Vi è mai capitato di indossare l’orologio a sinistra quando siete abituati a portarlo sempre a destra e percepire che qualcosa non sia “a posto”? O di guardare un quadro e sentire l’impulso a sistemarlo nonostante sia dritto?
Questi esempi sono esperienze comuni che ci aiutano a comprendere cosa prova chi soffre di quella condizione patologica. Sperimenta un forte senso di disagio/ansia perché “le cose non sono nel modo giusto” o sono incomplete. Questa sensazione può diventare cronica, invalidante e può essere gestita attraverso comportamenti disfunzionali, che limitano la vita della persona.
Tale condizione è stata definita Not Just Right Experiences (NJRE) ed è sicuramente una dimensione meno studiata dai clinici e più difficile da comprendere. Non è facile infatti spiegare questo sensazione interna, personale, che si attiva di fronte ai più svariati stimoli.
Cos’è la Not Just Right Experience
Si riferisce a un senso interiore insoddisfacente di imperfezione e/o alla percezione che le proprie azioni non siano state completate in modo appropriato. “Un senso soggettivo che qualcosa non è come dovrebbe essere”.
Questa esperienza differisce dalle credenze o tratti perfezionistici che, generalmente, hanno più a che vedere con la necessità di essere perfetti per non sentirsi inadeguati.
I pazienti che vivono la condizione di NJRE hanno “una spinta interiore che è collegata al desiderio di sentire che le cose siano perfette, assolutamente certe, o completamente sotto controllo“. Ciò al fine di non sperimentare il disagio che deriverebbe nel sostare in questa condizione.
La ricerca della perfezione e della “completezza” è slegata da standard elevati di performance. E’ piuttosto condizionata da un termometro interno, soggettivo, a cui riferirsi per sentire che le cose sono nel modo giusto.
Provare la NJRE causa disagio significativo nella persona e motiva all’impulso di diminuire o eliminare le sensazioni interne di imperfezione/incompletezza.
Questo, spesso, spinge l’individuo a impegnarsi in comportamenti ripetitivi fino a quando non si sente libero da queste esperienze. Ciò può dare vita a limitazioni nella propria quotidianità o allo strutturarsi dei circoli viziosi tipici di varie problematiche psicopatologiche.
NJRE e altri disturbi
Infatti diversi studi indicano che la NJRE ha una possibile natura transdiagnostica essendo associata a vari disturbi quali depressione, ansia generalizzata, ansia sociale, disturbi da tic, sindrome di Tourette e i disturbi dello spettro autistico. Anche se le ricerche hanno identificato le maggiori correlazioni con il Disturbo Ossessivo Compulsivo.
NJRE e Disturbo Ossessivo-Compulsivo
Le concettualizzazioni cognitivo comportamentali più influenti del DOC sottolineano l’evitamento del danno come principale causa sottostante la strutturazione dei sintomi. Tuttavia, non tutti i pazienti che presentano questo disturbo possono identificare minacce specifiche (come ad esempio paura di creare danno a sé o ad altri mettendosi alla guida o lasciando aperto il gas ecc.).
Semplicemente questi pazienti negano che le loro compulsioni siano motivate dal prevenire le conseguenze temute.
Alcuni pazienti con DOC si impegnano in comportamenti disfunzionali (come le compulsioni) per gestire e ridurre il disagio dato dalle sensazioni interne e diffuse che le cose non siano “giuste” (NJREs).
I comportamenti di evitamento o compulsivi aiutano, nel breve termine, a raggiungere uno stato di completezza/perfezione, secondo criteri di riferimento interni.
Questi sentimenti di disagio sarebbero la conseguenza di un deficit nella capacità di vivere l’esperienza emotiva e il feedback sensoriale che guida il comportamento. La funzione delle compulsioni, in questo caso, è quindi quella di ridurre il disagio emotivo e ripristinare una sensazione interna di “giustezza”.
Solitamente i comportamenti associati alla gestione emotiva sono riti di ordine, simmetria (sistemare libri, vestiti, oggetti vari), ma anche il bisogno di ricordare/ripetere cose insignificanti. Oppure picchiettamenti (bussare sul tavolo), immaginarsi visivamente forme che diano una sensazione di essere “a posto” ecc.
Questi comportamenti ripetitivi possono dare vita al circolo vizioso del disturbo ossessivo compulsivo, in quanto abbassano sì la sensazione di disagio nel breve termine, ma portano la persona ad avere sempre maggior bisogno di tali comportamenti e a limitare quindi la vita quotidiana.
