Negli ultimi anni sta emergendo una crescente riflessione, con conseguente sensibilizzazione, circa la multidimensionalità della sfera sessuale e l’eterogeneità intrinseca alla sessualità umana. Un processo visibile anche attraverso il tentativo di coniare termini, espressioni, sigle e acronimi sempre più articolati ed inclusivi.
Nonostante questa progressiva apertura, le persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ rimangono soggette a numerosi vissuti di stigmatizzazione, vittimizzazione e marginalizzazione, sperimentando serie conseguenze a livello di salute fisica e mentale.
In quest’ottica risulta fondamentale il contributo della psicologia e della psicoterapia per poter offrire percorsi di sostegno e intervento psicoterapico mirati, a seconda delle necessità della persona LGBTQIA+, alla trasmissione di informazioni scientificamente corrette, che destrutturino falsi miti e credenze, all’affiancamento durante il delicato processo di coming out o alla cura di un’eventuale sintomatologia legata al trauma.
Partiamo dalle definizioni
Ogni riflessione a riguardo non può prescindere da una premessa di chiarificazione circa le componenti su cui si articola la sessualità, spesso indicate ancora oggi con termini impropri o interscambiabili.
Sesso biologico
Il sesso biologico, definito dai cromosomi sessuali (che determinano il genotipo) e dallo sviluppo di caratteri sessuali primari e secondari (che determinano il fenotipo), indica se un individuo è biologicamente maschio, femmina o intersessuale ed ha quindi una valenza esclusivamente biologica ed anatomica.
Identità di genere
Il genere indica la condizione di uomo o donna; con l’espressione identità di genere si intende quindi la percezione soggettiva di appartenenza alla condizione di uomo o donna.
Quando una persona sviluppa un’identità di genere corrispondente al sesso biologico viene definita cisgender, come nel caso ad esempio di una persona che nasce con sesso biologico femminile e sente di avere una identità di genere femminile.
Una persona si definisce transgender quando percepisce discrepanza tra sesso biologico assegnato alla nascita e identità di genere. Alcune persone transgender decidono di intraprendere un percorso di transizione per passare da un sesso all’altro (Female to Male o Male to Female), sottoponendosi a terapie ormonali e interventi chirurgici. In questo caso possono essere indicati come transessuali.
Si definiscono bigender coloro che riconoscono in se stessi due identità di genere ben distinte, che possono essere percepite simultaneamente o alternativamente in momenti diversi e in situazioni diverse.
Negli anni Novanta è stato coniato il termine genderqueer (da gender= genere e queer= strano), per indicare tutti coloro che non si riconoscono in un unico genere definito o non riconoscono in generale il concetto stesso di identità di genere binaria. Tale etichetta viene oggi sostituita con l’espressione genere non-binary, o anti-binarismo, ad indicare il rifiuto della netta dicotomia maschile/femminile. Poiché racchiude diverse accezioni di anti-binarismo, è considerato un “termine ombrello”.
Una categoria compresa nella più ampia “famiglia non-binary” è, ad esempio, quella corrispondente al termine genderfluid, ad indicare coloro che non accettano la polarizzazione maschile/femminile e non riconoscono in se stessi una distinzione così netta, sentendo di appartenere in maniera fluida ad entrambi i generi, lungo un continuum di possibilità.
La parola agender indica invece una persona che rifiuta il concetto stesso di identità di genere, sentendo di non corrispondere né al genere femminile né a quello maschile. Agender si differenzia quindi da genderfluid perché quest’ultimo, pur respingendo l’idea di polarità, riconosce la presenza fluida di due identità di genere, mentre il primo rifiuta completamente il concetto stesso di identità di genere. Alcune persone agender si riconoscono nella più ampia categoria non-binary.
Ruolo di genere
Il ruolo di genere indica l’insieme di atteggiamenti e comportamenti che ci si aspetta da una persona in base all’appartenenza di genere.
Il ruolo riflette, più che caratteristiche individuali e temperamentali, esperienze di vita personali, educazione ricevuta e, soprattutto, condizionamenti sociali.
Le principali istituzioni sociali che trasmettono aspettative legate al ruolo di genere sono la famiglia, la scuola, la società, la politica, le istituzioni religiose e i mass media.
Orientamento sessuale
L’orientamento indica da chi una persona è attratta.
Tale termine può racchiudere due accezioni diverse, che spesso (ma non sempre) coincidono. Se si parla di attrazione sessuale, è appropriato utilizzare l’espressione orientamento sessuale; se si parla di attrazione emotiva e sentimentale, è più indicata l’espressione orientamento romantico. Per semplificare, risponde alla domanda: “Di chi ci innamoriamo?”.
