“l’insoddisfazione è il primo passo nel progresso dell’uomo”.
Oscar Wilde
Normalmente, l’insoddisfazione è un segnale che indica che qualcosa non va, che si stanno seguendo direzioni errate o che si è coinvolti in una relazione che non fa stare bene. In ogni caso, in un certo senso, ci avverte che dobbiamo cambiare qualcosa, allo scopo di raggiungere uno stato di maggiore soddisfazione e benessere. Da questo punto di vista, l’insoddisfazione non è negativa, anzi, ci incoraggia a cambiare e migliorare aspetti di noi o delle situazioni che ci circondano. Ci spinge, in pratica, a trasformare le nostre risorse per reindirizzare in senso costruttivo i nostri passi.
Tuttavia, quando l’insoddisfazione assume le caratteristiche di cronicità, diventa disfunzionale e negativa per il benessere; succede quando ci immerge in uno stato di dispiacere permanente e ci impedisce di mettere a fuoco e vivere pienamente il presente, perché non siamo soddisfatti di ciò che siamo, non accettiamo pienamente la nostra identità e le situazioni che, a vario titolo, viviamo quotidianamente.
L’insoddisfazione cronica comporta una scissione tra un “io” ideale e la persona che si è o si percepisce essere e appare chiaro come, se non si riesce a far coincidere queste due immagini, non si possa raggiungere una piena soddisfazione. Le persone che soffrono di un senso di insoddisfazione cronica nella maggior parte dei casi fanno fatica a trovare l’origine della propria insoddisfazione, ma riferiscono uno stato più o meno costante nella loro vita che li porta a essere demotivati, annoiati e generalmente di cattivo umore. Si tratta, quindi, di una sorta di “mal de vivere” profondamente radicato, anche se difficile da definire, ma altrettanto difficile da superare, che a tratti può divenire anche invalidante.
Questo senso di insoddisfazione cronica ha di solito origini lontane, che rimandano alle prime esperienze relazionali, dove si formano le immagini di sé, degli altri e del mondo circostante. Per capire, e quindi gestire, questa insoddisfazione bisogna quindi indagare queste prime esperienze, provando a comprendere quali sono le convinzioni su se stessi e sugli altri che queste persone hanno potuto creare e che li influenzano ancora oggi, nel loro presente, facendoli sentire sempre tendenzialmente insoddisfatte.
Se proviamo a leggere le principali caratteristiche dell’insoddisfazione cronica in una prospettiva più completa, queste si possono rivelare il sintomo di quadri di personalità patologici (spesso di tipo narcisistico) o di sindromi ansiose e/o depressive; in particolare, i segnali che possono farci collegare certi sintomi a determinati quadri psicopatologici, sono i seguenti:
- Delusione e frustrazione: l’insoddisfazione può essere il motore che mobilizza le energie motivandoci ad andare verso la realizzazione di obiettivi e desideri che una volta raggiunti ci fanno sentire soddisfatti di noi stessi, felici per essere riusciti a regalarci una piccola o grande realizzazione di noi. Un insoddisfatto cronico, invece, raggiunge raramente la soglia della soddisfazione e anche l’eventuale conseguimento di un obiettivo è spesso vissuto con sentimenti di delusione o frustrazione.
- Tendenza al perfezionismo: che spinge a fare ogni giorno di più e meglio, nel tentativo di raggiungere una soddisfazione utopistica che, comunque, difficilmente viene percepita e che, comunque, comporta una serie di costi in termini emotivi e pratici, che non rendono comunque possibile godere a pieno del risultato raggiunto. In questi casi, anche la semplice organizzazione o realizzazione di progetti banali, può risultare fonte di stress e di ansia da performance.
- Ipersensibilità al fallimento: chi soffre di insoddisfazione cronica fa fatica a tollerare qualunque esperienza di fallimento, anche le più comuni, soprattutto se ha fatto di tutto per riuscire ad ottenere un certo risultato. Quando un obiettivo non viene raggiunto, o non viene raggiunto come sperato, il senso di colpa, di responsabilità e la frustrazione sembrano essere le sole reazioni emotive possibili; a livello cognitivo, invece, la ruminazione si conferma essere la strategia mentale più utilizzata, il cui nucleo centrale rimbomba nella testa come: “Avrei dovuto fare le cose in modo diverso!”. Il fallimento, più che rivelarsi un’opportunità per trarre una lezione positiva per il futuro, tende a far precipitare l’insoddisfatto in una cascata emotiva negativa dalla quale avrà difficoltà ad uscire, a causa del mantenimento di un vero e proprio circolo vizioso.
