Significato di mindfulness
Il termine inglese “mindfulness” è oggi sempre più diffuso all’interno degli studi di psicoterapia, nei luoghi in cui si coltivano pratiche di salute e benessere e nel linguaggio comune.
Letteralmente può essere tradotto come “attenzione piena” ed indica uno stato mentale di piena consapevolezza o attenzione consapevole rispetto a quello che sta accadendo dentro di noi nel momento presente.
La sua origine è antica: la mindfulness affonda le radici nella millenaria dottrina buddista, in particolare all’interno della tradizione theravada e attiene, nello specifico, alla pratica meditativa chiamata vipassana.
A partire da questa origine dalla forte valenza spirituale, nel corso del tempo la mindfulness ha attraversato un processo di laicizzazione. La pratica proposta ad oggi a scopo di promozione del benessere non si colloca all’interno di nessuna dottrina religiosa specifica.
Storia della mindfulness
Nonostante la presenza millenaria della meditazione consapevole nel mondo orientale, la sua espansione nel mondo occidentale è stata piuttosto tardiva (Montano e Iadeluca, 2022).
A partire dal 1850 circa le migrazioni di migliaia di persone, tra cui monaci, partite dall’Oriente e dirette verso Europa e Stati Uniti, hanno contribuito a diffondere nel mondo occidentale varie partiche meditative, abbracciate in seguito dai movimenti giovanili degli anni ’60. Ma, in questo panorama di novità, la cultura dominante è rimasta comunque basata su un approccio razionale e scientifico.
È alla fine degli anni ’70 che un biologo molecolare americano, da sempre attratto a livello personale dal pensiero umanistico e dalle pratiche meditative buddiste, si dedica alla stesura di un programma di meditazione basato sulla mindfulness. Un programma finalizzato alla riduzione dello stress, che propone all’interno di un ambulatorio chiamato Stress Reduction Clinic al Medical Center dell’Università del Massachusetts.
Il biologo è Jon Kabat-Zinn e il programma da lui messo a punto nel 1979 è chiamato Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR), inizialmente applicato per migliorare la gestione del disagio in pazienti affetti da dolore cronico.
L’ideatore di questo programma definisce la mindfulness come la pratica del “porre attenzione in modo particolare: intenzionalmente, al momento presente e in modo non giudicante” (Jon Kabat-Zinn, 1994).
Per comprendere a pieno quale sia l’oggetto di questa consapevolezza promossa dalla mindfulness è necessario conoscere le varie componenti del nostro stato interno: pensieri, emozioni, sensazioni fisiche.
Unità mente-corpo
L’approccio culturale e scientifico occidentale per secoli ha esaltato la superiorità della ragione e della razionalità sulla sfera emotiva. Ha inoltre postulato una separazione gerarchica tra la sfera del pensiero e del ragionamento e quella fisica della corporeità.
Le nuove evidenze scientifiche hanno tuttavia ad oggi dimostrato un continuo scambio tra cervello e corpo e un’interconnessione complessa, rivalutando una visione olistica dell’essere umano.
Il dominio cognitivo si manifesta attraverso i prodotti della nostra mente, quali pensieri e immagini, che compongono ricordi, aspettative, desideri, progetti, parole e dialoghi interni.
Quello emotivo comprende tutte la gamma di emozioni e sentimenti che colorano l’esperienza umana, con diverse sfumature di intensità.
Il dominio fisico attiene a tutta la nostra corporeità e comprende sia le sensazioni prodotte dalla sollecitazione dei nostri organi sensoriali da parte di stimoli esterni, sia le sensazioni provenienti dall’interno del nostro corpo (propriocezione).
Pensieri, emozioni e sensazioni fisiche sono in un continuo flusso di interconnessione.
La nascita della terapia cognitivo comportamentale
Con la nascita della psicologia cognitiva-comportamentale (Beck, 1975) è stato ampiamente dimostrato come qualunque evento della nostra esperienza venga filtrato e interpretato dalla nostra mente, attraverso attribuzioni di giudizi e significati personali.
Tale interpretazione è responsabile della conseguente attivazione emotiva che, a sua volta, induce alla corrispondente attivazione fisiologica.
Le emozioni stesse, così come le sensazioni fisiche, possono poi diventare oggetto di interpretazione cognitiva, dando origine ad un nuovo flusso di pensieri, in un processo di retroazione.
