Quando una persona arriva a chiedere aiuto a un terapeuta o a un servizio di salute mentale per un problema di dipendenza, molto spesso ha già subito numerose dolorose perdite nella sua vita.
A nessuno che lavori in questo ambito o che per motivi personali conosca il fenomeno, sfugge la consapevolezza di quanto la dipendenza letteralmente distrugga il lavoro, gli amici e la famiglia di una persona.
Ancora troppo spesso, l’aspettativa (del paziente, della sua famiglia, della società allargata, dei servizi preposti…) è che qualcuno debba “toccare il fondo” prima che il trattamento possa funzionare (Leshner, 1999).
Ma questo è un falso mito che può avere conseguenze disastrose: a quel punto il danno è quasi sempre grave e la strada per il recupero molto difficile. In realtà, il momento migliore per ottenere aiuto è il prima possibile.
In un recentissimo lavoro pubblicato nel Luglio 2022 sul Journal of American Medical Association (https://nida.nih.gov/about-nida/noras-blog/2022/07/time-to-start-talking-about-pre-addiction), Tom McLellan, George Koob, e Nora Volkow, alcuni degli autori di massimo riferimento sul tema delle dipendenze, argomentano la loro proposta di passare a un piano per una migliore individuazione e supporto di coloro che si trovano nelle prime fasi di un disturbo da uso di sostanze (DUS).
Gli autori usano un interessante parallelo con la condizione di “prediabete” al fine di illustrare gli elementi essenziali caratterizzanti la loro proposta, che vediamo riassunta di seguito.
Da uso/abuso a dipendenza: le traiettorie possibili
Ben sappiamo come la capacità alterata di controllo o la perdita totale di esso sia l’elemento che inequivocabilmente definisce il nucleo centrale di un disturbo da dipendenza.
Tuttavia, è dimostrato il fatto che un DUS è il risultato di un graduale danno dei circuiti cerebrali che controllano la sensibilità alla ricompensa, la motivazione, l’autoregolazione, gli stati emotivi negativi e la tolleranza allo stress.
In altre parole, tra coloro che iniziano il consumo di alcol o altre droghe, la progressione a Disturbo da uso di Sostanze di livello “grave” non è “scontata”. Quando si verifica, la progressione è raramente lineare o rapida. Di solito la gravità del disturbo si determina dopo anni di uso improprio.
L’adolescenza è un periodo particolarmente rischioso per il passaggio dall’uso/abuso al disturbo da dipendenza vero e proprio, probabilmente a causa della maggiore sensibilità dei circuiti cerebrali ancora in via di sviluppo.
Gli adolescenti a più alto rischio di transizione (da uso/abuso a dipendenza) sono caratterizzati da fattori di rischio come: esordio precoce dell’uso, storia di eventi traumatici, storia familiare di consumo di sostanze e/o problemi di salute mentale.
Come il DSM-5 concettualizza il Disturbo da Dipendenza
Riconoscendo che il passaggio a DUS grave può essere progressivo ma manifestato in modo variabile, il DSM-5 utilizza 11 sintomi di uguale peso per definire i DUS lungo un continuum di gravità a 3 stadi.
La dipendenza (intesa nel senso comune) è riservata ai DUS gravi (ovvero con 6 o più sintomi).
Quelli con DUS da lieve a moderato conseguono 2-5 sintomi e secondo gli autori costituiscono una percentuale molto più ampia della popolazione adulta (13%) rispetto a quelli con DUS grave.
Perché allora gli sforzi terapeutici e le politiche di salute pubblica si dovrebbero concentrare quasi esclusivamente su persone con dipendenze gravi, solitamente croniche, “ignorando” la popolazione molto più ampia con DUS in fase iniziale?
Perché lo studio del diabete è utile anche alla clinica delle dipendenze?
Ormai conosciamo bene quella condizione di confine, sempre più diffusa, che non è ancora diabete di tipo 2, ma, se non curata, può diventarlo.
La diffusione del diabete ha reso necessario il ricorso a una strategia che ne consentisse la capillare prevenzione. Ciò è possibile ove si intervenga in una fase della storia clinica anteriore al diabete e che viene perciò definita “prediabete”.
