La sofferenza connessa ai disturbi psicopatologici più diffusi
Quando una persona arriva a chiedere aiuto terapeutico per un disturbo psicopatologico o una sintomatologia conclamata, giunge in psicoterapia portando con sé un profondo senso di sofferenza soggettiva ed una palese compromissione del funzionamento nelle aree di vita più importanti: lavoro, relazioni, socialità.
Anche i disturbi considerati come “più comuni” ed erroneamente “meno invalidanti” come i disturbi d’ansia sono fortemente impattanti sulla vita dell’individuo e tendenzialmente cronici.
Questi, infatti, se non adeguatamente trattati, tendono a ricorrere e permanere nel tempo. Inoltre gli studi sulla compromissione del funzionamento in soggetti affetti da disturbi d’ansia rivelano una riduzione della qualità di vita paragonabile a quella dei pazienti affetti da altri importanti disturbi clinici. Infine nei pazienti affetti da disturbi d’ansia riscontriamo spesso un’elevata comorbilità con altri quadri sintomatologici, soprattutto la depressione.
Circa la metà dei pazienti ansiosi è anche depresso e, se consideriamo la prevalenza nel corso della vita di una diagnosi di depressione in soggetti con disturbi d’ansia, questa percentuale sale al 76% (Brown & Barlow, 2009). Tra l’altro, nella maggior parte di questi casi la depressione è secondaria al disturbo d’ansia e non viceversa (Brown et al., 2001).
Scarsa motivazione ed esiti del trattamento cognitivo-comportamentale
Tra i vari approcci terapeutici ai disturbi d’ansia e alla depressione, quello cognitivo-comportamentale continua a confermarsi come particolarmente efficace per la riduzione della sintomatologia ed il miglioramento della qualità di vita (NICE, 2004).
La psicoterapia cognitivo-comportamentale ha tra le proprie caratteristiche distintive quella di un ricorso massiccio a interventi di modifica dei comportamenti disfunzionali che mantengono il meccanismo sintomatologico. Questo può tradursi anche (ma non solo!) in compiti di esposizione a situazioni ansiogene o fonte di paura, per poi sviluppare strategie di coping (fronteggiamento) più funzionali e meno patologiche.
I trattamenti che invitano a intraprendere azioni in direzione del cambiamento richiedono un livello relativamente alto di motivazione e un impegno insufficiente può essere uno dei fattori che incidono negativamente sull’efficacia.
Esistono infatti tassi comprovati di correlazione tra mancata risposta al trattamento e mancanza di compliance alle tecniche comportamentali (Beutler et al., 2011) mentre una buona recettività ai processi di cambiamento attivo si associa positivamente a esiti prognostici positivi (Orlinsky et al., 1994).
Ambivalenza verso il cambiamento e resistenze
La maggior parte dei pazienti affetti da problemi di salute mentale, quando si rivolgono a uno specialista, sono in una fase di pre-contemplazione (non prendono in considerazione attivamente un cambiamento) o contemplazione (considerano il cambiamento ma vivono un conflitto interno). E’ quindi improbabile che si impegnino attivamente in direttive terapeutiche – come quelle comportamentali – che prevedono uno sforzo attivo nella direzione della modifica dei propri comportamenti problematici.
Sappiamo che l’ambivalenza verso il cambiamento è un elemento piuttosto comune anche in coloro che decidono di intraprendere spontaneamente un percorso di trattamento.
Inoltre, anche in fasi avanzate del percorso terapeutico, le mancanze di compliance sono frequenti e spesso generano difficoltà anche sul piano della relazione terapeutica tra curante e paziente.
Le manifestazioni di resistenza al cambiamento
La maggior parte delle volte i clinici rispondono con direttività di fronte ad atteggiamenti ambivalenti verso il cambiamento ma questo, come vedremo, è un atteggiamento che può risultare infruttuoso.
Le più comuni manifestazioni di resistenza al cambiamento del paziente in ambito clinico sono:
- Espressioni di evitamento durante il colloquio (silenzi del paziente o risposte continue del tipo “Non saprei…”) (Westra, 2012).
- Scarsa compliance verso homework assegnati, comportamento incoerente rispetto a quanto concordato in seduta, polemiche e aperte affermazioni screditanti verso il terapeuta (Newman, 1994).
- Segnali di arresto rispetto al piano terapeutico concordato che possono suggerire un disallineamento tra il piano del terapeuta e quello del paziente (Miller & Rollnick, 2002).
- Oltre a comportamenti di evitamento e squalifica, anche segnali di lamentele (“Non capisco a cosa serva”), sfida o disaccordo (“E’ lei che dovrebbe aiutarmi!”) oppure tendenze a depistare gli argomenti della seduta proponendone continuamente altri (Chamberlain e collaboratori, 1985).