In aggiunta a questo meccanismo è necessario considerare anche l’effetto diretto che il nostro corpo ha sul sistema cognitivo ed emotivo, come risulta evidente soprattutto quando sperimentiamo dolore o sofferenza, con la conseguente ricaduta negativa sui nostri pensieri e sul nostro umore.
Spesso non siamo consapevoli di questo continuo flusso tra eventi esterni e stati interni e dell’interconnessione tra pensieri, emozioni e sensazioni fisiche. Così, di fronte a vari tipi di stimoli, ci troviamo a “reagire” in maniera automatica, fuori dal nostro controllo, senza effettuare una scelta realmente libera e consapevole.
A governare la nostra reazione è il cosiddetto pilota automatico. Le situazioni di stress sono esempi in cui è possibile osservare come opera il pilota automatico.
Lo stress
Lo stress è la riposta del nostro corpo di fronte ad uno stimolo attivante. Tale stimolo, chiamato stressor, può essere esogeno, di natura fisco-ambientale (caldo, freddo, rumori, sovraffollamento, etc…) o psico-sociale (lutto, perdita, disagio, emarginazione, etc…), oppure endogeno (dolore, paura, fame, sete, etc…).
Lazarus (1966) aveva parlato di reazione allo stressor come conseguenza di un duplice processo di valutazione.
In un primo momento l’individuo elabora una valutazione primaria, in cui comprende la natura della richiesta e la valenza per se stesso, cioè effettua una valutazione in termini di positività-negatività-neutralità dello stimolo.
Con la valutazione secondaria, invece, il soggetto stima le proprie forze e risorse e la reale possibilità di far fronte alle richieste ambientali con i mezzi a propria disposizione.
Da un bilancio tra queste due valutazioni cognitive deriva l’attivazione emotiva di fronte allo stressor: maggiore sarà la discrepanza percepita tra richieste e risorse, maggiore sarà la portata di emozioni forti e negative.
Le vie dello stress
La risposta di stress messa in atto dall’organismo di fronte allo stressor prevede l’attivazione di una “via breve” e di una “via lunga”.
La via breve comporta una regolazione neurovegetativa, con un aumento di produzione e secrezione di adrenalina e noradrenalina e la conseguente attivazione del sistema nervoso simpatico.
Questa attivazione induce una serie di cambiamenti fisiologici che rendono l’organismo in grado di mobilitarsi di fronte al pericolo (reazione fight or flight, attacco-fuga): aumento del ritmo respiratorio e della frequenza cardiaca, vasodilatazione delle arterie coronariche e muscolari, vasocostrizione cutanea, mobilitazione delle difese immunitarie, rallentamento della digestione, liberazione di zuccheri.
La via lunga prevede invece una regolazione ormonale che, in seguito ad una serie di cambiamenti fisiologici “a cascata”, giunge alla secrezione di ormoni glucocorticoidi, il più importante dei quali è il cortisolo, detto anche “ormone dello stress”.
La sua funzione si concentra principalmente nell’aumentare l’attività antinfiammatoria, nel promuovere la riparazione dei tessuti e nel modulare il metabolismo, rendendo così disponibile una maggiore quantità di energia.
Stress e distress
Come risulta evidente, la reazione di stress prevede una risposta organizzata, concertata e sinergica da parte di vari sistemi dell’organismo e, in termini evolutivi, è facile pensare che sia stata selezionata proprio per il suo valore adattativo nell’aiutarci a fronteggiare minacce e pericoli.
Tuttavia, quando l’organismo è sottoposto ad alti livelli di stress per un tempo continuativo (stress cronico), gli effetti riscontrati sono nocivi per la salute. Si parla in questo caso di distress (stress negativo, non buono) e può essere degenerare in una vera e propria sindrome.
Sindrome Generale di Adattamento
L’endocrinologo Selye (1936) sosteneva che la reazione allo stress fosse un tipo di risposta aspecifica del nostro organismo, indipendente cioè dalla tipologia di evento stressante, ed è riuscito a delineare le fasi che costituiscono tale processo di reazione.
L’autore ne individua tre: allarme, resistenza, esaurimento.
