Il desiderio di avere un figlio ha radici molto profonde. Non si fonda solo su aspetti istintuali o biologici, ma anche sociali, culturali e relazionali.
Molte donne programmano il momento adeguato per avere un figlio, rimandandolo in attesa di raggiungere una stabilità affettiva ed economica. Quando però decidono di compiere questo passo, si possono trovare di fronte a delle difficoltà a conseguire la gravidanza.
Superato il profondo turbamento che deriva dalla consapevolezza di essere infertili e di avere pure rimandato la gravidanza, sopravviene la necessità di prendere decisioni, di assumere una nuova visione del problema e di valutare le diverse alternative per affrontarlo. In questo modo nella coppia rinasce una speranza.
Di solito, le donne o le coppie che si rivolgono ad un centro specializzato in procreazione medicalmente assistita, sono ansiose di procedere subito con il trattamento consigliato.
In situazioni quali menopausa precoce, età avanzata o fallimento di precedenti trattamenti per l’infertilità, i procedimenti di riproduzione assistita omologa non sono risolutivi e viene proposta la fecondazione in vitro mediante donazione di ovociti.
Nell’ovodonazione la donatrice si sottopone ad una stimolazione ovarica monitorizzata e al prelievo ovocitario mentre alla paziente viene prescritta una terapia ormonale di preparazione dell’endometrio per ricevere gli embrioni che vengono fecondati in vitro e poi trasferiti.
L’ovodonazione rappresenta per molte donne la possibilità di realizzare il sogno di diventare mamme ma in alcuni casi, ricevere gli ovociti di una donatrice è una scelta difficile e dolorosa.
Il sentimento di lutto, conseguente alla diagnosi di infertilità, viene aggravato dall’impossibilità di trasmettere il patrimonio genetico ai propri figli. Possono sorgere timori sullo sviluppo psichico del bambino, sul vincolo madre/figlio, sulla relazione di coppia e sull’atteggiamento dei familiari e può manifestarsi la preoccupazione di non percepirsi come la vera madre del bambino.
L’intervento di una donatrice altera la normalità del processo di procreazione all’interno della coppia, e può generare sentimenti fortemente ambivalenti. La riconoscenza e la gratitudine nei suoi confronti si alternano a fantasie che la vedono potente, giovane e fertile, estranea al lutto affrontato dalla paziente infertile. La donna può sentire un senso di disuguaglianza nei confronti del partner, considerandolo l’unico genitore genetico.
Da recenti studi, in realtà, si è scoperto che la relazione tra madre e embrione è in grado di incidere sul patrimonio genetico del nascituro, anche quando non sussistono legami biologici fra la futura madre e l’ovulo fecondato.
Tale scoperta è stata documentata nello studio condotto dalla Fondazione IVI dal titolo “Hsa-miR-30-d, secreted by the human endometrium, is taken up by the pre-implantation embryo and might modify its transcriptome”. La ricerca è stata pubblicata nella rivista scientifica Development dell’associazione inglese dei biologi e genetisti il quale ha dimostrato come la comunicazione tra mamma ed embrione può modificare l’informazione genetica del neonato anche in caso di ovodonazione.
Alcune particolari condizioni in cui si possono trovare le donne sono in grado di modificare le loro cellule, anche quelle dell’endometrio. Ciò determina un cambiamento tale che nella sua secrezione venga rilasciata l’informazione genetica della madre assorbita poi dall’embrione.
Questa comunicazione può far sì che nell’embrione si esprimano o si inibiscano specifiche funzioni, dando così luogo alle suddette modifiche. Questa scoperta conferma l’esistenza, da tempo ipotizzata, di uno scambio d’informazioni tra endometrio ed embrione.
In presenza di determinate condizioni patologiche, infatti, come in caso di obesità, diabete, ma anche di tabagismo, le cellule endometriali modificano l’attività dei loro geni, influenzando, in questo modo, anche lo sviluppo embrionale. Ciò spiegherebbe il processo di trasmissione, tra la mamma e il bimbo, di alcune caratteristiche fisiche così come di alcune malattie infantili quali il diabete e l’obesità.
Questa scoperta ci permetterà in futuro di evitare la trasmissione di alcune malattie quando la loro causa è epigenetica, ovvero quelle malattie che si verificano in seguito a cambiamenti nell’espressione, e quindi nell’attività, di uno o più geni senza che ne venga modificata la struttura.
