esposti al rifiuto o alle critiche. Ciò comporta una iper-vigilanza rispetto ai segnali sociali e una estrema sintonizzazione sugli stati emotivi altrui.
Iper-sensibilità ai segnali sociali
In contesti sociali, come gruppi o conversazioni, coloro che temono il rifiuto provano uno stato di allarme. Ciò li rende iper-sensibili a qualunque cenno di disapprovazione (Meehan et al., 2018).
Questo funzionamento è simile a quello di un sonar che attraverso le onde sonore può individuare i pericoli. Se lo strumento è poco sensibile, la persona non si renderà conto della disapprovazione altrui, ma se al contrario è molto sensibile potrà dar luogo a dei falsi positivi. In altre parole, la persona leggerà come segnali di rifiuto, commenti o osservazioni che non intendono essere criticanti.
La conseguenza di questa iper-sensibilità è il generarsi di un circolo vizioso che peggiora l’interazione. Infatti, la forte aspettativa di essere rifiutati spinge la persona a mantenersi distante e silenziosa. Questo genera nell’altro una reazione speculare di distanza. A quel punto, la persona che teme il rifiuto leggerà la distanza dell’altro come la prova di non essere apprezzata aumentando il grado di ritiro dalla relazione.
Purtroppo, quella che sembra una buona strategia (freddezza dell’altro-freddezza personale) può dar luogo a fraintendimenti. Infatti, la preoccupazione per il giudizio può condurre la persona a interpretare come freddezza addirittura stati di sofferenza dell’interlocutore. Risulta in tal modo scortese, se non indisponente, e insensibile allo stato emotivo dell’altro.
Il nucleo della paura del rifiuto
Il nucleo del problema sembra essere la difficoltà a generare spiegazioni alternative allo stato emotivo dell’altro. In chi teme il rifiuto, la sofferenza dell’altro è causata dalla propria inadeguatezza e, pertanto, è interpretata come un rifiuto.
Questo circolo vizioso si evidenzia in molte, se non tutte, le relazioni di chi ha un’alta sensibilità al rifiuto. Di tale dinamica è un esempio uno studio condotto su alcune coppie da Downey e collaboratori (1998).
In seguito ad un conflitto con il compagno, donne con alta sensibilità al rifiuto percepivano il partner meno accogliente e più ritirato nei giorni successivi. Questo non accadeva a quelle con bassa sensibilità al rifiuto. A quel punto, queste donne avevano maggior probabilità di ritirarsi a loro volta e tenere a distanza il partner provando rabbia, risentimento e prolungando la durata del litigio.
Spinta evoluzionistica al timore del rifiuto
Come detto, il timore di essere rifiutati è esperienza comune negli esseri umani, al punto che molti autori la considerano un adattamento psicologico volto a prevenire l’esclusione dal gruppo.
Secondo Baumeister e Leary (1995) il bisogno di appartenenza ha giocato, e gioca, un ruolo fondamentale nella sopravvivenza della specie. Esso nasce dalla necessità degli esseri umani di formare gruppi che facilitino la sopravvivenza. I gruppi, infatti, possono condividere cibo e risorse, fornire mutua assistenza nella crescita dei figli e aumentare la capacità di difesa dalle minacce.
Non sorprende, quindi, che il timore di essere giudicati negativamente sia uno dei timori maggiormente provati dall’essere umano. In un ambiente ostile, come le foreste in cui vivevano i nostri progenitori, il giudizio negativo poteva significare esclusione dal gruppo ed esporre la persona al pericolo.
In questa ottica, la sensibilità al rifiuto ha il preciso scopo di garantire buoni rapporti con gli altri membri della comunità. Infatti, l’iper-vigilanza ai segnali sociali permetterebbe di individuare precocemente indizi che predicono un rifiuto e di mettere in atto adeguate strategie di sopravvivenza (Romero-Canyas et al., 2010). Ad esempio, attivando risposte riparative (sottomissione) o risposta di evitamento attivo della situazione (comportamenti di attacco-fuga).
Paura del rifiuto e psicopatologia
Sul piano psicopatologico la paura del rifiuto risulta trasversale a molti disturbi, ma sembra ricoprire particolare rilevanza in alcuni disturbi di personalità.
Personalità borderline
Il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) si caratterizza per un’instabilità emotiva pervasiva, impulsività nelle azioni e difficoltà a mantenere dei rapporti sociali stabili (Poggi et al., 2019).
