La ruminazione depressiva è un processo di pensiero astratto, ripetitivo, analitico e focalizzato su contenuti di pensiero negativi.
Il nome del processo deriva dal funzionamento degli animali ruminanti, per cui il cibo già masticato ed ingerito viene riportato in bocca per ulteriori masticazioni.
La ruminazione depressiva è un processo che implica, infatti, che la persona continui a riflettere su alcuni temi. I contenuti implicati nella riflessione sono tipicamente personali. Ad esempio, possono riguardare le cause di certi eventi occorsi nel passato e la riflessione su cosa la persona avrebbe potuto fare di diverso; le cause di certi sintomi o sensazioni che la persona sperimenta; o, ancora, critiche relative a talune caratteristiche di sé, valutate come negative.
Spesso, in corso di ruminazione si verifica il ripetersi della domanda “perché?”.
La ruminazione depressiva è un processo molto dispendioso in termini di consumo di risorse cognitive. Altresì, implica un orientamento e una focalizzazione dell’attenzione verso l’interno (ovvero sui propri pensieri, sensazioni ed emozioni), anziché sull’ambiente circostante.
Ruminazione e metacredenze
Analogamente a quanto avviene negli altri stili di pensiero ripetitivo (ad es. rimuginio ansioso, rimuginio desiderante, ruminazione rabbiosa) il ricorso alla ruminazione depressiva è sostenuto dalla presenza di specifiche metacredenze positive, ovvero da idee che la persona ha sull’utilità di adottare questo processo per conseguire uno specifico scopo.
Ad esempio, alcune persone potrebbero pensare che ruminare sia loro utile per non ripetere certi errori; che ruminare sia importante per migliorare certi sintomi o modificare certi stati affettivi dolorosi; che sia importante per risolvere alcuni problemi; che ruminare sia importante per sentirsi persone “di valore”.
Generalmente, la persona non è consapevole di tali metacredenze ed è importante che in terapia queste diventino esplicite. La presenza delle metacredenze positive, analogamente a quanto si rileva nelle altre forme di pensiero ricorsivo, determina il fatto che, a seguito di certi stimoli, la persona inizi a ruminare.
Pertanto, la ruminazione depressiva si configura come strategia di coping volontaria. Gli stimoli trigger possono riguardare, ad esempio, temi di colpa, responsabilità personale, separazione, indegnità o inadeguatezza personali, fallimento, lutto, autopunizione, espiazione.
Generalmente quello che si osserva è che le conseguenze dirette e indirette del processo ruminativo non solo non consentiranno di raggiungere gli scopi per i quali la persona sceglie di metterlo in atto, ma finiranno addirittura per peggiorare il suo stato, fino a confermare le conseguenze temute.
Quali sono alcune delle tipiche conseguenze della ruminazione depressiva?
Per i meccanismi sopra descritti il ricorso alla ruminazione depressiva potrà implicare svariate conseguenze negative.
Anzitutto, questo processo mantiene e alimenta nel presente stati affettivi dolorosi relativi al passato, spesso associati a senso di indegnità, colpa, vergogna o disgusto per se stessi.
Altresì, la persona potrà sperimentare ulteriori stati dolorosi come conseguenza del fatto di non riuscire a raggiungere gli scopi per i quali la ruminazione depressiva viene attuata. Così, spesso si rilevano senso di impotenza e incapacità. I livelli di autostima e autoefficacia del soggetto ne sono impattati negativamente e la visione negativa di sé viene alimentata.
Tutto questo può avere delle conseguenze negative importanti sul tono dell’umore.
Altresì, il dispendio di risorse richiesto dal processo ruminativo diminuisce l’autocontrollo e ostacola la capacità di adattamento. Il ricorso eccessivo a questa modalità di coping ostacola il normale processo di autoregolazione della nostra mente.
La chiusura in se stessi causata dalla focalizzazione dell’attenzione verso l’interno implica perdita della flessibilità ed è ostacolo alla creatività. La persona si chiude in se stessa e la mente diventa meno sensibile agli stimoli esterni, fino alla possibilità di diventare impermeabile ad essi.
Questo meccanismo ostacola la capacità di distrarsi dagli stati dolorosi generati dallo stimolo iniziale e dalla ruminazione stessa, in un circolo vizioso che si autoalimenta.
Ritiro ed evitamento
Inoltre, la ruminazione depressiva favorisce l’adozione di condotte di ritiro e di evitamento; può ostacolare le prestazioni, con ripercussioni anche significative sul funzionamento scolastico e lavorativo. Si possono rilevare conseguenze importanti sulle relazioni interpersonali, per cui la persona, durante le interazioni con gli altri, non è in grado di prestare loro sufficiente attenzione. Per tali ragioni potrebbe evitare di interagire con gli altri, ritirandosi dalle relazioni, oppure interagire con le altre persone “ruminando ad alta voce”.
Uno dei costi più rilevanti di questo processo riguarda infatti la diminuita possibilità di connessione e sintonizzazione con le altre persone, oltre che con l’ambiente circostante. La persona potrà poi anche ritirarsi dalla pratica di attività piacevoli per lei. Inoltre, la ruminazione depressiva ostacola la possibilità di adottare modalità funzionali di fronteggiamento dei problemi.
Per quanto descritto è evidente come la qualità di vita possa essere ostacolata, anche severamente, in tutti i suoi ambiti.
La ruminazione depressiva si configura come fattore predisponente, di mantenimento, aggravamento e ricaduta per diversi sintomi e disturbi psicologici (ad es., sintomi e disturbi depressivi, ansia sociale, stress post-traumatico, disturbi da uso di sostanze, comportamenti autolesivi), oltre a configurarsi come un ostacolo al trattamento, a causa del possibile impatto sulla motivazione al cambiamento.
Bibliografia
- Caselli, G., Ruggero, G. M., e Sassaroli, S. (2017). Rimuginio. Teoria e terapia del pensiero ripetitivo. Raffaello Cortina Editore.
- Wells (2009). Metacognitive Therapy for Anxiety and Depression. New York: Guilford Press (trad. it. Terapia metacognitiva dei disturbi d’ansia e della depressione. Erickson, Trento, 2018