La paura del buio in età pediatrica
La paura del buio (o acluofobia) è una sensazione di angoscia, o forte disagio, che una persona percepisce quando si ritrova in ambienti oscuri. Conosciuto anche come “nictofobia”, questo disturbo fobico è abbastanza comune tra i bambini, mentre è meno diffuso negli adulti.
L’esordio della paura del buio tipicamente si colloca tra i 3 ed i 5 anni e si può presentare associata ad altre tipiche paure dell’età prescolare quali la paura dei mostri, delle streghe e dei pericoli o dei fenomeni atmosferici.
Le manifestazioni di questa paura comprendono: segnali cognitivi, quali pensieri, fantasie o immagini mentali ricorrenti (es., “Penso che nel buio ci sia un mostro”); fisiologici, quali sintomi somatici tipici dell’attivazione fobica (es., mal di pancia, sudorazione, irrequietezza motoria o al contrario irrigidimento, nodo alla gola); comportamentali, quali evitamento e richiesta continua di vicinanza e rassicurazione.
Talvolta le manifestazioni comportamentali comprendono anche pianto, scoppi di ira o l’aggrapparsi in modo esasperato alla figura di riferimento.
Inoltre, in alcuni casi, queste paure possono associarsi anche a “Pavor Nocturnus” (o Terrore Notturno). E’ un disturbo tipico dell’età pediatrica caratterizzato da risvegli nelle fasi profonde del sonno. Questi sono spesso accompagnati da grida, agitazione intensa, pallore, sudorazione, tachicardia e altre manifestazioni di paura intensa che rendono il bambino inconsolabile, disorientato e confuso.
Paura del buio e ore serali
E’ importante ricordare che la paura del buio, nonostante possa generalizzarsi anche a situazioni della vita quotidiana (ad esempio, il bambino evita di entrare nel ripostiglio buio anche di giorno), spesso ha un’origine tipicamente notturna e/o serale.
Infatti la fase dell’addormentamento, con il passaggio dalla veglia al sonno, costituisce un delicato momento di distacco dalle figure genitoriali. In presenza di questa paura, è quindi di fondamentale importanza la vicinanza fisica ed il sostegno del genitore prima che il bambino si addormenti.
Consigli su come affrontare il timore del buio
Alcune importanti indicazioni che possono aiutare il bambino a superare questa ed altre paure, sono:
- Permettergli di verbalizzare tutti gli aspetti delle sue preoccupazioni angosciose senza minimizzarle né banalizzarle.
- Avere un atteggiamento caldo ed accogliente e non criticare (“Avere paura è da deboli!”) né costringere il bambino ad affrontarle tutte e subito.
- Accompagnarlo ad esplorare aspetti del buio che possano tranquillizzarlo constatando che il pericolo temuto non c’è e smentire le fantasie con razionalità ma al contempo comprensione.
- Sostenerlo nel tentare di superare con gradualità il distacco senza cadere in atteggiamenti iperprotettivi.
- Aiutare il bambino a esprimere meglio la propria paura attraverso disegni che costituiscono una via comunicativa più libera e diretta.
- Esorcizzare la paura attraverso favole e giochi che possano con ironia ridurre l’alone di negatività attribuita a certi stimoli.
- Fare attenzione a non usare mai gli “appelli alla paura” per dissuadere il bambino a fare o non fare qualcosa (es. “Smetti di fare i capricci altrimenti ti chiudo in camera al buio”, “Se fai il cattivo arriva la strega”).
Buona parte delle paure nei bambini in età pre-scolare sono irrazionali ma pur sempre legate a oggetti, persone e situazioni specifiche.
Con il passare del tempo le paure tendono a scomparire da sole. Con un corretto sostegno ambientale ed un atteggiamento costruttivo da parte dei genitori, l’aumento della consapevolezza di sé e del mondo da parte del bambino è sufficiente per superare la paura in maniera autonoma.
I problemi maggiori nascono quando la semplice paura diventa fobia.
Quando la paura diventa fobia del buio
Quando in infanzia parliamo di fobia, ci riferiamo ad un tipo particolare di attivazione, sproporzionata rispetto alla situazione. Con livelli di intensità e durata molto maggiori della paura fisiologica e transitoria. La fobia tendenzialmente:
- non può essere contenuta con argomenti razionali;
- va al di là del controllo volontario;
- non va incontro ad adattamento ed abituazione;
- ostacola la vita quotidiana del bambino perché tende a cronicizzarsi e a generalizzarsi ad un numero crescente di situazioni.
La diagnosi formale
Secondo i criteri diagnostici del DSM – 5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th Edition; APA, 2013) la diagnosi di Fobia Specifica è definita da:
- Paura o ansia marcate verso un oggetto o situazione specifica.
- La situazione o l’oggetto fobici provocano quasi sempre immediata paura o ansia.
