L’idea di studiare l’esordio di una malattia grave e invalidante come la psicosi al fine di poterla prevenire è sempre stata presente sulla scena della salute mentale.
Numerosi autori hanno sostenuto con forza la necessità di non sottovalutare i segni e i sintomi (perlopiù) sottosoglia che permetterebbero di intervenire prima che la malattia si manifesti.
Nonostante la questione appaia così rilevante, l’estrema aspecificità dei sintomi e dei segni cosiddetti “prodromici” (i primi indicatori della futura patologia), rende molto complessa la realizzazione di piani preventivi realmente applicabili ed efficaci (Di Cesare, 2018).
Non di meno, integrare l’ottica di trattamento con quella di prevenzione primaria richiede un grande cambiamento nel modo di inquadrare questi pazienti (riflettere nuovamente sulle cause della psicosi, sulle sue insidiose modalità di insorgenza, di sviluppo, di mantenimento, sulle possibili cure e sui professionisti/servizi coinvolti o da coinvolgere…).
Il primo sforzo che sarebbe necessario per adottare una tale ottica richiede di spostare l’attenzione su tutti quei fattori che, senza ancora costituirsi come causa, rappresentano elementi “catalizzatori di rischio” (Huber, 1966; Huber e Gross, 1989; Gross, 1989; Gross & Huber, 2005).
Cerchiamo di addentrarci in questa complessità spiegando alcuni concetti essenziali.
Durata della psicosi non trattata (DUP)
L’acronimo DUP (durata della psicosi non trattata) indica il tempo che intercorre tra la prima comparsa dei sintomi/segni di malattia e la prima richiesta di aiuto; si attesta in media sui due anni.
Tanto maggiore la durata della psicosi non trattata, tanto maggiore la resistenza al trattamento, più lungo il tempo necessario a raggiungere la remissione e maggiore anche la gravità sintomatologica che si verrà a determinare.
Si capisce come la riduzione sistematica del DUP, quindi, si costituisca come un passo fondamentale a carattere preventivo. Come potremmo conseguire un tale esito?
- Incidendo su tutti i fattori culturali e sociali – primo fra tutti lo stigma connesso all’idea di avere un disturbo psichico – che ritardano l’accesso alla richiesta di cure;
- Aumentando l’accessibilità dei servizi di salute mentale tenendo a mente tutti i sintomi ed i segni che si costituiscono come “campanelli di allarme” (prodromi, stati mentali a rischio).
Difficoltà e rischi nella diagnosi precoce
Questioni non da poco, se pensiamo a come possa essere veramente difficile, in presenza di quadri non clinicamente definiti, stabilire se e come intervenire!
La fase prodromica rappresenta infatti un’entità diagnostica indefinita, che riguarda inoltre soggetti adolescenti.
Come possiamo imparare a distinguere coloro che, presentando uno stato mentale a rischio, evolveranno in un disturbo psicotico da quelli che invece, fortunatamente, non lo faranno?
Sussiste infatti anche il rischio, non da poco, di un intervento non necessario che implica potenti effetti di stigmatizzazione (Cocchi & Meneghelli, 2012).
Un errore da evitare a tutti i costi! In questo senso molto ci aiutano tutti quegli studi che si sono occupati di studiare minuziosamente i passaggi (spesso sfumati) che portano ad un esordio psicotico, che vediamo riassunti di seguito.
Le tre fasi che precedono l’esordio psicotico
La ricerca ha documentato che un episodio conclamato di psicosi (il primo che si manifesta si definisce “esordio”) è generalmente preceduto da un periodo prodromico di varia durata, nel corso del quale il soggetto sperimenta un cambiamento sostanziale dell’esperienza di Sé e del mondo (Schultze-Lutter et al., 2007). Questo si articola in un crescendo rappresentato grossolanamente nelle tre fasi che seguono (Cocchi & Meneghelli, 2012).
- Nella prima fase troviamo un aumento della tensione emotiva: l’ambiente circostante, il proprio pensiero, le proprie azioni, il proprio corpo sembrano essere diversi e ricorrono esperienze di depersonalizzazione, perplessità e derealizzazione (sintomi aspecifici).
- Nella seconda fase si manifestano i primi tentativi esplicativi necessari ad attutire l’arousal descritto nella prima fase: le sensazioni anomale e disturbanti, la sensazione che i pensieri, il corpo, la volontà siano estranei e che il mondo circostante sia meno autentico, vengono attribuite all’azione di agenti esterni (ancora non ben definiti). Si tratta di sintomi ancora non francamente psicotici ma che iniziano a virare verso questa maggior forma di alterazione (sintomi attenuati).
- Nella terza fase si instaura infine la certezza sul come, perché e chi attui queste manipolazioni (Cocchi, Meneghelli, 2012). La strutturazione delle convinzioni deliranti inizia a regolare la tensione emotiva delle fasi precedenti. Compaiono i primi franchi sintomi psicotici.
Capiamo come, in ottica preventiva, diventare capaci di intercettare i sintomi e i segni riconducibili alla “fase uno” diventi un obiettivo ambizioso ma imprescindibile.
Vediamo di seguito il contributo di alcuni autori che hanno provato a riflettere su questi aspetti.
