In quanto esseri umani, tutti noi siamo inevitabilmente ed intrinsecamente immersi nelle emozioni. Gli stati emotivi che sperimentiamo svolgono infatti un importante ruolo nella nostra vita, guidando le nostre scelte ed aiutandoci ad organizzare piani d’azione anche complessi.
Le emozioni all’interno della terapia cognitivo-comportamentale
Secondo il modello cognitivo classico, le emozioni rappresentano la naturale conseguenza di processi di valutazione interni ed automatici degli eventi e delle situazioni a cui siamo quotidianamente esposti.
Per modificare l’intensità e la frequenza di emozioni spiacevoli quali tristezza, rabbia, senso di colpa, paura ed ansia, occorre quindi andare a “ristrutturare” quei pensieri che le hanno generate, sostituendoli ed integrandoli con altre valutazioni più funzionali ed adattive.
Facciamo un esempio: Supponiamo che Maria abbia sviluppato una intensa paura dei cani (cinofobia) poiché da piccola è stata aggredita da un cane di grossa taglia e questa esperienza l’abbia comprensibilmente spaventata molto. Alla vista di un cane, Maria tenderà a valutare automaticamente la situazione come minacciosa: “Oddio, c’è un cane… mi morderà!” e, conseguentemente, proverà ansia e paura alla vista dell’animale.
L’ansia la indurrà a mettere in atto dei comportamenti di fuga ed evitamento che, a loro volta, non potranno smentire la sua valutazione di pericolosità di quella situazione. Anzi, più passerà il tempo, più nella mente di Maria si strutturerà e si rinforzerà la convinzione che anche un piccolo ed innocuo cucciolo possa essere pericoloso.
La ristrutturazione cognitiva
La sostituzione dei pensieri disfunzionali con altri più razionali (e.g. : “Quel cane è al guinzaglio e non può farmi del male”, “È un cane di piccola taglia e per giunta mi sta ignorando”) potrà portare Maria a provare un’ansia ed una paura minori. In modo da aiutarla a sospendere i comportamenti di fuga ed evitamento andando così a modificare le sue credenze circa la minacciosità di qualsiasi cane.
La sostituzione e la razionalizzazione dei pensieri automatici disfunzionali è proprio ciò di cui si occupa la terapia cognitiva attraverso la tecnica chiamata “ristrutturazione cognitiva”
A seguito di questo processo di ristrutturazione dei pensieri, Maria sarà maggiormente motivata ad intraprendere anche quello che viene definito “percorso espositivo”, che rappresenta la componente pratica della terapia cognitivo comportamentale. Le credenze razionali aiuteranno Maria a mettersi progressivamente in gioco di fronte alla vista di un cane, tollerando maggiormente le emozioni negative che automaticamente scaturiscono in quella situazione e sospendendo quei comportamenti che mantengono la sua paura e limitano la sua vita.
Un’ evoluzione del modello classico: le credenze emotive
Sebbene la terapia cognitivo comportamentale mostri esiti molto positivi per svariate problematiche quali le fobie, l’ansia, la depressione ed i disturbi dello spettro ossessivo, ci sono alcuni casi in cui la ristrutturazione cognitiva sembra non essere sufficiente per promuovere la motivazione verso la progressiva esposizione alle situazioni temute. Altri in cui, nonostante l’esposizione ripetuta, le emozioni negative associate allo stimolo scatenante, non sembrano ridursi in intensità e frequenza.
In questi casi, nonostante la ristrutturazione cognitiva e le tecniche espositive siano certamente d’aiuto, esse non sembrano essere sufficienti per permettere un marcato miglioramento clinico della situazione.
Perché questo avviene?
Secondo Robert Leahy (2015), la terapia cognitivo-comportamentale può non essere efficace a pieno in tutti quei casi in cui sussistono delle ulteriori credenze cognitive negative che non riguardano la situazione-problema (e.g. vedere un cane) bensì le emozioni esperite in quella situazione come, ad esempio, l’ansia e la paura.