- La situazione o l’oggetto fobici vengono attivamente evitati oppure sopportati con attivazione o ansia intense.
- La paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto al reale pericolo rappresentato dall’oggetto o dalla situazione specifici e al contesto socioculturale.
- L’ansia o l’evitamento sono persistenti e durano tipicamente 6 mesi o più.
- La paura, l’ansia o l’evitamento causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento dell’ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
- IL disturbo non è meglio spiegato dai sintomi di un altro disturbo mentale.
Le specificazioni possibili, basate sullo stimolo fobico, sono: “animale”, “ambiente naturale”, “sangue-iniezioni-ferite”, “situazionale” ed infine la tipologia “Altro” nella quale ricadono anche le paure tipiche dell’età infantile come quella del soffocamento, dei mostri, del buio.
Nel caso, appunto, di una diagnosi di fobia specifica in età infantile anche il DSM pone particolare attenzione al fatto che alcune paure eccessive possono essere considerate transitorie appropriate all’età di sviluppo.
Di conseguenza, al clinico è raccomandato di valutare attentamente la compromissione e la durata della paura, dell’ansia o dell’evitamento. Questo cogliendo informazioni anche da fonti esterne (familiari o insegnanti) e considerando che nei bambini la paura o l’ansia possono essere espresse da pianto, scoppi di collera, immobilizzazione (freezing) o aggrappamento (clinging).
Le terapie per la paura del buio
Le terapie elettive in ambito cognitivo-comportamentale per le fobie specifiche in età infantile si sono basate sull’uso di tecniche comportamentali di esposizione del soggetto allo stimolo fobico.
Tecniche comportamentali
Il soggetto, esponendosi agli stimoli attivanti la reazione fobica ed eliminando il rinforzo negativo (sollievo) dato dall’evitamento, promuoverebbe un’estinzione naturale dell’ansia.
L’esposizione può essere fatta in modo graduale (creando una gerarchia di stimoli capaci di generare un’attivazione crescente) oppure in modalità massiva (esposizione diretta e prolungata allo stimolo originario). Nel caso dei bambini si predilige un tipo graduale di esposizione perché l’esposizione massiva prevede livelli di attivazione molto intensi, almeno all’inizio.
Nel caso dei bambini, inoltre, l’esposizione può essere accompagnata anche da un’altra tecnica comportamentale che è il modellamento (modeling). In questo caso è l’adulto che affronta per primo lo stimolo temuto per poi chiedere al ragazzo di ripetere il comportamento.
Talvolta il terapeuta può valutare di associare all’esposizione anche una tecnica di rilassamento. In questo caso il bambino entrerebbe in contatto con lo stimolo che lo spaventa ma poi verrebbe aiutato a ridurre i livelli di attivazione sia precedenti che successivi all’esposizione con un rilassamento indotto. L’ansia quindi non si riduce per estinzione ma per controcondizionamento associando una nuova risposta (rilassamento) allo stimolo attivante.
Tecniche cognitive
La psicoterapia cognitivo-comportamentale prevede inoltre anche l’uso di tecniche cognitive per il trattamento delle fobie specifiche in infanzia.
Un’idea centrale della CBT è che le emozioni sono collegate ai pensieri. Gli interventi cognitivi di modificazione delle le cognizioni ansiose distorte si basano sulla ristrutturazione cognitiva (Beck, 1979 ; Beck & Beck, 2011). La ristrutturazione cognitiva è un processo psicoterapeutico durante il quale il cliente impara a identificare pensieri irrazionali, disadattivi e disfunzionali, noti come distorsioni cognitive, e a trasformarli in pensieri più razionali, adattivi e funzionali.
Tecniche basate sull’accettazione
Negli ultimi anni, parallelamente ai suddetti interventi standard e di comprovata efficacia, la CBT si è arricchita di interventi di cosiddetta “terza generazione”. Questi sono volti a modificare non tanto il contenuto distorto dei pensieri ma le modalità con cui ci approcciamo ai nostri pensieri ed ai nostri stati interni in generale.
Tra i modelli di terza generazione, la terapia di accettazione e impegno (ACT; Acceptance and Commitment Therapy) è stata proposta come intervento alternativo per il trattamento dei problemi di ansia (Hayes, Luoma, Bond, Masuda, & Lillis, 2006 ).
Invece di applicare la ristrutturazione cognitiva, il nucleo degli interventi cognitivi in ottica ACT si basa su una tecnica chiamata defusione cognitiva, che insegna ai soggetti ad osservare i propri pensieri accettandoli come tali e, al contempo prendendo, le distanze dal loro contenuto.
