Affrontare la letteratura scientifica relativa alle conseguenze traumatiche del parto significa comprendere l’esistenza di un mondo sommerso di casi di sofferenza psicologica non identificati e spesso non curati dal sistema sanitario. Negli ultimi 20 anni numerosi studi hanno evidenziato elevati indici di traumatizzazione psicologica post-partum.
Nel Regno Unito, ad esempio, la percentuale di donne che riferiscono esperienze traumatiche durante il parto varia dal 20 al 33%.
I disturbi di ansia nel periodo successivo al parto risultano essere più frequenti anche dei sintomi depressivi con un 16% di pazienti che soddisfano la diagnosi di disturbi di panico, fobie, disturbi dell’adattamento o disturbi da stress post traumatico (PTSD) associati all’evento stesso del parto.
Una successiva revisione della letteratura conferma che nel Regno Unito quasi il 10% delle donne nel periodo post-natale presentano gravi risposte da stress post-traumatico (flashbacks, incubi notturni, incapacità ad avvicinarsi ad ospedali o a donne in gravidanza) e l’1-2% di loro arriva a sviluppare un vero e proprio PTSD.
Altre indagini condotte su campioni ancora più ampi hanno riscontrato – in associazione con sintomi d’ansia e post-traumatici – problemi nella sfera sessuale (a confronto con il periodo precedente al parto) con una profonda compromissione anche nella qualità dei rapporti intimi e sentimentali con il partner.
I fattori peri-natali di rischio identificati in letteratura risultano essere: complicazioni dopo il parto naturale, l’uso di procedure d’emergenza quali forcipe/ventosa, basso uso di analgesici e elevato grado di dolore percepito dalla partoriente. Le complicazioni di tipo medico durante il parto ed il rischio per la salute del neonato sono inoltre fattori di rischio maggiore per i traumi nei partner (padri) che assistono al parto.
Nonostante l’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) all’integrazione dei programmi di salute mentale all’interno delle cure sanitarie offerte alle madri prima e dopo il parto, la questione fondamentale sembra ancora ruotare attorno alla difficoltà del riconoscimento del parto come un evento potenzialmente traumatico.
Tuttavia sembrano recentemente emergere segnali di una nuova consapevolezza in questo ambito, anche da parte dei pazienti stessi.
In particolare, nel nostro Paese gli stessi cittadini stanno promuovendo iniziative rivolte alla valorizzazione dei bisogni psicologici della futura madre: tra tutte, emerge la campagna #bastatacere (al seguito della precedente iniziativa #breakthesilence lanciata dal network internazionale Human Rights in Childbirth) per dar voce a tutte le donne che, traumatizzate durante il parto, ritengono di non essere state rispettate nei loro diritti fondamentali di pazienti.
Donne umiliate, abusate e derise o semplicemente non informate adeguatamente sulle procedure mediche a cui andavano incontro…donne che non hanno potuto elaborare i loro vissuti emotivi intensi (innescati da parti difficili o dolorosi) perché non accolte o tutelate dalle figure medico-sanitarie attorno a loro, cristallizzando l’esperienza traumatica stessa.
A partire da tutto questo in Italia è stata da poco depositata una proposta di legge per il riconoscimento del reato di violenza ostetrica e del rispettivo danno risarcibile.
Senza minimizzare l’importanza del riconoscimento legale di un diritto leso in una paziente, la questione fondamentale sembra essere il bisogno di maggiore consapevolezza del parto come un momento estremamente delicato nel quale, al di là dell’immensa gioia per la nascita di un figlio, possono incorrere anche rischi per salute fisica e psicologica di madre e bambino.
Solo così potremmo iniziare a implementare progetti volti non solo a riconoscere i danni avvenuti ed a punire le responsabilità mediche o ostetriche, ma anche a prevenire ed informare sul tema della sofferenza psicologica post-traumatica connessa al parto. Solo così potremmo porre la nostra attenzione verso i fattori di rischio, i segnali precoci e gli indicatori soggettivi del trauma post-partum. E solo così potremmo intervenire precocemente sulla salute mentale delle pazienti e sulla qualità della relazione madre-neonato che sappiamo essere la base fondamentale per il benessere psico-fisico anche del bambino stesso.