La valutazione della motivazione al cambiamento
Data l’importanza di un corretto riconoscimento di tali segnali, Westra (2012), esperta di processi motivazionali ed interpersonali in psicoterapia, suggerisce una valutazione dettagliata della disponibilità al cambiamento nei pazienti che si ingaggiano in un percorso terapeutico.
Tale valutazione può essere svolta per mezzo di strumenti testistici, quali scale self report costruite ad hoc, e tramite il colloquio clinico, con domande dirette sui vari aspetti della motivazione, quali:
- domande relative ai sentimenti provati verso la terapia (“Cosa prova ad essere qui oggi?”);
- domande inerenti gli sforzi fatti per fronteggiare i sintomi (“Che cosa ha fatto finora per tentare di gestire il suo problema?”);
- domande su eventuali precedenti tentativi terapeutici (“Ha già intrapreso percorsi precedenti? Come sono andati? Perché li ha interrotti?”, “Perché chiede aiuto per la prima volta proprio adesso?”);
- domande sulle aspettative o desideri rispetto alla terapia;
- quesiti sui dubbi o perplessità in merito alla terapia.
Questa prima parte esplorativa è utile per poi pianificare un vero e proprio lavoro mirato sull’ambivalenza o la mancanza di motivazione al cambiamento.
Westra (2012) delinea le linee di tale lavoro tramite l’utilizzo del colloquio motivazionale, strumento assolutamente necessario coi pazienti che mostrano riluttanza al cambiamento. E’ altrettanto utile per guidare chi è già pronto al cambiamento terapeutico e può beneficiarne come sostegno alla motivazione.
Il colloquio motivazionale: principi
Il colloquio motivazionale si pone quindi come strumento alternativo al lavoro sulle resistenze dei pazienti, rispetto al classico atteggiamento direttivo che alcuni terapeuti rischiano di assumere in momenti di stallo terapeutico.
Infatti, mentre la direttività del clinico può risultare utile di fronte ad un paziente collaborativo e compliante, essa risulta spesso improduttiva – se non addirittura dannosa – quando il soggetto presenta resistenze.
I principi che ispirano il colloquio motivazionale, secondo Westra (2012), sono simili a quelli dell’approccio basato sul cliente. Il paziente infatti è visto come esperto conoscitore di se stesso e capace di trovare la propria rotta.
Ne deriva l’importanza di lavorare in armonia col paziente mettendo al centro del processo la relazione terapeutica senza cadere nell’atteggiamento semplicistico del proporre soluzioni. A tal fine il terapeuta deve seguire 4 principi basilari:
- esprimere empatia e sforzarsi di osservare il mondo con gli occhi dell’altro;
- aiutare il paziente a risolvere le discrepanze tra i propri valori e i comportamenti attuati;
- gestire le resistenze vedendole come fonti di preziose informazioni più che ostacoli da superare;
- sostenere e massimizzare l’autoefficacia dei pazienti.
Il colloquio motivazionale: interventi
Il lavoro sull’aumento della disponibilità al cambiamento svolto tramite il colloquio motivazionale può essere semplificato in moduli di intervento specifici (Westra, 2012).
Comprendere l’ambivalenza
Il terapeuta deve innanzitutto esaminare e comprendere l’ambivalenza verso il cambiamento vissuta dal soggetto, esaminandola con domande aperte (es., “Cosa c’è di buono nell’evitare? Ci sarebbero dei vantaggi se smettesse di evitare?”) mosse da uno spirito di curiosità verso i sentimenti del paziente.
Con tali quesiti il terapeuta aiuta a dar voce ad entrambe le posizioni dell’ambivalenza: le ragioni del cambiamento e le resistenze, sostenendo il paziente nella soluzione del conflitto.
Esaminare e validare i benefici della resistenza
Per gestire le resistenze all’interno del colloquio motivazionale il clinico ha il compito di esaminare i benefici della resistenza e validarne le motivazioni.
Questo atteggiamento, aperto e non giudicante, permette al terapeuta di comunicare al paziente che il suo problema è comprensibile così come le difficoltà a cambiare. Sarà proprio questa manovra di validazione che porterà spontaneamente il paziente a parlare del cambiamento, anch’esso desiderato.
Focalizzare i vantaggi del cambiamento
Una volta che le affermazioni in direzione del cambiamento progressivamente emergono, il terapeuta dovrà coglierle e consolidarle, oltre a promuoverne altre. In questa fase quindi l’obiettivo è quello di permettere al paziente di focalizzarsi sui vantaggi del cambiamento abbracciando le motivazioni che fanno propendere verso di esso.