- Tendenza alla lamentosità: l’insoddisfatto non perde mai occasione per lamentarsi, da solo e con gli altri. Non è quasi mai soddisfatto, neanche quando ottiene ciò che vuole, e non perde occasione per farlo notare in maniera lamentosa. Per queste persone, non sarà mai un buon momento per fare qualcosa e non otterranno mai la giusta risposta. Questo perché colui che soffre di insoddisfazione cronica tende a pensare continuamente che vorrebbe che le cose fossero differenti, migliori, più funzionali, fatte meglio, ecc., rifugiandosi così nell’inflazionato concetto del “non va mai bene nulla!”
- La natura ossessiva dell’insoddisfazione cronica: in alcuni casi, è la sensazione stessa di insoddisfazione ad assumere le caratteristiche di una vera e propria ossessione; questo avviene quando la maggior parte dei pensieri, delle emozioni e dei conseguenti comportamenti della persona, girano senza sosta e senza utilità alcuna intorno a questo concetto centrale, così da permettergli di prendere molto più spazio di quanto sarebbe opportuno.
- Eccesso di autocritica: l’insoddisfatto cronico è focalizzato sulla riuscita, in caso contrario si autoinfligge aspre critiche ed eventuali punizioni. L’attitudine a criticarsi è marcatamente associata all’insoddisfazione e ciò potrebbe anche essere riconducibile a un’educazione centrata sul l’attribuire maggiore importanza agli errori (focus su senso del dovere, di responsabilità, attenzione alla performance, approvazione sociale, valore personale, ecc.) piuttosto che alla gratificazione e ai progressi individuali.
- Assenza di aspettative verbalizzate: più o meno tutti abbiamo la tendenza ad aspettarci che gli altri soddisfino i nostri bisogni. Il problema centrale dell’insoddisfatto cronico è doppio poiché, se da un lato le sue aspettative si rivelano oggettivamente alte (standard eccessivi), dall’altro la probabilità che esse siano soddisfatte è drasticamente ridotta dal fatto che non vengono in alcun modo comunicate all’altro, con la convinzione che debba essere l’altro a doverle per forza conoscere e capire. Chi soffre di senso di insoddisfazione cronica invia, dal proprio punto di vista, una serie di segnali ma senza realmente fornire all’altro la possibilità di percepirli e di rispondervi in maniera adeguata (difficoltà di comunicazione nella relazione, insoddisfazione affettiva, ecc.).
- Una felicità utopistica: “Sarebbe stato meglio se…”è il mantra dell’insoddisfatto cronico. Spronato dal bisogno imperativo di avere sempre di più e sempre di meglio, l’insoddisfatto si trova nella quasi impossibilità di essere pienamente felice. Qualcosa, al suo interno, lo spinge sempre a continuare la propria ricerca incessante di qualcos’altro che non ha ancora ottenuto e che sente di meritare: il lavoro dei sogni, la relazione sentimentale perfetta, ecc. La difficoltà è insita nel non riuscire a pensare che esista già un “qui e ora”, che potrebbero essere per lui una fonte di felicità, permanendo così nel senso di insoddisfazione cronica.
- L’obiettivo irraggiungibile: per l’insoddisfatto cronico l’obiettivo da raggiungere talvolta supera le capacità delle quali dispone creando così uno scarto tra il sogno e la realtà. Può accadere anche che l’obiettivo che vuole raggiungere sia sfocato, poco chiaro o definito e che il suo raggiungimento richieda l’utilizzo di tutte le risorse individuali; nonostante ciò, il risultato finale non corrisponde quasi mai a una piena soddisfazione, con tutte le frustrazioni che ne conseguono.
- I messaggi degli altri: mentre chi ha insoddisfazione cronica è convinto di non fare mai abbastanza, le persone che lo circondano potrebbero inviargli messaggi del tutto diversi, come per esempio: “Fai troppo! Goditi questo momento, non vedi come stiamo bene?!”.Questi feedback, soprattutto se ripetuti con costanza e insistenza, possono essere percepiti come critiche che denotano una scarsa comprensione da parte dell’altro; raramente sembrano essere d’aiuto, dal momento che l’insoddisfatto cronico non ha la capacità di prende le necessarie distanze per provare a leggere il proprio comportamento sotto una diversa e più sana prospettiva.
Non è scontato che persone che soffrono di insoddisfazione cronica giungano all’attenzione degli specialisti con la chiara consapevolezza di cosa e come funzionano, per lo più lamentano umore depresso, stanchezza, affaticabilità, scarsa comprensione da parte degli altri e frustrazione nelle relazioni. Compito principale del clinico, una volta escluse altre cause, è proprio quello di cogliere cosa possa stare dietro a queste sintomatologie generali e accompagnare la persona in un percorso che tenga in considerazione gli aspetti personologici e delle caratteristiche specifiche.