Durante la prima fase, quella di allarme, il nostro corpo reagisce allo stressor e si ha un primo stato di attivazione. Se lo stimolo stressante continua, l’organismo entra nella seconda fase, in cui le manifestazioni tipiche della fase di allarme scompaiono e aumenta la capacità di resistenza.
È in questo momento che l’organismo diviene pronto per la reazione comportamentale di attacco-fuga, per affrontare lo stressor o scappare.
Dopo la fase di resistenza il problema costituito dallo stimolo stressante dovrebbe essere stato risolto e l’organismo si concede tempo per il recupero delle energie e il ripristino dei normali livelli di attivazione.
Nel caso in cui lo stress si prolunghi ininterrottamente per un periodo di tempo prolungato, o si manifesti ripetutamente, l’individuo sperimenta la fase di esaurimento.
Conseguenze dello stress cronico
Le conseguenze dell’esposizione allo stress cronico sono molteplici (Lazzari, 2006): a livello neuronale si riscontra riduzione della neurogenesi e compromissione di cellule neuronali esistenti, che portano alla riduzione di alcune aree cerebrali, tra cui l’ippocampo, con conseguenti problemi di memoria.
Si possono presentare alterazione dei bioritmi corporei (sonno, temperatura, pressione arteriosa), disregolazione del metabolismo e iperglicemia, patologie cardiovascolari e indebolimento del sistema immunitario.
Sul piano psicologico, emotivo e comportamentale, le conseguenze più frequenti sono:
- Livello cognitivo: abbassamento delle capacità attentive e di concentrazione, facile distraibilità, deterioramento della memoria a breve e lungo termine, alterazione dei tempi di risposta, aumento del numero di errori nelle prestazioni, deterioramento delle capacità organizzative e di pianificazione a lungo termine, aumento dei disturbi del pensiero
- Livello emotivo: incremento delle tensioni fisiche e psichiche, aumento dell’ipocondria, aumento del livello di suscettibilità e ostilità, indebolimento dei freni emotivi, sentimenti di impotenza, caduta dei livelli di autostima, ansia, abbassamento del tono dell’umore.
- Livello comportamentale: caduta di interessi ed entusiasmo, difficoltà “a staccare”, incremento dell’uso di eccitanti, droghe o farmaci, consumo di alcol, assunzione di grandi quantità di cibo (in particolare dolci), abbassamento della percezione di energia, disturbi del sonno, disinteresse verso nuove possibilità, evitamento, procrastinazione.
L’esposizione eccessiva allo stress può quindi risultare molto dannosa.
Nel mondo odierno la principale fonte di stress è rappresentata non soltanto da minacce esterne, pericoli e richieste ambientali, ma soprattutto dai nostri stessi pensieri, che ci inducono vivere con l’attenzione costantemente rivolta al futuro (rimuginio) o al passato (ruminazione) e sono in grado di attivare una serie di reazioni emotive, fisiologiche e comportamentali molto disfunzionali.
I nostri principali stressors oggi non sono predatori da affrontare fisicamente ma contenuti provenienti dalla nostra stessa mente: comprendiamo allora quanto l’esposizione possa diventare cronica e prolungata.
Dalla reazione alla risposta
Come può la pratica della mindfulness incidere positivamente sullo stress?
La meditazione mindfulness consiste nel rendere consapevole la persona di ciò che sta accadendo dentro di lei, momento per momento. Si tratta di allenare la nostra capacità di osservazione consapevole riguardo a ciò che esiste nel qui ed ora, siano essi pensieri, immagini, ricordi, emozioni, sensazioni fisiche.
Rimanere concentrati sulla nostra esperienza interna “è semplice, ma non facile” (Montano e Iadeluca, 2022) perché la nostra mente, ricettiva ad ogni tipo di stimolo interno ed esterno, è costantemente impegnata nel produrre contenuti diversi, portandoci con sé nel flusso della corrente, dove un pensiero tira l’altro, incessantemente.
Catturati da questo flusso ininterrotto, anche noi vaghiamo fluttuando tra le onde e sperimentiamo emozioni e sensazioni somatiche senza accorgerci da cosa esse siano provocate o mantenute.
Sulla base di queste spinte inconsapevoli, ogniqualvolta siamo sollecitati da uno stimolo (che può diventare uno stressors), reagiamo senza esserne coscienti, spesso ricorrendo a comportamenti disfunzionali e del tutto automatizzati, come ad esempio fumare, bere caffè, mangiare dolci, evitare un problema… siamo guidati dal pilota automatico.