L’orientamento può essere verso persone dello stesso sesso e/o genere (orientamento omosessuale e/o omoromantico); verso persone di sesso e/o genere opposto (orientamento eterosessuale e/o eteroromantico); verso entrambi i sessi e/o generi (orientamento bisessuale e/o biromantico); verso una persona in senso generale indipendentemente dal sesso e/o dal genere (orientamento pansessuale e/o panromantico).
Esiste poi la possibilità che una persona non sperimenti attrazione in senso sessuale e/o romantico verso alcuno, definendosi asessuale e/o aromatico.
Per completezza, è corretto menzionare anche la categoria di coloro che si stanno interrogando sui vari aspetti appena descritti circa l’identità di genere o l’orientamento e sono perciò in fase di questioning.
Infine, il termine generico queer (diverso dalla categoria sopracitata genderqueer) indica tutte quelle persone che, per qualche motivo, rifiutano di definirsi. Ad esempio perché si stanno ancora interrogando o perché non si sentono rappresentati.
Talvolta anche una persona che si definisce cisgender ed eterosessuale può ritenersi queer perché tale termine, di valenza prevalentemente politica, esprime il desiderio generale di non aderire a modelli binari e conformisti.
Acronimo LGBTQIA+
Al termine di questa panoramica, può essere più semplice comprendere il significato dell’acronimo LGBTQIA+, in cui ogni lettera indica una categoria precisa:
L= lesbica; G= gay; B=bisessuale; T= transgender e transessuale; Q= queer; I= intersessuale, A=asessuale; += indica la possibilità di inglobare altre identità di genere e/o orientamenti sessuali, per rendere lista sempre più inclusiva.
LGBTQIA+ e salute
Come evidenziato dall’Istitute of Medicine and Healthy People 2020 esiste una disparità circa i fattori di rischio per la salute fisica e mentale tra la popolazione LGBTQIA+ e quella eterosessuale.
Studi recenti hanno evidenziato come le persone LGBTQIA+ siano maggiormente a rischio di sviluppare disturbi dell’umore, sintomatologia ansiosa, abuso di sostanze, tabagismo, diabete di tipo II, disturbi cardiovascolari e infezioni sessualmente trasmissibili (Selix, Cotler & Behnke, 2020). Manifestano, inoltre, un rischio tre volte maggiore rispetto alle persone eterosessuali di intraprendere comportamenti suicidari (Smalley, Warren & Barefoot, 2017; Keuroghlianet al., 2015).
Il più alto rischio di sviluppo di problemi psicologici e comportamentali nella popolazione LGBTQIA+ sembra essere parzialmente spiegato dalla teoria definita Minority Stress Theory (Meyer, 2003; Frost, Lehavot, & Meyer, 2013). Secondo questa, le persone LGBTQIA+ sono soggette ad un maggior numero di stressors cronici legati a vissuti di rifiuto ed esperienze di pregiudizio, discriminazione e vittimizzazione.
In particolare, il maggior pericolo sembra presentarsi per i giovani, cosiddetti Sexual Minority Youth, perché non possiedono ancora le capacità di fronteggiamento e di risoluzione dei problemi proprie di un adulto o perché si trovano ancora in una posizione di dipendenza economica rispetto alla famiglia di origine, purtroppo talvolta prima fonte di pregiudizio.
I vissuti di colpa, vergogna o paura associati a esperienze di bullismo, discriminazione e isolamento vengono spesso fronteggiati con strategie di coping disfunzionali, quali utilizzo di sostanze, condotte alimentari non salutari o abbandono scolastico (Montano & Rubbino, 2021).
Omofobia e trauma
Nonostante una progressiva apertura, la nostra società risulta ancora prevalentemente eterossessista ed eteronormativa (Montano & Rubbino, 2021).
L’eterosessimo si basa sull’assunzione implicita e aprioristica secondo cui tutte le persone con cui si viene in contatto siano eterosessuali, mentre l’eteronormatività consiste in una forma di pregiudizio che porta a ritenere l’eterosessualità come unica possibile variante normale dell’orientamento sessuale.
Questa mentalità favorisce il pregiudizio e la discriminazione omofobica.
Forme di omofobia
A questo proposito è importante sottolineare la presenza di due forme diverse di omofobia: quella sociale e quella interiorizzata.
L’omofobia sociale comprende quell’insieme di pareri, opinioni, pregiudizi, credenze, valori, atteggiamenti e comportamenti discriminatori perpetrati dalla società che creano nelle persone eterosessuali sentimenti negativi verso le persone omosessuali, quali paura, disagio, ansia, avversione, rabbia o disgusto.