Il prediabete non è, di per sé, un’entità clinica definita, bensì una categoria di rischio per lo sviluppo futuro di diabete di tipo 2 e di malattie cardiovascolari.
Questo esempio suggerisce il potenziale impatto di una strategia parallela per ridurre i problemi di dipendenza mediante sforzi più aggressivi per identificare la “pre-dipendenza”.
La diagnosi di DUS proposta dal DSM-5 già identifica secondo criteri precisi questa possibile “zona di confine”, è affidabile e dovrebbe essere sistematicamente applicata nei contesti clinici e nei servizi dedicati alla salute mentale. I criteri che definiscono il DUS da lieve a moderato a grave sono un punto di partenza oggettivo e ragionevole per definire operativamente la pre-dipendenza.
Nel campo del DUS, lo screening precoce, un breve intervento e l’eventuale rinvio al trattamento vero e proprio hanno un potenziale enorme.
È importante sottolineare che l’abuso di sostanze anche a “basso livello” o occasionale è una delle principali cause di incidenti automobilistici, aggressioni interpersonali e decessi per overdose tra i giovani adulti.
L’identificazione della “pre-dipendenza” potrebbe motivare una maggiore attenzione ai rischi associati al disturbo da uso di sostanze in fase iniziale e aiutare a coordinare le politiche e le risorse sanitarie che sosterranno le misure di prevenzione e di intervento precoce.
Sviluppare l’approccio della prevenzione
Nonostante l’incontestabile consapevolezza secondo cui “un grammo di prevenzione vale un chilo di cura”, il sistema sanitario è oggettivamente istituito per curare malattie e disturbi una volta che si manifestano, non per evitarli.
L’esempio del diabete, però, suggerisce con evidenza le implicazioni del fare prevenzione. La stessa mentalità dovrebbe essere applicata ai disturbi da uso di sostanze.
Non è più ragionevole sostenere (o anche solo veicolare l’idea che) le persone con problemi di droga o alcol debbano “toccare il fondo” prima che un disturbo da uso di sostanze venga riconosciuto e affrontato.
Né è necessariamente vero che le persone contempleranno il trattamento solo quando il loro disturbo raggiungerà quel punto.
È necessario invece cominciare da diffondere l’idea (e poi studiare sistematicamente) di un profilo problematico di consumo che può non raggiungere (ancora) la soglia della dipendenza. I criteri proposti dal DSM-5 ce lo consentono. Una diagnosi di pre-dipendenza potrebbe servire da avvertimento all’individuo su un modello comportamentale con conseguenze potenzialmente importanti, ma anche molto prevenibili, sulla salute e sulla vita.
In conclusione, è importante pensare la dipendenza non come una malattia che compare dall’oggi al domani, ma come una condizione con un retroscena: una storia di crescente assunzione di sostanze, spesso esacerbata da fattori ambientali e personali, circostanze storiche e da fattori di rischio genetici.
Una maggiore consapevolezza delle potenziali traiettorie negative del disturbo da uso di sostanze e delle opportunità per prevenirle consentirà a coloro che si trovano nelle prime fasi di un disturbo da uso di sostanze di arrestarne l’escalation.
Bibliografia
- McLellan, A. T., Koob, G. F., Volkow, N. D. (2022). Preaddiction, a missing concept for treating substance use disorders. JAMA Psychiatry, 79 (8).
- Koob, G.F., Kandel, D., Baler, R.D., Volkow, N.D. (2015) Pathophysiology of addiction. In: Tasman, A., Kay, J., Lieberman, J.A., First, M.B., Maj, M., eds. Psychiatry. Vol 1. 4th ed. Wiley; 2015:359-381.
- Leshner, A. (1999). Addiction myths & miths busters. The principles of Drug Addiction Treatment: A research based Guide, 1999.
- Marel, C., Sunderland, M., Mills, K. L., Slade, T., Teesson, M., Chapman, C. (2018) Conditional probabilities of substance use disorders and associated risk factors: progression from first use to use disorder on alcohol, cannabis, stimulants, sedatives and opioids. Drug and Alcohol Dependence. 2019;194:136-142.