Gli eventi di vita stressanti che impattano precocemente nella vita dell’individuo hanno un indiscusso peso nello sviluppo psicologico futuro. Questo è tale da poter concorrere in modo significativo nello sviluppo di sintomi psicopatologici durante il corso dell’esistenza.
Ovviamente un evento, per poter avere un ruolo significativo nell’eziopatogenesi di un disturbo mentale, deve avere delle caratteristiche ben precise. Deve avere un elevato impatto emotivo negativo ed essere cronico o ripetuto nel tempo, tale da generare risposte di distress persistenti nel bambino.
Tra gli eventi ad alto impatto emotivo in infanzia troviamo: abusi, maltrattamenti, neglect ed altri eventi destabilizzanti a carico delle figure di attaccamento (divorzio o morte di un genitore, malattie mentali dei caregiovers, ecc.).
Il ruolo del neglect e l’impatto sullo sviluppo emotivo
Nel 1953 Donald Winnicott, pediatra e psicanalista britannico, introdusse per primo il concetto di “madre sufficientemente buona” per descrivere la capacità del caregiver (soprattutto la madre, nella sua prima formulazione) di connettersi emotivamente col figlio come fattore predittivo positivo di un buon sviluppo mentale del bambino.
Winnicott è stato il primo quindi ad ipotizzare un legame tra le esperienze di connessione emotiva madre-figlio e la salute mentale dell’individuo nel corso della sua vita.
La teoria di Winnicott si basava sul concetto che la persona non necessita di una madre “perfetta” ma di una madre capace di cogliere i segnali dei bisogni emozionali del bambino e rispondervi coerentemente. Ciò per poter essere definita “sufficientemente buona” (“good enough”).
Il neglect
Quando parliamo dell’esperienza precoce di neglect ci riferiamo ad una cronica carenza di riconoscimento emotivo da parte dei genitori o uno di essi.
La trascuratezza verso i bisogni emozionali si traduce in comportamenti costanti di disinteresse verso la sfera emozionale del bambino, mancanza di connessione con i vissuti del figlio e scarsa validazione dei suoi sentimenti.
Spesso i genitori trascuranti sul piano emotivo non sono consapevoli di questa loro mancanza o ne minimizzano l’impatto sul figlio. Sono spesso persone che tendono ad avere noncuranza verso i sentimenti in generale, anche i loro stessi.
Possono essere genitori adeguati nel soddisfare altre necessità dei figli: magari ne curano l’abbigliamento e l’alimentazione oppure possono seguirli nello studio ma evitano il contatto con il loro mondo interno. Mancano, cioè, di un’aperta comunicazione delle proprie emozioni e non si interessano dei vissuti dei bambini o di come vengono gestiti. Inoltre spesso non danno importanza a ciò che può ferire i figli o turbarli.
Questo atteggiamento, quando si manifesta in modo cronico da parte del caregiver, può tradursi nell’apprendimento di un atteggiamento disfunzionale. Prima nel bambino e poi anche nell’adulto troveremo scarsa attenzione e scarsa consapevolezza dei propri stati emotivi e tendenza ad auto-invalidare i propri sentimenti o trascurare i propri bisogni.
Questi elementi possono andare a costituire un terreno fertile per lo sviluppo di problematiche della sfera affettiva e psicologica, di diversa natura.
Conseguenze degli eventi precoci sui tratti di personalità
Come abbiamo detto, esiste una mole di dati a supporto del legame tra eventi di vita negativi (come il neglect) e sviluppo di disturbi psicologici.
In particolare, avversità croniche vissute in adolescenza sembrano correlare con tratti di personalità disfunzionali in età adulta.
Un crescente numero di studi ha infatti mostrato che il funzionamento personologico adulto è significativamente danneggiato in soggetti che hanno sperimentato ripetute esperienze dolorose in infanzia (Hughes et al., 2017). Tra queste ultime rientrano:
- Neglect, già descritto in precedenza.
- Abusi fisici, sessuali o affettivi.
- Divorzio o separazione precoce dei genitori.
