Da sempre i teorici hanno studiato il tema complesso della genitorialità. Donald Winnicott negli anni ’60 sosteneva che quando i partner decidono di diventare genitori lo fanno quasi “per gioco” e solo successivamente si rendono conto di quanto l’essere genitori sia un lavoro molto più difficile.
Lo stesso autore sosteneva che per promuovere un attaccamento sicuro, ovvero quello spazio in cui il bambino si sente protetto ma anche libero di esplorare l’ambiente e di crescere, la madre doveva essere “sufficientemente buona”.
Sebbene siano passati quasi 60 anni, questo concetto è un evergreen: sempre di più nella nostra epoca avremmo bisogno di ricordarci che per essere bravi genitori non dobbiamo essere “perfetti” ma solo “sufficientemente buoni”.
L’ansia di essere inadeguati e la paura di non avere i giusti strumenti per far crescere i nostri figli sono fenomeni tipici tra i genitori, che sempre di più cercano di adeguarsi a standard altissimi di perfezione genitoriale.
Genitori perfetti e non perfetti
Se come diceva Winnicott (ed altri dopo di lui) per promuovere lo sviluppo del bambino occorre essere solo “sufficientemente” adeguati, va da sé che inseguire il modello di genitore perfetto è anche potenzialmente dannoso. Impedisce al bambino di vedere che anche noi adulti talvolta siamo incapaci, abbiamo dei limiti e delle imperfezioni e che questo ci rende umani.
L’alternativa è continuare a promuovere un’idea di essere umano privo di difetti e di mantenere l’intolleranza e l’insofferenza agli errori.
Ma come faccio a capire se quello che sto facendo è giusto? Come faccio a capire se sto esagerando o se sto sottovalutando un problema?
Queste e altre domande nascono spontanee nella testa di ogni genitore, anche più volte al giorno e questo è del tutto normale.
“Sarò il tuo scudo” vs “Sarò al tuo fianco”
Siamo diventati sempre più intolleranti alle emozioni che proviamo e riusciamo a gestirle con molta difficoltà. Cosa può succedere quindi quando nostro figlio soffre?
Cerchiamo in tutti i modi di impedire che questo accada e quando non ci riusciamo cerchiamo di fare di tutto perché smetta di soffrire.
“Non voglio che tu soffra”; “Farò di tutto per te”; “Ti farò da scudo”; “Ti proteggerò dalle tue paure”. Questo è spesso un dialogo interno presente nella mente dei genitori che in modo automatico cercano di “evitare” che il proprio figlio soffra.
La letteratura ci insegna che proteggere un bambino dalle situazioni, facendogli da scudo, agendo al suo posto altro non fa che promuovere l’evitamento emotivo e cognitivo delle situazioni che mettono in difficoltà il figlio.
Stare a fianco del piccolo
Per aiutare qualcuno quindi non bisogna stargli davanti ma stare al suo fianco e questa è la differenza tra iperprotezione e supporto.
Impedire che i bambini si espongano a situazioni difficili non fa infatti che promuovere quello che viene definito “adattamento alla malattia”: il sistema familiare si imposta sulla base della difficoltà/malattia del figlio, irrigidendo dinamiche che non faranno migliorare la sintomatologia.
Per gestire questi o altri aspetti genitoriali è possibile che talvolta abbiamo bisogno di aiuto, soprattutto se vediamo soffrire i nostri figli o se i loro comportamenti sono per noi incomprensibili.
Il “Parent Training” nasce come intervento psicoterapeutico per aiutare e sostenere il complesso mondo della genitorialità.
Parent Training: dall’addestramento al coinvolgimento nel lavoro terapeutico
Il Parent Training è un intervento psicologico rivolto ai genitori in difficoltà ed è diffuso ormai da oltre 50 anni.
Nel 1989 è stato pubblicato un “Handobook of Parent Training” in cui sono contenute le rassegne dei più diffusi e studiati interventi clinici di sostegno alla genitorialità.
Di base i programmi di “addestramento genitoriale” (così potremmo tradurre alla lettera il nome di questo strumento) sono stati concepiti con l’idea di insegnare ai genitori come comportarsi in situazioni di difficoltà del figlio.
Più recentemente si è aperta l’idea di utilizzare i genitori come agenti attivi del percorso terapeutico dei propri figli. E’ stato infatti ampiamente documentato che quando un bambino o un adolescente sviluppa un problema che si protrae nel tempo e che compromette il suo benessere quotidiano, se i genitori vengono aiutati a comprenderne alcuni aspetti e, come dicevamo prima, a stare al loro fianco, i comportamenti problematici hanno una risoluzione molto più rapida e duratura.