L’omofobia interiorizzata è l’accettazione passiva, consapevole o inconsapevole, nelle persone con orientamento non eterosessuale di quell’insieme di atteggiamenti e comportamenti discriminatori che creano in loro stessi sentimenti negativi di paura, avversione, rabbia o disgusto.
In questo senso, non solo atti di discriminazione esplicita possono avere conseguenze gravi per il benessere della persona LGBTQIA+, ma anche tutti quei commenti negativi e battute generalizzate sull’omosessualità che vengono espressi nei contesti più ordinari, quali la famiglia e la scuola.
Omofobia e trauma
La popolazione LGBTQIA+ è maggiormente soggetta anche allo sviluppo di veri traumi psicologici, riconducibili a due tipologie (Balsam & Mhor, 2007):
- Trauma correlato all’omofobia (Homophobia-related trauma)
- Trauma correlato alla non conformità o atipicità di genere (Gender- non conformity o gender atypicality trauma)
Il trauma correlato all’omofobia può avere origini diverse: può derivare da esperienze dirette di bullismo o violenza omofobica, oppure dalla scoperta di avere un orientamento diverso da quello eterosessuale, accompagnata da vissuti di omofobia interiorizzata Questo è così descritto da Montano e Borzì (2019) nel Manuale di intervento sul trauma: “L’interiorizzazione dello stigma fa sì che le persone LGBT provino, a livello più o meno consapevole, ansia, disgusto, sensi di colpa, vergogna, avversione, paura e disagio nei confronti dell’esperienza omosessuale e bisessuale, che in alcuni casi si traduce in un rifiuto del proprio orientamento sessuale, che può diventare traumatico”.
Non conformità di genere
Con l’espressione “non conformità o atipicità di genere” si intende la diversa espressione del proprio genere rispetto a quanto convenzionalmente atteso per maschio o femmina, in termini di atteggiamenti, aspetto fisico, comportamenti e interessi (Skinner et al, 2018).
I bambini/adolescenti LGBTQIA+ riferiscono di avvertire una non conformità di genere in media intorno agli otto anni, anche se il range varia dai tre ai diciotto anni.
La risposta della famiglia solitamente consiste in molteplici sforzi volti a scoraggiare la non conformità di genere, spesso per paura che il figlio possa diventare gay o lesbica (Montano & Rubbino, 2021).
La percezione di avere un’identità di genere diversa rispetto al sesso assegnato alla nascita può contribuire allo sviluppo di una condizione che, nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), viene definita disforia di genere. I criteri diagnostici si distinguono in criteri riferiti a bambini e criteri riferiti ad adolescenti e adulti, riassumibili nelle seguenti caratteristiche:
- Marcata incongruenza tra genere esperito e caratteristiche sessuali primarie/o secondarie;
- Forte desiderio di liberarsi delle proprie caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie a causa della marcata incongruenza con il genere esperito;
- Forte desiderio per le caratteristiche sessuali del genere opposto;
- Forte desiderio di appartenere al genere opposto;
- Forte desiderio di essere trattato come un membro del genere opposto;
- Forte convinzione di avere sentimenti e reazioni tipici del genere opposto;
- La condizione dev’essere associata a sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
LGBTQIA+ e psicoterapia
All’interno di questo panorama così complesso appare fondamentale per le persone LGBTQIA+ pensare di potersi rivolgere a professionisti della salute mentale che sappiano progettare percorsi di sostegno psicologico o veri e propri interventi di psicoterapia, declinati in base a esigenze specifiche.
L’intervento psicoterapico deve essere sempre progettato sulla base delle richieste della persona, prevedendo, nel modello teorico di riferimento cognitivo-comportamentale, una prima fase di accoglienza con analisi della domanda e formulazione condivisa degli obiettivi. Segue una fase di assessment finalizzata alla concettualizzazione del funzionamento della persona, indispensabile per la progettazione di un intervento appropriato e mirato.
Psicoeducazione
Quando la richiesta di aiuto viene effettuata da una persona LGBTQIA+, indipendentemente da quale sia la natura della problematica riferita, è sempre auspicabile far partire l’intervento con la psicoeducazione sulla sessualità.
Questa fase prevede la trasmissione e la condivisione di informazioni scientificamente fondate e di spiegazioni circa le componenti dell’identità sessuale e i principali costrutti psicologici ad esse correlati, così come la descrizione di come si sviluppano pensieri e credenze profonde secondo i principi del modello cognitivo. Questa sarà fondamentale per la ristrutturazione di tutte quelle credenze che alimentano l’omofobia interiorizzata.
Sostegno al coming out
A seconda della difficoltà e della sintomatologia riferita, il clinico potrà poi decidere su quali aspetti focalizzare il successivo intervento.