- Incarcerazione di un genitore.
- Disturbi psichiatrici in un genitore.
- Violenza domestica.
Il soggetto esposto a queste esperienze infantili potrebbe sviluppare tratti di personalità eccessivamente rigidi o disfunzionali sia per apprendimento diretto sia come protezione dal dolore vissuto in infanzia.
Nel primo caso, una persona potrebbe crescere con scarsa empatia proprio perché ha ricevuto un’educazione severa e trascurante i sentimenti.
Nel secondo caso, l’individuo potrebbe – ad esempio – sviluppare una tendenza all’aggressività ed una scarsa regolazione della rabbia in risposta ad esperienze di vittimizzazione fisica subita. Questo proprio perché avere comportamenti minacciosi riduce la sensazione di impotenza interiorizzata durante esperienze di abuso subito.
Personalità patologica ed eventi precoci stressanti
In questa cornice alcuni autori hanno indagato proprio l’associazione tra personalità patologica ed eventi stressanti precoci (es., Carver et al., 2014; Rosenman & Rodgers, 2006). In particolare, i seguenti tratti risultano essere connessi con pregresse esperienze ad alto impatto emotivo in età infantile:
- Esperienze infantili cronicamente negative possono predisporre ad una tendenza a sperimentare frequentemente o cronicamente reazioni emotive negative e intense (ansia, disperazione, rabbia o vergogna sono emozioni comunemente sperimentate da questi soggetti con una marcata difficoltà a auto-regolarsi). Infatti, è comprensibile che una persona che ha vissuto eventi altamente impattanti sia stata esposta a emozioni negative emotivamente soverchianti in età precoce, senza alcuna possibilità di avere un sollievo oppure imparare a gestirle.
- Aggressività. In connessione al nevroticismo, eventi negativi precoci predispongono la persona a comportamenti di ostilità ed aggressività: questi soggetti possono manifestare anche impulsività e discontrollo, come reazione ad un apprendimento o come meccanismo protettivo verso esperienze di maltrattamento subite.
- Scarsa capacità di collaborazione. Gli individui che hanno subito maltrattamenti o trascuratezze da bambini presentano difficoltà nella cooperazione con gli altri, tendono al ritiro o all’evitamento delle interazioni perché proni all’irritabilità e poco capaci di tollerare punti di vista diversi nell’altro.
- Focalizzazione sui successi esterni. Esperienze di vita negative precoci possono portare a sviluppare una tendenza ad avere comportamenti di pretesa o arroganza verso gli altri, probabilmente in risposta ad un profondo senso di inadeguatezza interiorizzato nel tempo. Questi aspetti si accompagnano ad un’eccessiva focalizzazione sulla fama e sul successo con l’aspettativa costante di essere riconosciuti come speciali o meritevoli di ammirazione, aspetti associati a forme di negazione dei dolori del passato.
- Basso livello di impegno relazionale. Parallelamente all’alta focalizzazione sui successi esterni e sul potere, questi soggetti presentano una bassa disponibilità ad impegnarsi in legami sentimentali intimi. La tendenza, sul piano sociale e sentimentale, è quella all’indipendenza e al distacco dagli altri, proprio in risposta ad esperienze di attaccamento doloroso.
Parlando di associazione tra eventi negativi in infanzia e aspetti di personalità non stiamo assumendo che tali tratti siano una conseguenza certa né tantomeno immutabile.
Nonostante alcuni autori (es., Roseman e Rodgers, 2006) affermino che le conseguenze delle avversità in infanzia tendono a predominare lungo l’arco della vita, questo non significa che esse costituiscano un destino certo e ineluttabile per coloro che hanno vissuto ripetuti eventi precoci ad impatto doloroso.
Segnali precoci di sofferenza psicologica in adolescenza: è possibile intervenire precocemente?
Nel panorama internazionale una crescente attenzione sta emergendo nei confronti della prevenzione della salute mentale; in particolare con progetti di screening in adolescenza (Moran, M., 2022; Stiffman e colleghi, 2010).
