Lo studio dei fattori di rischio per i Disturbi del Comportamento Alimentare è importante per quattro motivi fondamentali: chiarisce i meccanismi che causano i disturbi permettendo la riduzione dello stigma ad essi associato; sono una importante forma di informazione per la revisione dei criteri diagnostici; il trattamento è più coerente quando si conoscono le cause della patologia; l’identificazione dei fattori di rischio è cruciale per lo sviluppo dei programmi di prevenzione.
Una ricerca condotta dalla Washington University di St. Louis ha recentemente indagato il legame tra orientamento sessuale, identità di genere e disturbi dell’alimentazione coinvolgendo gli studenti universitari di 223 college statunitensi.
I risultati, pubblicati sul Journal of Adolescent Health, evidenziano che l’utilizzo di pillole dimagranti e il ricorso a condotte compensatorie, vomito autoindotto e lassativi per prevenire l’aumento del peso, è due volte superiore tra i giovani transessuali rispetto a quello registrato tra i coetanei eterosessuali.
E’ la prima volta che uno studio, che indaga i fattori di rischio dei disturbi dell’alimentazione, include un numero sufficiente di soggetti transgender tale da permettere confronti statisticamente significativi.
Dallo studio emerge una frequente diffusione di questi disturbi anche tra giovani “insicuri” sul proprio orientamento sessuale e tra i giovani gay cisgender, la cui identità di genere coincide, cioè, con il proprio sesso biologico.
Circa 1,5% degli studenti esaminati ha riferito una diagnosi di disturbo alimentare effettuata durante l’anno precedente. Quasi il 3% ha riferito di aver vomitato, o utilizzato lassativi, e oltre il 3% aveva usato pillole per la dieta durante il mese precedente.
Dalla ricerca emerge, inoltre, che gli studenti transgender hanno la stessa probabilità delle donne cisgender eterosessuali di riportare una diagnosi di disturbo alimentare o di utilizzare meccanismi di compenso.
Il nuovo studio rispecchia molti dei risultati di ricerche precedenti condotte anche in Europa, come sottolinea la dott.ssa Monica Algars di Abo Akademi University di Turku, in Finlandia, ma è importante perché effettuato su un grande numero di partecipanti e soprattutto confrontando soggetti transgender e cisgender.
In uno studio precedente, proprio Algars aveva sottolineato che le persone transgender possono lottare per la magrezza per tentare di sopprimere le caratteristiche del loro genere di nascita, o accentuare caratteristiche del loro genere di auto-identificazione.
Tutti questi dati sono indubbiamente legati al malessere emotivo dell’essere discriminati, ma aprono la strada a un nuovo filone di ricerca nell’ambito dei disturbi alimentari e soprattutto sottolineano l’urgenza di elaborare interventi specifici appropriati e progetti di prevenzione mirati.