Esplicitare la discrepanza interna
Un altro modulo fondamentale del colloquio motivazionale è quello che mira a evocare la discrepanza esistente tra i comportamenti problematici del paziente ed i propri valori personali.
Pensiamo ad un paziente con attacchi di panico, che per non sperimentare l’ansia in certe situazioni ha iniziato a evitare alcuni mezzi di trasporto o determinati luoghi.
Il cambiamento implicherebbe esporsi gradualmente a tali situazioni ma il paziente è ambivalente verso i compiti espositivi concordati col terapeuta, continuando a rimandarne l’esecuzione.
Per questo individuo potrebbe essere utile mettere in risalto la dissonanza tra questi comportamenti protettivi ed i valori di impegno professionale che gli richiederebbero di affrontare una serie di spostamenti necessari per continuare a portare avanti le sue responsabilità lavorative.
Mostrare al paziente, sempre con atteggiamento esplorativo e non direttivo, che non sta vivendo in linea con i propri valori più importanti genera emozioni spiacevoli e lo spinge a trovare una soluzione.
Supportare il cambiamento
La fase successiva è quella del passaggio al cambiamento che viene anch’essa promossa con interventi di tipo supportivo (e non direttivo!) del terapeuta che stimolano la preparazione congiunta di un piano d’azione fatto da passi pratici in direzione del cambiamento.
Sarà a questo punto che il clinico mette a disposizione del piano terapeutico le proprie competenze condividendo suggerimenti o mettendo in campo interventi tecnici che non saranno quindi “calati dall’alto” ma visti come strumenti che il paziente potrà utilizzare all’interno di un piano di cambiamento condiviso.
Battute di arresto e momenti di stallo terapeutico
Anche nella fase di azione terapeutica avanzata è possibile che compaiano resistenze del paziente tali da produrre battute d’arresto.
Questi momenti di stallo, nonostante si siano già compiuti dei passi nella direzione del cambiamento, sono visti come aspetti normali del processo terapeutico e manifestazioni naturali dell’ambivalenza del paziente, già esaminata e condivisa.
Nello spirito del colloquio motivazionale è importante che il paziente faccia esperienza anche di questa difficoltà in modo tale da sviluppare la propria capacità di reazione in tal senso (Westra, 2012). Ancora una volta, è il cliente che è messo al centro del processo: è lui l’esperto che può contrastare la resistenza.
Il clinico fornirà il suo supporto nel gestire tale battuta d’arresto, anche tramite metodi specifici (Miller e Rollnick 2002) ma lo farà sempre con un atteggiamento supportivo e con un ascolto empatico.
L’ascolto empatico infatti, che rappresenta il fil rouge di tutte le fasi del colloquio motivazionale, permette al paziente di sentirsi accolto nel setting terapeutico e tale atteggiamento comprensivo e tollerante si traduce in una maggiore accettazione di sé e una maggiore autostima.
L’aumento del senso di autoefficacia personale sarà proprio la variabile che permetterà al paziente di sostenersi nelle azioni terapeutiche e superare momenti di arresto, resistenze o paure per uscire dal proprio problema.
Bibliografia
- Beutler, L.E. et al. (2011). REsistance/REactance level. Journal of Clinical Psychology, 67, 133-142.
- Brown, T.A. & Barlow, D.H. (2009). A proposal for a dimensional classification system based on the shared features of the DSM-IV anxiety and mood disorders: Implications for assessment and treatmen. Psychological Assessment, 21, 256-271.
- Brown, T.A. et al. (2001). Current and lifetime comorbidity of the DSM-IV anxiety and mood disorders in a large clinical sample. Journal of Abnormal Psychology, 110, 49- 58.
- Chamberlain, P. et al. (1985). The Therapy Process Code: A multidimensional system for observing therapist and client interactions. Unpublished coding manual.
- Miller, W.R. and Rollnick, S. (2002). Motivational Interviewing: Preparing people for change. Guilford Press.
- National Institute of Clinical Excellence (2004). Clinical guidelines for the management of anxiety. www.nice.org.uk.
- Newman, C.F. (1994). Understanding client resistance: Methods for enhancing motivation for change. Cognitive and Behavioral Practice, 1, 47- 69.
- Orlinsky , D.E. et al. (1994). Process and outcome in psychotherapy: Noch einmal. In A.E. Bergin & S.R. Garfield (Eds.), Handbook in psichotherapy and behavior change. Wiley.
- Westra, H.A. (2012). Motivational Interviewing in the Treatment of Anxiety. The Guilford Press.