Cos’è la sensibilità alle emozioni e sensazioni
Come abbiamo visto, le compulsioni legate a questo sottotipo di disturbo ossessivo non sono legate alla necessità di prevenire/evitare una minaccia specifica. Soddisfano il bisogno di evitare la sensazione di disagio che la NJRE implica.
Recenti ricerche in psicopatologia in generale, e nel DOC in particolare, si sono concentrate sulle reazioni alle emozioni e alle sensazioni piuttosto che sulle esperienze stesse. Il termine “sensibilità” è usato per riferirsi alla valutazione negativa degli stati emotivi: un’emozione può essere valutata come minacciosa, e questo può avere conseguenze su come l’emozione viene gestita (Melli, Carraresi, Poli, Marazziti, & Pinto, 2017).
Quindi la tendenza a ad avere credenze negative riguardo la NJRE (“non posso tollerare il disagio”, “se non faccio qualcosa durerà per sempre”, “la sensazione di incompletezza diventerà incontrollabile”) potrebbe aumentare l’uso di comportamenti compulsivi e quindi la probabilità che si strutturi un disturbo ossessivo.
Al contrario, una maggiore tolleranza per le NJRE porterebbe a un minor evitamento e un numero minore di comportamenti compulsivi al fine di risolvere tali sentimenti.
Trattamento cognitivo-comportamentale
L’importanza delle credenze sulle proprie emozioni e la tolleranza di queste, ci spiega, in parte come mai i pazienti che non possono identificare minacce specifiche associate alle loro compulsioni sono meno reattivi al trattamento.
Quando subentra questo primo aspetto (“se provo disagio non riuscirò a godermi le cose”, “se provo ansia non riuscirò a stare concentrato a lavoro”) e un rapporto difficile con le emozioni e gli stati interni, il quadro si complica e anche il trattamento diventa meno efficace (Melli et al., 2020).
Infatti all’intervento che deriva dall’approccio cognitivo comportamentale standard, chiamato Exposure and Response Prevention (ERP – esposizione con prevenzione della risposta), devono esserne integrati altri, mutuati dagli approcci di terza generazione.
La ERP è stata molto usata negli ultimi 30 anni ed è diventata il trattamento di prima scelta per il DOC. Si tratta di una terapia di esposizione graduale agli stimoli ansiogeni evitati, con la contemporanea eliminazione, riduzione e modificazione delle abituali strategie di gestione dell’ansia (evitamenti, compulsioni, richieste di rassicurazione ecc.).
Per quanto riguarda la NJRE, l’esposizione non è tanto agli stimoli temuti, quanto alla sensazione di disagio che emerge quando sentiamo che le cose “non sono a posto”. Quindi l’esposizione è centrata sulla sensazione di ansia/disagio che scaturisce e l’obiettivo è quello di ampliare la finestra di tolleranza del paziente nello stare con questa sensazione.
Trattamento integrato
Per fare ciò è possibile anche utilizzare strategie terapeutiche che potrebbero attingere dagli approcci più generali di regolazione delle emozioni e in particolare nel training di miglioramento della sensibilità all’ansia.
Inizialmente viene svolta una fase di psicoeducazione riguardo la natura delle emozioni legate alla NJRE (“le emozioni hanno un inizio e una fine”, “è possibile concentrarsi nonostante l’ansia”, “è possibile godersi le proprie attività nonostante le emozioni”).
Gli esercizi comportamentali potrebbero poi essere introdotti sia in seduta sia a casa, al fine di aiutare il paziente ad abituarsi a sperimentare la NJRE, aumentandone la tolleranza e sfidando le cognizioni negative riguardo alle potenziali conseguenze.
Inoltre anche gli esercizi adattati dalla Acceptance and Commitment Therapy (ACT) potrebbero anche essere utili in termini di diminuzione della sensibilità alla NJRE.
In generale, questi potrebbero aiutare gli individui a resistere al bisogno di impegnarsi in rituali in risposta alla NJRE e a comprendere i loro sintomi DOC, migliorando così i risultati e diminuendo gli esiti negativi.
Bibliografia
- Melli, G., Carraresi, C., Poli, A., Marazziti, D., & Pinto, A. (2017). The role of guilt sensitivity in OCD symptom dimensions. Clinical Psychology & Psychotherapy 24(5).
- Melli, G.,Moulding, R., Puccetti, C., Pinto, A., Caccico, L., Drabik, M., J., Sica, C., (2020). Assessing beliefs about the consequences of not just right experiences: Psychometric properties of the Not Just Right Experience-Sensitivity Scale (NJRE-SS). ClinIcal Psychological Psychotherapy.