La domanda da parte di una persona LGBTQIA+ può essere declinata anche in senso di richiesta di sostegno per il proprio coming out, processo che solitamente si articola in diverse tappe, legate a dimensioni sia interne che esterne alla persona.
Il coming out (letteralmente “uscire allo scoperto”) prevede infatti, da una parte, l’acquisizione di una consapevolezza intima e personale circa il proprio orientamento sessuale, che spesso passa da una fase interrogatoria, di dubbio e confusione identitaria, dall’altra il progressivo desiderio di informare gli altri su chi si è veramente, in linea con valori di autenticità e libertà.
Sebbene numerosi studi descrivano le conseguenze nocive sullo stato di salute psicofisico derivanti dal non fare coming out (Herek, 2003), è vero anche che potrebbero verificarsi conseguenze negative anche in seguito all’auto-apertura, in termini di vittimizzazione, violenza e rifiuto, soprattutto in alcuni contesti etnici, religiosi o lavorativi, per cui è sempre consigliabile valutare attentamente le proprie scelte, le modalità e le tempistiche di attuazione insieme ad un terapeuta.
Il lavoro sui traumi
Nel caso in cui dalla fase di assessment emerga la presenza di un trauma, sarà necessario intervenire su questo. Uno dei trattamenti più efficaci in questo senso è quello proposto da Herman nel 2005, studiato per aiutare le persone con traumatizzazione complessa.
Tale protocollo è articolato in tre fasi.
- stabilizzazione e riduzione dei sintomi, per superare la diregolazione a livello emotivo e fisico.
- trattamento delle memorie traumatiche, per rielaborare i ricordi traumatici, attraverso protocolli di comprovata efficacia quali, solo per citarne alcuni, Esposizione Prolungata, Esposizione Narrativa Scritta, EMDR.
- integrazione della personalità e riabilitazione, per creare un senso di sé stabile, costruire relazioni sociali significative e progettare una vita di senso e significato personale.
Nel caso di pazienti con disforia di genere l’intervento non sarà, ovviamente, finalizzato a trattare un disturbo, ma ad accompagnare la persona verso una maggiore conoscenza di se stessa, in relazione alla propria personalità e sessualità, con l’obiettivo di raggiungere una maggiore comprensione e consapevolezza di sé e della propria diversità.
Il terapeuta potrà sostenere la persona nella fase di coming out; tratterà eventuali sintomi e difficoltà psicologiche secondarie e accompagnerà il paziente nella fase di elaborazione di un nuovo progetto di vita.
Bibliografia
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- Frost, D. M., Lehavot, K. & Meyer, I. H. (2013). Minority stress and physical health among sexual minority individuals. Journal of Behavioral Medicine, 38, 1-8.
- Herek, G. M. (2003). Why tell if you’re not asked? Self-disclosure, intergroup contact, and heterosexuals’ attitudes toward lesbians and gay men. In L. D. Garnets, & D. C. Kimmel (Eds) (Eds.), Psychological perspectives on lesbian, gayand bisexual experiences (2° ed.) (pp.270-298). New York: Columbia University Press.
- Herman, J. L. (2005). Guarire dal trauma: Affrontare le conseguenze della violenza, dall’abuso domestico al terrorismo. Roma: Magi Editore.
- Keuroghlian, A. S., Reisner, S. L., White, J. M., & Weiss, R. D. (2015). Substance Use and Treatment of Substance Use Disorders in a Community Sample of Transgender Adults. Drug and Alcohol Dependence, 152, 139-146.
- Meyer, I. H. (2003). Prejudice, Social Stress, and Mental Health in Lesbian, Gay, and Bisexual Populations: Conceptual Issues and Research Evidence. Psychological Bulletin, 129(5), 674.
- Montano, A., & Borzì, R. (2019). Manuale di intervento sul trauma. Comprendere, valutare e curare il PTSS semplice e complesso. Trento: Edizioni Eickson.
- Montano, A., & Rubbino, R. (2021). Manuale di psicoterapia per la popolazione LGBTQIA+. Aspetti socio-culturali, modelli teorici e protocolli di intervento. Trento: Edizioni Erickson.
- Selix, N. W., Cotler K., & Behnke, L. (2020). Clinical Care for the Aging LGBT Population. The Journal for Nurse Practitioners, 16(5), 349-354.
- Skinner, O. D., Kurtz-Costes, B., Wood, D., & Rowley, S. J. (2018). Gender Typicality, Felt Pressure for Gender Conformity, Racial Centrality, and Self-Esteem in African American Adolescents. Journal of Black Psychology, 44(3), 195-218.
- Smalley, K. B., Warren, J. C., & Barefoot, K. N. (Eds). (2017). LGBT Health: Meeting the Needs of Gender and Sexual Minorities. New York: Springer.