Queste persone reagiscono in maniera impulsiva ed emotivamente intensa a situazioni in cui prevedono o subiscono un rifiuto. De Panfilis et al. (2016), ha evidenziato come chi soffre di questo disturbo tenda a sentirsi maggiormente escluso dai gruppi. Percepisce minor appartenenza anche di fronte a manifestazioni esplicite di apprezzamento e inclusione.
Personalità narcisistica
Un secondo disturbo in cui è centrale la sensibilità al rifiuto è il Disturbo Narcisistico di Personalità (DNP). Per quanto, comunemente, questa associazione non risulti evidente, molti studi (ad esempio De Panfilis et al., 2015) evidenziano come l’esperienza di rifiuto sociale sia assolutamente dolorosa per questi individui, al punto da scatenarne risposte violente e rabbiose.
Personalità evitante
Un terzo disturbo di personalità al cui cuore è la paura del rifiuto è il Disturbo Evitante di Personalità (DEP). Tale patologia si caratterizza da un profondo senso di inadeguatezza unito al timore di essere criticati e rifiutati. Queste persone hanno la tendenza a vedersi cronicamente inferiori agli altri arrivando a temere la gran parte delle interazioni quotidiane. In tal senso possono arrivare a mettere in atto forme estreme di fuga ritirandosi in casa anche per mesi o anni.
Disturbo d’ansia sociale
Infine, il timore del rifiuto risulta centrale nel Disturbo d’Ansia Sociale (DAS). Esso non è un disturbo di personalità. Spesso si presenta in forma circoscritta al timore di essere criticati riguardo a performance da svolgere in pubblico, come tenere un discorso o prendere la parola in una discussione. Chi soffre di DAS teme di apparire inadeguato e pertanto passibile di critica e rifiuto.
Timore dei rifiuto sentimentale
Un caso particolare è il timore di essere rifiutati da una persona per cui proviamo attrazione e affetto. Il rifiuto, in questo caso, può essere particolarmente doloroso in quanto si lega all’idea che ognuno ha di se stesso.
Oltre a un generale abbassamento dell’umore, un rifiuto sentimentale può far insorgere stati depressivi, perdita di autostima e paure circa il proprio futuro (Perilloux & Buss, 2008). Inoltre, non sono rari sentimenti di rivalsa che, in casi estremi, possono portare a situazioni di abuso psicologico o fisico.
Secondo Keller e Nesse (2005) la sofferenza che deriva da un rifiuto sentimentale assolve a due funzioni adattive. Piangere e mostrare la propria tristezza funge da segnale sociale e favorisce un processo empatico che spingerà le persone amiche a supportare chi è stato rifiutato. In questo senso mostrare abbattimento serve ad aumentare il supporto sociale. In secondo luogo, il dolore in seguito al rifiuto rappresenta una conseguenza negativa che la persona non vorrà provare nuovamente. Ciò, quindi, ha la funzione di ricordare alla persona che le strategie usate nel corteggiamento non sono state efficaci e promuoverà l’adozione di nuove strategie in occasioni future.
Come gestire la paura del rifiuto
Di seguito alcuni semplici consigli per far fronte al rifiuto (reale o temuto) da parte degli altri.
- Ricordare che il rifiuto è un aspetto normale dell’esistenza e che non vi è nulla di anormale nel provare dolore emotivo.
- Chiedersi se esistono spiegazioni alternative che possono giustificare l’atteggiamento distante o accigliato dell’interlocutore. Ad esempio, una difficoltà lavorativa, stanchezza o semplicemente mancanza di tempo da dedicare alla conversazione.
- Utilizzare il rifiuto come momento costruttivo per migliorare se stessi o per rivalutare la situazione. Cosa posso migliorare per evitare critiche in futuro? Quello che mi ha detto è davvero un rifiuto?
- Ricordarsi di rivolgersi a se stessi con accettazione e benevolenza. Il rifiuto è doloroso, ma è proprio dinnanzi ad esso che ciascuno ha bisogno di sentirsi rassicurato riguardo al proprio valore. Potete provare a contattare una persona cara che sapete avere stima e affetto per voi.
- Guardare il quadro complessivo. Spesso un rifiuto è circoscritto a una situazione, ad un contesto o proviene da una singola persona e non è da intendersi come un giudizio complessivo sulla persona.
- Non permettere che sentimenti di rabbia e vendetta prendano il controllo. È importante non lasciare che la rabbia guidi azioni impulsive, piuttosto riconoscete la rabbia e dedicatevi ad attività piacevoli che aiutino ad elaborarla.
Riferimenti bibliografici
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