Le credenze emotive individuate da Leahy non riguardano dunque delle situazioni esterne quanto, piuttosto, dei processi emotivi interni a cui tutti noi attribuiamo un significato ed una valutazione.
Le credenze emotive, spesso irrazionali, possono essere positive o negative e, sempre secondo Leahy (2015) si estendono lungo 14 domini.
Tra questi domini, ci sono alcune credenze emotive negative che in particolar modo finiscono per impattare sul malessere percepito e sul mantenimento di specifici disturbi psicologici.
Tra queste troviamo, ad esempio, la credenza che
- le emozioni possano durare in eterno,
- le emozioni non siano controllabili e che quindi siano pericolose,
- alcune emozioni non abbiano senso e che quindi non sia giusto provarle,
- le altre persone non provino le medesime emozioni di fronte a situazioni simili,
- alcune emozioni siano negative di per sé e che quindi sia giusto sentirsi in colpa e vergognarsi nel momento in cui le esperiamo,
- di fronte ad una situazione non sia normale poter provare più emozioni anche in contrasto tra loro.
Tali credenze possono essere presenti specificatamente per alcune emozioni e non per altre. Maria, ad esempio, potrebbe ritenere che l’ansia sia un’emozione pericolosa ed incontrollabile che non le passerà mai ma potrebbe non avere le medesime credenze riguardo ad altre emozioni come, ad esempio, la tristezza o la gioia.
La logica conseguenza della presenza di credenze negative riguardanti la presenza di specifiche emozioni, riguarda l’utilizzo di strategie comportamentali volte ad evitare di provare le emozioni-problema o di ridurle quanto prima nel momento in cui compaiono.
Maria, ad esempio, potrebbe mettere in atto strategie di evitamento dei parchi pubblici non solo per la paura di incontrare un cane ma anche perché reputa tale paura come ingestibile ed incontrollabile.
Allo stesso modo, andando a far visita a dei parenti che hanno un cane in giardino, Maria potrebbe ricorrere ad alcuni comportamenti protettivi, come ad esempio l’utilizzo di un farmaco ansiolitico, non tanto per evitare il cane di per sé, quanto per ridurre il suo stato di ansia, giudicato come pericoloso di per sé.
Validazione ed accettazione delle emozioni
Le credenze emotive individuate da Leahy vanno ad influire su due domini sovraordinati che possiamo chiamare validazione ed accettazione delle emozioni.
La validazione fa riferimento alla capacità di riconoscersi il diritto di poter provare determinate emozioni, mentre l’accettazione riguarda la capacità di accettare, appunto, la presenza di quell’emozione senza fare niente per contrastarla.
La Terapia degli Schemi Emozionali
Il modello terapeutico proposto da Leahy, chiamato Terapia degli Schemi Emozionali (EST – Emotional Schema Therapy), affonda le sue radici proprio nei costrutti di validazione ed accettazione emotiva e si propone di ristrutturare le credenze irrazionali e problematiche circa le emozioni.
Tale modello si è rivelato molto utile come strumento d’integrazione dell’approccio cognitivo- comportamentale classico nel trattamento di svariate condizioni psicopatologiche come la depressione, l’ansia ed il disturbo ossessivo-compulsivo.
In particolar modo per le forme più resistenti (Leahy, 2015) o particolari condizioni, come ad esempio quella del disturbo ossessivo-compulsivo incentrato sul timore di contaminazione basato sul disgusto o sulla sensazione di “non a posto” (Not Just Right Experience) in cui l’emozione associata alla situazione ansiogena ha una curva di estinzione piuttosto lunga, ovvero, non passa nel giro di poco tempo ma tende a mantenersi per periodi più lunghi e riattivarsi anche a distanza di diverso tempo.
In queste situazioni, infatti, un’esposizione volta ad ottenere una semplice diminuzione dell’emozione negativa, come invece avviene per l’ansia, spesso si rivela fallimentare ed occorre strutturare un intervento che vada a colpire le credenze disfunzionali circa la presenza stessa dell’emozione negativa e la capacità dell’individuo di poterla tollerare.