Essere consci di ciò che accade dentro di noi offre la possibilità di fermare la nostra reazione automatica e scegliere, al contrario, una risposta consapevole, deliberata, riattribuendo a noi stessi il timone della nostra vita, che pur rimane soggetta a correnti e burrasche.
L’ancora del respiro
In questo flusso costante, per riportare l’attenzione ai nostri stati interni, abbiamo bisogno di un aiuto, di un’àncora, che ci permetta di non lasciarci trasportare via dalla corrente e di ritornare al nostro punto fermo: nella mindfulness questa ancora è rappresentata dal nostro respiro.
Il respiro è qualcosa che ci accompagna costantemente durante tutta la nostra vita, è sempre con noi, sempre disponibile, nel qui ed ora. È il nostro ancoraggio al momento presente.
Nella mindfulness, al contrario che in altri tipi di pratiche ed esercizi, il respiro non è utilizzato per produrre rilassamento: lo scopo non essere più rilassati, ma più consapevoli. Non siamo chiamati a modificare nessuna esperienza interna, semplicemente ad osservarla, con una modalità particolare: intenzionalmente, in maniera non giudicante e con uno sguardo di curiosità, apertura e gentilezza.
I sette pilastri della mindfulness
Per approcciarci alla meditazione è necessario abbracciare sette pilastri fondamentali (Kabat-Zinn, 2013):
- Non giudizio: quando osserviamo i contenuti della nostra esperienza interna dobbiamo porci in una modalità non giudicante, astenendoci dall’etichettare ed attribuire giudizi di valore, di gradimento, di moralità (giusto/sbagliato, buono/cattivo, bello/brutto, positivo/negativo, ecc…). Quando appare un giudizio non dobbiamo reprimerlo, dobbiamo semplicemente rendercene conto, ritornare al respiro e lasciare andare.
- Pazienza: poiché la pazienza è una forma di saggezza, è importante non pretendere troppo dal nostro corpo e dalla nostra mente, ma accettare che le cose abbiano un loro naturale tempo di maturazione.
- Mente del principiante: dobbiamo guardare ogni cosa come se fosse la prima volta, senza dare niente per scontato, restando aperti alle nuove possibilità.
- Fiducia: impariamo ad avere fiducia in noi stessi, a diventare la nostra guida in tutti i momenti della nostra vita, a navigare sia in acque sicure che nella burrasca.
- Non cercare risultati: di solito siamo abituati a fare una cosa per raggiungere un obiettivo. La meditazione alla consapevolezza, invece, nonostante richieda energia, ha proprio l’obiettivo opposto, quello di imparare a “non fare”. Il non cercare di ottenere risultati è il miglior modo per ottenere beneficinella meditazione.
- Accettazione: accettare tutte le emozioni e le esperienze, anche quelle sgradevoli, non significa subire passivamente o rassegnarsi, ma rimanere disponibili ad accogliere quello che c’è senza giudizio e senza entrare in contrasto con la nostra stessa esperienza, meccanismo disfunzionale dal quale scaturisce la maggior parte della nostra sofferenza.
- Lasciar andare: dobbiamo imparare a praticare il “non attaccamento” a certe idee, convinzioni, bisogni. Lasciar andare è un modo per accettare le cose così come sono, imparando a fluire con tutti i cambiamenti che sopraggiungono.
Mindfulness come promozione del benessere e cura
Il primo protocollo di intervento basato sulla mindfulness è, come abbiamo visto, il programma denominato MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction), messo a punto da Jon Kabat-Zinn nel 1979.
Il protocollo standard dura otto settimane e prevede sessioni settimanali di gruppo, della durata di due ore circa l’una, in aggiunta a una intera “giornata di silenzio” e un incontro preliminare di orientamento.
Ogni sessione prevede la realizzazione di attività di pratica sia formale (strutturata) che informale (non strutturata). La pratica formale è composta da esercizi di body scan, meditazione seduta, esercizi di Hata Yoga e meditazione camminata. La meditazione non strutturata consiste nell’imparare a porre attenzione agli eventi della vita quotidiana, vivendo con consapevolezza momenti ordinari come occuparsi delle faccende domestiche, guidare nel traffico, mangiare…
In ogni incontro sono poi inseriti momenti di sensibilizzazione e psicoeducazione su specifici temi, quali ad esempio lo stress e la sua gestione.