Segnali e sintomi predittivi da attenzionare
Sulla scorta della riflessione finora riassunta, Schultze-Lutter e Koch hanno messo a punto uno strumento di valutazione finalizzato alla misura del rischio poter sviluppare un disturbo psicotico, dedicandosi poi alla stesura di una nuova versione rivolta a bambini e adolescenti (Schultze-Lutter, Koch, 2009).
La Schizophrenia Proneness Instruments, Child and Youth Version (SPI-CY) è un’intervista che si propone di esplorare quattro aree fondamentali che raggruppano i principali segni e sintomi che potrebbero manifestarsi nelle fasi precedenti l’esordio psicotico, diversificati in aspecifici e specifici.
Di seguito sono elencate le quattro aree sintomatologiche che formano l’intervista e alcune esemplificazioni dei sintomi indagati:
- Adinamia (con vari sottocomponenti tra cui: riduzione della forza e dell’energia, della costanza e della pazienza, della motivazione e della tolleranza psichica allo stress, riduzione dell’interesse verso il mondo esterno, abbassamento periodico del tono dell’umore, aumentata impressionabilità…);
- Disturbi della percezione (con vari sottocomponenti tra cui: ridotta capacità di discriminare tra immagini e percezioni, tendenza all’autoreferenzialità, alterazione della percezione visiva, ipersensibilità acustica, derealizzazione, disturbi propriocettivi…);
- Nevroticismo (con vari sottocomponenti tra cui: diminuzione del bisogno di rapporto sociale, impressionabilità rispetto alla sofferenza degli altri, aumentata reattività, fobie…);
- Disturbi del pensiero e dell’umore (con vari sottocomponenti quali: riduzione della capacità decisionale, disturbi della memoria, disturbo della comprensione simbolica, disturbo espressivo del linguaggio, blocco motorio…).
Sono poi stati individuati due gruppi di criteri, rispettivamente definiti come Sintomi di Base Cognitivo-Percettivi (COPER) e High Risk Criterion, Disturbi Cognitivi (COGDIS), che vanno indagati non solo rispetto alla semplice presenza, ma anche rispetto a durata e pervasività. Essi presentano un alto indice predittivo.
Un passo fondamentale nella prevenzione della psicosi: la valutazione diagnostica
Il contributo prezioso degli autori sopra citati, che ha permesso la finalizzazione dello strumento descritto, appare un esempio chiaro di come possiamo agire in ottica preventiva pensando al tema della psicosi.
I sintomi di base, magistralmente individuati ed operazionalizzati, diventano elementi essenziali nell’individuazione della sintomatologia prodromica.
Inoltre, la strutturazione in forma di intervista permette al (giovane) paziente di vivere l’esperienza della valutazione come primo elemento di sostegno e reale espressione di disponibilità ed accoglienza. Questo in un momento nel quale, si comprende bene, è ancor più essenziale sentirsi compresi nel proprio vissuto.
È inoltre evidente come, le prime domande inerenti ai sintomi di base, preparino meglio il terreno per affrontare l’argomento dei classici sintomi psicotici (come allucinazioni e deliri), creando una prima alleanza terapeutica.
Conclusioni
In conclusione, l’importanza dei sintomi di base per la diagnosi delle psicosi è innegabile.
Un riconoscimento precoce della sintomatologia non può prescindere da un riadattamento degli strumenti in nostro possesso alle peculiarità dello sviluppo adolescenziale dei criteri previsti per gli adulti.
L’intervento diagnostico precoce, accurato e scientificamente orientato è un valido esempio di come si possa agire concretamente in direzione di un’efficace prevenzione.
Bibliografia
- Cocchi, A., Meneghelli, A. (2012) L’intervento precoce tra pratica e ricerca. Torino: Centro Scientifico Editore 2004.
- Di Cesare, G. (2018) Esordio psicotico o blocco evolutivo. Un dilemma difficile. Psicobiettivo 1/2018, pp 32-48.
- Gross, G. (1989) The “basic” symptoms of schizophrenia. British Journal of Psychiatry, 7, suppl, 21-25.
- Gross, G., Huber, G. (2005) Basic symptoms and prodromal phase of schizophrenia. Neurological Psychiatry Brain research, 12, 185-198.
- Ruhrmann, S., Schultze-Lutter, F., Klosterkötter, J. (2010) Probably at-risk, but certainly ill — Advocating the introduction of a psychosis spectrum disorder in DSM-V. Schizophrenia Research; 120:23-37.
- Schultze-Lutter, F. (2009) Subjective symptoms of schizophrenia in research and in the clinic: the basic symptoms concept. Schizophrenia Bullettin. 35, 1, 5-8.
- Schultze-Lutter, F., Koch, E. (2010) Schizophrenia proneness instrument, child and youth version (SPI-CY). Roma, Giovanni fioriti editore.
- Schultze-Lutter, F., Ruhrmann, S., Klosterkötter, J. (2006) Can schizophrenia be predicted phenomenologically? In: Johannessen JO, Martindale B, Cullberg J. editors. Evolving psychosis. different stages, different treatments. London, New York: Routledge, p. 104-23.
- Schultze-Lutter, F., Koch, E. (2009). Schizophrenia Proneness Instrument, Child and Youth Version (SPI-CY). (trad.it.: Strumento di valutazione per la propensione alla schizofrenia – versione per bambini e adolescenti (SPI-CY), Roma: Giovanni Fioriti Editore, 2010).