Gli schemi emozionali nella vita di tutti i giorni
Un approccio orientato alla validazione ed all’accettazione emotiva, nonché alla ristrutturazione delle credenze emotive irrazionali non si limita unicamente al trattamento delle condizioni psicopatologiche. Può essere uno strumento prezioso anche per tutte le persone che manifestano una bassa tolleranza emotiva o tendono a rimuginare, a sentirsi in colpa o a vergognarsi di specifiche emozioni.
Schemi emozionali ed invidia
A tal proposito, ad esempio, l’invidia rappresenta forse una delle emozioni maggiormente demonizzate nella nostra cultura. Molte persone sperimentano un senso di colpa molto intenso di fronte a questa emozione e se ne vergognano profondamente ritenendo che non sia un’emozione accettabile e che le altre persone non la provino con la stessa frequenza.
L’invidia, nella sua forma benigna e più comune, è invece un’emozione universale ed evoluzionisticamente utile poiché ci spinge istintivamente a migliorarci per raggiungere lo stato desiderato che vediamo ed invidiamo nell’altro.
Validare l’invidia benigna come un’emozione naturale ed accettarne la presenza può aiutarci a non mettere in atto strategie disfunzionali di gestione del nostro stato emotivo, come ad esempio un processo rimuginativo o ruminativo che, assorbendo le nostre energie, inevitabilmente ci spingerebbe verso uno stato depressivo (invidia depressiva) riducendo invece le azioni volte a migliorare noi stessi o la nostra condizione.
Schemi emozionali e resilienza
Un altro aspetto in cui può essere molto utile integrare un percorso di accettazione e validazione ad un processo di ristrutturazione cognitiva delle credenze emotive negative riguarda tutti quegli eventi di vita che si configurano come un’oggettiva fonte di sofferenza e in cui la terapia cognitivo-comportamentale standard ha un’utilità limitata poiché la situazione in cui ci troviamo è effettivamente avversa e, dunque, la sua valutazione non è poi così irrazionale.
In questa categoria rientrano, ad esempio, le malattie, i lutti e tutti quegli eventi di vita, più o meno drammatici come la fine di un amore o un licenziamento, che possono andare a destabilizzare profondamente lo stato emotivo di chi li vive.
Gli approcci terapeutici più recenti individuano nella terza generazione della terapia cognitivo-comportamentale gli strumenti più efficaci per gestire queste situazioni, facendo in particolar modo riferimento ai modelli basati sull’accettazione, come ad esempio l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy – Hayes; 2009).
Integrare questi approcci con un’attenta analisi delle credenze emotive disfunzionali può essere utile per promuovere una piena accettazione delle emozioni connesse all’evento avverso.
Un esempio
Pensiamo, ed esempio, alla rabbia che può essere sperimentata di frequente in determinati momenti dell’elaborazione di un lutto o al parziale senso di sollievo che è possibile provare a seguito della morte di un nostro caro malato e sofferente da diverso tempo.
In entrambi i casi le emozioni sperimentate sono del tutto normali e fisiologiche, molte persone, invece, le vivono con notevole vergogna o senso di colpa.
Lo stesso vale per le credenze di durata rispetto alla sofferenza causata dalla perdita di una persona cara: la percezione spesso è che il dolore non se ne andrà mai.
Sebbene questa credenza possa in parte essere giustificata, è però anche vero che nessuna emozione dura immutata per sempre. La tristezza per una perdita importante rimarrà ma, indubbiamente, nel corso del tempo cambierà forma, intensità e significato.
Anche nei momenti più difficili, dunque, ristrutturare le proprie credenze emotive può essere utile per affrontare eventi di vita particolarmente dolorosi incrementando così le proprie capacità di piegarsi di fronte agli eventi, senza però spezzarsi.
Bibliografia
- Hayes, S. C., Strosahl, K. D., & Wilson, K. G. (2009). Acceptance and commitment therapy. Washington, DC: American Psychological Association.
- Leahy, R. L. (2015). Emotional schema therapy. Guilford Publications.