Rispetto ai primi modelli di training i genitori sono sempre più considerati quindi, sono diventati negli anni co-terapeuti delle problematiche dei propri figli.
Struttura classica del Parent Training
Ci sono moltissimi approcci di Parent Training, forse i più noti sono di stampo comportamentale o cognitivo-comportamentale. Ogni programma si sviluppa rispetto agli aspetti peculiari e sintomatologici dei quadri clinici dell’età evolutiva.
In ottica cognitivo-comportamentale i più attuali modelli di Parent Training coinvolgono quindi il genitore in modo attivo nel processo terapeutico.
Possiamo identificare alcuni aspetti cardine, presenti in tutti o quasi tutti i protocolli, che vanno a costituire il nucleo di ogni intervento.
I passi fondamentali
Come prima cosa vengono identificati i “comportamenti problema” ovvero quegli aspetti del bambino/ragazzo che sono di difficile gestione familiare o che sono disfunzionali per il suo benessere.
Ogni quadro clinico ha dei comportamenti che potrebbero diventare il target dell’intervento ma non bisogna mai sottovalutare l’aspetto di individualità della singola situazione.
Se mio figlio è distratto e non sempre fa i compiti ma a me genitore non interessa e la scuola chiude un occhio perché “è dotato e tanto impara ugualmente”, il problema non sussiste (almeno finché il sistema rimane invariato).
Successivamente il lavoro verte principalmente sulla comprensione di questi 3 aspetti:
- Qual è la funzione che ha per quel bambino quel comportamento
- Cosa NON fare per non peggiorare le cose
- Cosa fare per aiutarlo
Nuovi sviluppi del Parent Training: mentalizzazione, mindfulness e accettazione
I trattamenti psicoterapici sono in constante evoluzione. Dall’analisi delle esperienze di parent training in terapia cognitivo-comportamentale standard è emerso come lo stato emotivo e l’atteggiamento del genitore avanti ai comportamenti dei figli dipendesse anche dallo stato mentale del genitore stesso e, non in ultima istanza, dalla relazione coniugale (intesa come fattore a sostegno del benessere familiare).
Nei parent training è stata quindi introdotta la necessità di lavorare sulla capacità di “mentalizzazione” dei genitori.
Potremmo semplificare la definizione di “mentalizzazione” in ottica di parent training dicendo che un genitore è in grado di “mentalizzare” se ha la possibilità di comprendere la mente del figlio e di farsi delle idee riguardo ai suoi stati interni (cosa crede? Cosa pensa? Cosa sente? Cosa prova? Com’è per lui quando faccio/dico così?).
Il “pianeta genitori” è stato quindi integrato negli interventi che cercando quindi si di aiutare il bambino ma anche di contestualizzare la risposta del genitore sulla base di come funziona sé stesso e come funziona nella coppia genitoriale.
Mindfulness e consapevolezza
Già 20 anni fa John Kabat-Zinn, padre della mindfulness, ci raccontava l’importanza per il genitore di essere un “genitore consapevole” ovvero di essere capace di prestare attenzione non giudicante e non reattiva ai comportamenti del figlio in modo da sintonizzarsi sui suoi bisogni.
Sulla base di questo e di altri assunti sono stati strutturati interventi di parent training a stampo Mindfulness o Acceptance and Commitment Therapy (ACT) che includono quindi il “pianeta genitori” e cercano di promuovere l’attenzione del genitore anche sui propri piloti automatici e sulle proprie capacità di autoregolazione emotiva.
Bibliografia
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- Buonanno P. e Muratori P. (2022). Modelli di parent training.
- Pezzica S. e Bigozzi l: (2015). Un parent training cognitivo comportamentale e metallizzante per bambini con ADHD. Psicologia clinica dello sviluppo, agosto, 19, 271 –296.
- JM Briesmeister (2007). Handbook of Parent Training – Helping Parents Prevent and Solve Problem Behaviors. John Wiley & Sons Inc.
- Kabat-Zinn M., Kabat-Zinn J. (1997). Everyday blessings: The inner work of mindful parenting. New York: Hyperion.
- Lombardi L., Grossi G., Isola L., Iuliano E., Mercuriu M., Patrizi C., Romano G. Semerarro V. e Buonanno C. (2020). Fattori predittivi del drop-out: accettabilità e impegno nel parent training. Quaderni di psicoterapia cognitiva, 46, 87 – 109.