Questo approccio non è ancora entrato a far parte delle politiche dei paesi europei mentre sta prendendo campo negli Stati Uniti con risultati promettenti.
Il presupposto è che soggetti che, per fattori biologici o sociali (eventi di vita descritti) possono essere predisposti a sviluppare aspetti psicopatologici in età adulta, potrebbero essere intercettati individuando segnali precoci di sofferenza psicologica in adolescenza.
Limiti e difficoltà
I limiti a progetti di prevenzione come questi sono tuttavia numerosi. Innanzitutto, le uniche figure mediche che sicuramente entrano in contatto con i ragazzini o giovani adolescenti sono i pediatri che hanno spazi e tempi limitati per poter cogliere, oltre a sintomi fisici, anche segnali di disagio psicologico nel paziente o tramite i genitori.
Infine, non esiste un’adeguata informazione sul ruolo che i suddetti eventi di vita possono avere sull’equilibrio psicologico di un bambino o un ragazzo e questo contribuisce ad un generale atteggiamento di scarsa attenzione e sensibilizzazione alla salute psicologica giovanile.
Infine, anche quando i giovani ragazzi arrivano all’attenzione clinica di un professionista della salute mentale, non sempre si hanno a disposizione protocolli di supporto per il disagio giovanile nei casi in cui non ci siano gli estremi per una diagnosi vera e propria.
I professionisti della salute mentale invece dovrebbero essere formati a poter lavorare anche su aspetti pre-morbosi per tentare di deviare la traiettoria futura della psicopatologia. Al contrario, nonostante gli sviluppi tecnologici abbiano permesso una maggiore fruibilità della psicoterapia anche ai giovani (ad esempio tramite colloqui su piattaforme online), mancano ancora programmi di intervento psicologico brevi ed efficaci specifici per questo target di utenza.
Le conseguenze del mancato intervento precoce
Queste barriere allo screening psicologico precoce in infanzia costituiscono una vera e propria emergenza sanitaria.
Infatti, quasi la metà dei disturbi mentali in età adulta hanno segnali di esordio precedenti ai 14 anni; inoltre, i disturbi in infanzia ed età adulta sembrano essere esponenzialmente aumentati dopo la pandemia.
Come riportato da studi internazionali (i.e. JAMA Pediatrics), attualmente sembra che esista un gap temporale di circa 11 anni tra i primi sintomi e la diagnosi vera e propria; questo a causa degli ostacoli ad una corretta individuazione dei segnali infantili di sofferenza psicologica.
Ciò significa che un bambino di 6 anni potrebbe non essere preso in carico prima dei 17 con la conseguente prolungata sofferenza da parte del giovane individuo e soprattutto l’impossibilità di modificare traiettorie psicopatologiche che potrebbero cristallizzarsi in veri e propri disturbi o tratti di personalità patologici in età adulta.
Bibliografia
- Carver, C. S., Johnson, S. L., McCullough, M. E., Forster, D. E., & Joormann, J. (2014). Adulthood personality correlates of childhood adversity. Frontiers in Psychology, 5, 1357.
- Hughes, K., Bellis, M. A., Hardcastle, K. A., Sethi, D., Butchart, A., Mikton, C., … & Dunne, M. P. (2017). The effect of multiple adverse childhood experiences on health: A systematic review and meta-analysis. The Lancet Public Health, 2, e356-e366.
- Moran, M. (2022). “What Does a Public Health Approach to Mental Health and Illness Look Like?” Psychiatric News. American Psychiatric Association.
- Rosenman, S., & Rodgers, B. (2006). Childhood adversity and adult personality. Australian & New Zealand Journal of Psychiatry, 40, 482-490.
- Stiffman AR, Stelk W, Horwitz SM, Evans ME, Outlaw FH, Atkins M. “A public health approach to children’s mental health services: possible solutions to current service inadequacies.” Adm Policy Ment Health. 2010 Mar;37(1-2):120-4.
- Winnicott, D. W. (1953). Transitional objects and transitional phenomena; a study of the first not-me possession. The International Journal of Psychoanalysis, 34, 89–97.