L’anno 2020 segna per noi tutti la fine di un’epoca e la consapevolezza che tante cose cambieranno definitivamente d’ora in poi. Secondo Hegel tutte le civiltà finiscono con una risata; secondo il filosofo, Aristofane segna la fine della società greca, Cervantes la fine della società feudale, Stern e Rossini la fine della loro epoca.
Attendiamo di vedere quale humor ci accompagnerà in questo nuovo passaggio epocale.
Un paziente che seguivo anni fa ripeteva spesso: “Chi non ride non è una persona seria”, frase che mi è ritornata spesso in mente negli ultimi tempi.
Effettivamente l’umorismo è una cosa seria. Si ride in ogni cultura e linguaggio e si ride tutti allo stesso modo; nessuno si chiederà mai: “In che lingua sta ridendo l’altro?”. Si impara a sorridere ancor prima che a parlare, intorno alla decima settimana di vita, scoprendo un po’ alla volta, nel corso dell’esistenza, le sue varie funzioni.
Fedor Dostoevskij riteneva l’umorismo uno strumento utile per conoscere e per conoscersi; diceva: “Per conoscere un uomo è necessario studiare non il suo silenzio né il suo modo di parlare o di piangere ma ciò di cui ride”.
Permette di alimentare il piacere nonostante le avversità della vita.
Contribuisce all’estetica di una persona, tanto da diventare un elemento costitutivo della bellezza; chi non ha senso dell’umorismo appare rigido, inflessibile, inibito, represso, poco autentico e nel complesso meno appetibile. Il contrario di umorismo non è serietà ma seriosità termine che rimanda a qualcosa di non bello.
L’umorismo può avere una funzione rafforzativa di enunciati veri. Diceva dell’aforisma Karl Kraus: “Non coincide mai con la verità: o è una mezza verità o una verità e mezza”. Il poeta latino Orazio non trovava nulla di strano nel poter affermare il vero ridendo.
L’umorismo come molte caratteristiche umane non si fa imprigionare in definizioni semplici e univoche. Per esistere ha bisogno dell’attivazione, indispensabile, di una rete i cui nodi sono costituiti da elementi linguistici, sociali, cognitivi; da qui la sua complessità.
Complessa è anche la modalità di risposta all’umorismo che richiede la comprensione (componente cognitiva) e la comparsa di uno stato d’animo gioioso (componente emotiva) che portano alla condotta finale costituita dall’atto del ridere.
Come un Giano bifronte può mostrare un viso benevolo, utile, adattivo oppure aggressivo e maladattativo.
Il lato adattivo lo mostra nella funzione affiliativa – una dimensione interpersonale – utile nel favorire le relazioni con gli altri e il senso di appartenenza. Chi impiega questa forma di umorismo di solito ha un buon livello di autostima, dei tratti di estroversione e una maggiore propensione ad avere rapporti amicali, tutti aspetti che proteggono da molte problematiche psichiche.
L’umorismo auto-rinforzativo, prevalentemente intrapsichico, risulta utile per rinforzare alcuni atteggiamenti funzionali nei confronti della vita, permettendo di selezionare e riproporre le modalità più adattative, utili per fronteggiare le difficoltà.
Riuscire a sorridere di noi stessi non solo migliora l’apprendimento ma ci preserva da possibili auto-valutazioni aggressive e dal loro carico di emotività negativa che si andrebbe ad aggiungere a quella derivante dalla situazione difficile che stiamo cercando di affrontare.
L’umorismo può cercare di raggiungere un obiettivo assumendo la forma di auto-svalutazione. In questo caso l‘autodenigrazione e il mettersi in ridicolo mirano a voler compiacere l’altro per non essere considerato pericoloso o minaccioso, godendo così dei benefici che derivano dalla vicinanza a chi viene ritenuto in qualche modo utile.
E’ bene non esagerare con questa forma che se prevalente compromette i livelli di autostima e benessere; Paracelso ci ricorda che è la dose che fa il veleno.
L’umorismo può diventare strumento aggressivo attraverso la derisione dell’altro con l’intento prevalente di fare esperire sentimenti di vergogna e umiliazione.
Sembra che all’origine tale forma di umorismo avesse una funzione sociale il cui intento era quello di indurre nell’altro modifiche a condotte considerate errate.
Impiegato con questo fine l’umorismo decreta una sorta di superiorità, ci sentiamo migliori quando l’oggetto dell’umorismo è l’altro: noi ci sentiamo migliori e l’altro apprende qualcosa di utile sullo stare al mondo.
Queste le ragioni per cui ci fa sorridere vedere un signore borioso, pomposo, che tratta gli altri con sufficienza, mentre inciampa su un marciapiede e cade disteso a terra. Lo stesso stato d’animo non si attiva in noi se a cadere a terra è un soggetto fragile o vulnerabile, situazione in cui mettiamo da parte qualunque sorriso e preoccupati ci affrettiamo a dare soccorso.
Come spesso accade, condotte nate con una certa finalità perdono di vista i loro obiettivi iniziali e possono diventare semplicemente tossiche, in questo caso un’aggressività finalizzata a sé stessa per il gusto di esercitarla, di nessuna utilità.
A prescindere dalle sue varie forme l’umorismo viene considerato come l’esito di un’incongruenza che si mostra all’improvviso in una determinata situazione, in una storia, in un ragionamento, in un gioco di parole, determinando un inatteso ribaltamento del punto di vista.
Nel vedere o sentire qualcosa abbiamo delle aspettative e delle ipotesi su come si svilupperà la situazione. L’evento umoristico confuta le nostre aspettative e riesce a sorprenderci. La teoria dell’umorismo come una incongruenza che fa saltare il senso di una vicenda ribaltandola all’improvviso è una delle spiegazioni su cui molti concordano.
Al pari di altre forme di intelligenza emotiva – come la resilienza, l’empatia, l’ascolto, le abilità di socializzazione – l’umorismo può essere allenato e ciò a livello cerebrale si tradurrebbe in una migliore attività delle aree incaricate di creare associazioni tra contenuti diversi (come il lobo temporale) e dei nuclei coinvolti nel sistema di ricompensa (come il nucleo striato ventrale).
Ciò si verifica sia in chi “produce” umorismo che in chi ne “beneficia”; l’unica differenza è che nei primi si attiva prima il sistema di ricompensa (il desiderio di essere apprezzato per la battuta) e poi l’attività associativa mentre nei secondi accadrebbe l’inverso (prima si creano i collegamenti e poi scatta la ricompensa che consiste nel ridere).
Ma comprendere i meccanismi alla base dell’umorismo forse interessa prevalentemente i tecnici. Ben maggiori sono i benefici del suo impiego, accogliendolo così com’è senza chiederci “cosa e perché”.
Nel consentirci la costruzione di visioni alternative degli eventi, anche di quelli stressanti, l’umorismo ci aiuta superarli meglio. Infatti al pari di altre emozioni, come la paura, ci consente di affrontare i problemi, non cercando di respingerli.
Capiamo in questo modo la sua importanza e perché dobbiamo considerarlo una cosa seria, soprattutto in questo periodo.
Bibliografia
- Henry Bergson: Il riso. Universale economica Feltrinelli
- Terry Eagleton: Breve storia della risata. Ed. Il Saggiatore
- Laura Salmon: I meccanismi dell’umorismo. Dalla teoria pirandelliana all’opera di Sergej Dovlatov. Ed Franco Angeli
- Marco Malvaldi: Per ridere aggiungere acqua. Piccolo saggio sull’umorismo e il linguaggio. Ed Rizzoli