Un ulteriore studio pubblicato da “Nature genetics” dimostrerebbe che la paziente che riceve l’ovulo, per un fenomeno epigenetico, riesce a modificare l’imprinting originario, trasmettendo parte delle sue caratteristiche al bambino.
La futura madre è in grado di modificare il genoma del figlio anche se l’ovulo è di un’altra donna. In ogni caso il periodo di gestazione di quell’embrione, benché la componente femminile sia stata donata, crea un legame fisico e psicoemotivo assai profondo con la madre. E non è certo da trascurare il fatto che essa lo partorirà ed allatterà: tutti aspetti essenziali per cui quel bambino, seppur concepito da un ovulo donato, sia percepito e amato come proprio a tutti gli effetti.
Le mamme che accolgono un’ovodonazione, quindi, trasmetterebbero qualcosa di sé al piccolo concepito dall’ovulo di un’altra donna e non devono essere considerate delle semplici incubatrici passive.
L’ovodonazione viene vissuta da ogni paziente in modo diverso a seconda della singolarità della propria strutturazione psichica. Non tutte le pazienti o le coppie dedicano il tempo necessario ad elaborare il sentimento di perdita che deriva dalla consapevolezza di non poter avere figli.
Quando vengono a conoscenza della diagnosi di infertilità, prendono spesso decisioni affrettate sottoponendosi a multipli trattamenti, spinte dalla preoccupazione di sprecare tempo prezioso. Raramente si riservano il tempo di approfondire le implicazioni emotive che le tecniche di riproduzione assistita comportano.
Affrontare un trattamento di fecondazione artificiale suscita sentimenti di impazienza, fiducia, speranza, ottimismo, delusione. È costante il senso di frustrazione per la propria incapacità di procreare, che viene intensificato dalla necessità di ricorrere ad una donatrice.
Un intervento di tipo psicologico appropriato può facilitare l’espressione dei propri vissuti emotivi, delle difficoltà personali, di coppia e interpersonali, aiutando a prevenire gli stati ansiosi e ad esaminare le emozioni implicate nel percorso riproduttivo, che vanno dalla negazione all’accettazione del problema.
In questo contesto riveste un ruolo importante il rapporto con parenti, amici e conoscenti, che chiedono spesso alla coppia quando avrà dei figli. I pazienti dovrebbero essere aiutati a decidere liberamente se condividere questa esperienza con altre persone, valutando pro e contro.
La pressione socio-familiare può indurre i pazienti ad isolarsi, anche da altre coppie che hanno avuto figli, e che rimarcano inconsapevolmente la loro incapacità di averli. Evitando i contatti sociali, l’unico appoggio viene ricercato all’interno della coppia stessa, generando maggiore tensione in una situazione in cui entrambi hanno bisogno di sostegno.
È importante che i pazienti possano avvalersi di un supporto esterno per raggiungere l’equilibrio emozionale adeguato, utile ad affrontare i problemi di infertilità e ad interagire con l’ambiente circostante. Il sostegno psicologico dovrebbe intensificarsi nel periodo di attesa del risultato del test di gravidanza, proprio quando le pazienti provano sentimenti alterni di paura, speranza e felicità. In questa fase si rende anche necessario parlare apertamente della possibilità di un eventuale esito negativo al termine del trattamento.
La mancata gravidanza rappresenta infatti uno dei momenti più difficili di tutto il processo, in cui si percepisce l’assenza di una ricompensa per gli sforzi effettuati. Affidandosi alle tecniche di riproduzione assistita il sentimento di perdita legato all’infertilità si può ripresentare se non si ottiene la gravidanza e con esso riaffiorano il dolore, la frustrazione, la paura e il fallimento.
È importante valutare le possibili alternative alla procreazione, come l’adozione o vivere senza figli, approfondendo i propri vissuti di accettazione o di rifiuto in merito alla mancata genitorialità.
Può essere di grande aiuto cercare di valorizzare quello che già si possiede (amici, relazione, progetti, interessi), cercando di non centrare la propria vita su ciò che non si ha.
Intraprendere il percorso dei trattamenti di riproduzione assistita, e di ovodonazione in particolare, può essere molto faticoso dal punto di vista emotivo, personale e relazionale. Un adeguato sostegno psicologico, orientato a contenere dubbi, sofferenze e timori, può essere di considerevole aiuto nell’affrontare questo processo con la dovuta serenità.