Pertanto, CBT e ACT condividono punti in comune ma differiscono anche l’uno dall’altro. Entrambi i tipi di terapie cognitive stimolano i clienti ad avvicinarsi ai loro pensieri ansiosi da un punto di vista più obiettivo. Tuttavia, mentre la CBT spinge le persone a cambiare il contenuto delle cognizioni, l’ACT stimola i clienti ad avere un atteggiamento più accettante nei confronti dei loro pensieri (Hayes et al., 2006 ).
Interventi precoci sulla paura del buio: CBT e ACT a confronto
Nessuno studio aveva sinora valutato gli effetti prodotti dai componenti cognitivi di CBT e ACT a confronto. Una recente indagine svolta in Belgio (Simon, Driessen, Lambert & Muris, 2020) ha analizzato gli effetti della componente di ristrutturazione cognitiva della CBT e della componente di defusione cognitiva di ACT per ridurre la paura del buio in bambini di età compresa tra gli 8 ed i 12 anni.
Gli obiettivi erano il verificare l’efficacia di entrambi gli interventi, l’esplorarne potenziali differenze e, inoltre, valutarne il livello di comprensione e il livello di divertimento associati.
I 43 bambini selezionati erano stati randomizzati al gruppo CBT (21) e al gruppo ACT (22), per poi essere sottoposti rispettivamente ad uno dei seguenti interventi:
- Una sessione di ristrutturazione cognitiva costituita dai seguenti elementi in ordine consecutivo: una breve spiegazione del razionale della terapia cognitiva (5 minuti), la scelta e la formulazione del pensiero disfunzionale sul buio (5 minuti), la raccolta di prove a favore del pensiero negativo (5 minuti) , raccogliendo prove contro il pensiero disfunzionale (7 minuti), formulando un pensiero di aiuto (5 minuti) e un esercizio di rilassamento (3 minuti).
- Una sessione di defusione cognitiva che consisteva nei seguenti passaggi in ordine consecutivo: scelta e formulazione del pensiero disfunzionale sull’oscurità (5 minuti), focalizzazione sul momento presente (3 minuti), metafora del pezzo del puzzle (5 minuti), il “non sei i tuoi pensieri “Esercizio (10 minuti), uomo delle caverne e allarme interno (5 minuti), cantando il pensiero disfunzionale sulla melodia di” Buon compleanno “(2 minuti).
I risultati dello studio
Dai risultati dello studio emerse che entrambi gli interventi si erano mostrati efficaci in termini di tolleranza del buio, dato che il tempo medio di permanenza in un luogo oscuro era risultato equivalente nei due gruppi.
Tuttavia, la componente affettiva di paura auto-riferita è diminuita in modo più significativo dal pre‐ al post ‐ test nel gruppo di ristrutturazione cognitiva rispetto a il gruppo di defusione cognitiva.
Quando si esaminano le differenze tra i gruppi riguardo all’adeguatezza evolutiva, è emerso che entrambi gli interventi cognitivi erano percepiti come molto divertenti a livelli equivalenti. Al contrario, il livello di comprensione era significativamente maggiore (se pur di livello moderato) nel gruppo di ristrutturazione cognitiva rispetto al gruppo di defusione cognitiva.
In sintesi, tenuto conto dei limiti di questo primo studio di confronto tra i due modelli di intervento, i dati emersi suggeriscono che in un campione di bambini in età scolare (8-12 anni), la componente di ristrutturazione cognitiva della CBT ha portato a una maggiore diminuzione della paura del buio ed è stata in qualche modo meglio compresa rispetto alla componente di defusione cognitiva di ACT.
Sebbene sembri prematuro trarre conclusioni definitive, i risultati suggeriscono che la ristrutturazione cognitiva può portare a risultati più favorevoli rispetto alla defusione cognitiva per i bambini in questa fascia di età. Una possibile spiegazione per questo risultato potrebbe essere che la CBT è più adatta come intervento breve rispetto all’ACT. Sono necessari più studi, preferibilmente con più sessioni e con gruppi più ampi ed omogenei, per rafforzare questi risultati.
Bibliografia essenziale
- American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th Edition: DSM-5. American Psychiatric Publishing.
- Bara, B. (2006). Nuovo manuale di psicoterapia cognitiva. Bollati Boringhieri ed.
- Beck, JS e Beck, AT ( 2011 ). Terapia cognitivo-comportamentale: nozioni di base e oltre . New York, NY : Guilford Press.
- Hayes, SC , Luoma, JB , Bond, FW , Masuda, A. e Lillis, J. ( 2006 ). Acceptance and Commitment Therapy: Model, Process and Outcomes. Behaviour Research and Therapy , 44 , 1 – 25 .
- Simon,E., Driessen, S., Lambert, A. & Muris, P. (2020). Challenging anxious cognitions or accepting them? Exploring the efficacy of the cognitive elements of cognitive behaviour therapy and acceptance and commitment therapy in the reduction of children’s fear of the dark. International Journal of Psychology, Vol. 55, No. 1, 90–97.