Tra una sessione e l’altra i partecipanti sono invitati ad allenare la pratica della meditazione a casa per un tempo di circa 45 minuti al giorno.
Mindfulness per i bambini
È stato messo a punto un programma di mindfulness anche per i bambini dai 6 ai 12 anni, chiamato “Il fiore dentro” (Montano e Villani, 2018).
La letteratura scientifica sull’applicazione del protocollo MBSR e sugli effetti della meditazione è molto vasta, come estesamente riportato nel libro Meditare con la vita (Montano e Iadeluca, 2022).
La mindfulness si è dimostrata efficace nel migliorare la gestione del disagio in pazienti affetti da dolore cronico, alleviare le sofferenze di tipo fisico e psicologico in individui con patologie cardiovascolari, migliorare la qualità della vita in persone affette da tumore.
Sembra aver riscontrato un effetto positivo in relazione al rafforzamento del sistema immunitario, alle patologie legate all’invecchiamento, ai disturbi del sonno, alle patologie dermatologiche. Rispetto alla salute mentale, si è riscontrato un contenimento dei sintomi di ansia nella popolazione durante il periodo di lockdown da COVID-19, ansia e attacchi di panico, disturbi dell’alimentazione, disturbo da stress post-traumatico, disturbo bipolare e disturbi da addiction.
Le terapie basate sulla mindfulness
La mindfulness non è di per sé un protocollo di intervento psicoterapico, ma nel tempo è stata efficacemente inserita anche in percorsi di psicoterapia, diventando parte integrante di alcuni modelli di cura. Tra questi, per citarne solo alcuni, la Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MBCT), sviluppata da Segal, Williams e Teasdale (2002); la Dialectical Behavior Therapy (DBT) di Linehan (1993); l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), elaborata da Hayes, Strosahl e Wilson (1999) e la Compassion Focus Therapy (CFT), ideata da Gilbert (2010).
Avvicinarsi alla meditazione mindfulness significa iniziare un viaggio di consapevolezza dentro se stessi, il cui potere trasformativo è garantito dalla costanza e dalla continuità della pratica.
Risulta fondamentale, pertanto, affidarsi a guide esperte la cui competenza sia arricchita non solo da percorsi di formazione ufficiale, ma anche, auspicabilmente, da anni di pratica ed esperienza personale.
Bibliografia
- Beck, A.T. (1975). Terapia cognitiva e disturbi emotivi. Madison, CT: International Universities Press.
- Gilbert, P. (2010). Compassion Focused Therapy. Distinctive features. London: Routledge.
- Hayes, S.C., Strosahl, K.D., & Wilson, K.G. (1999). Acceptance and Commitment Therapy. An experiential approach to behavior change. New York: Guilford Press.
- Kabat-Zinn, J. (1994). Wherever you go, there you are. Mindfulness meditation in everyday life. New York: Hiperion.
- Kabat-Zinn, J. (2013). Full Catastrophe Living: Using the Wisdom of Your Body and Mind to Face Stress, Pain, and Illness (Revised Edition). New York: Bantam Books trade paperback.
- Lazarus, R. S. (1966). Psychological stress and the coping process. New York: McGraw-Hill.
- Lazzari, D. (2007). Mente e salute. Evidenze, ricerche e modelli per l’integrazione. Milano: FrancoAngeli.
- Linehan, M.M. (1993). Cognitive-behavioral treatment for borderline personality disorder. New York: Guilford.
- Montano, A., & Iadeluca, V. (2022). Meditare con la vita. Tutto quello che c’è da sapere sulla mindfulness. Trento: Edizioni Erickson.
- Montano, A., &Villani, S. (2018). Programma mindfulness “Il fiore dentro”. Per insegnare ai bambini a gestire lo stress ed essere più felici. Trento: Edizioni Erickson.
- Segal, Z.V., Williams, J.M.G., & Teasdale, J.D. (2002). Mindfulness-Based Cognitive Therapy for depression. A new approach to preventing relapse. New York: Guilford Press.
- Selye, H. (1936). A syndrome produced by diverse nocuous agents. Nature, 138, 32-38.