Il concetto di mindfulness si riferisce ad una “consapevolezza che emerge dal prestare attenzione di proposito, nel momento presente ed in maniera non giudicante allo scorrere dell’esperienza momento dopo momento” (Jon Kabat-Zinn, 2003). I tre elementi centrali di questa definizione, ossia:
- consapevolezza,
- attenzione centrata sul momento presente
- atteggiamento non giudicante rispetto alla propria esperienza attuale
sono, non solo i fondamenti delle psicoterapia orientata alla mindfulness (nei suoi aspetti teorico-pratici), ma anche gli ingredienti cruciali della relazione psicoterapica in sé (Germer, Siegel & Fulton, 2005). Quando si parla di mindful therapist (terapeuta mindful o “consapevole”) ci si riferisce ad un professionista che fa della mindfulness la base del suo atteggiamento terapeutico all’interno del suo lavoro col paziente.
Nonostante nel campo della psicoterapia ricercatori e clinici siano concordi sul fatto che esistano solo differenze minoritarie negli esiti terapeutici di trattamenti svolti con approcci teorico-metodologici diversi (Luborsky et al., 2002), un certo dibattito continua ad esistere in letteratura riguardo l’importanza di determinati fattori in funzione dell’esito della terapia.
In questa ottica si è riscontrato che il 40% della variabilità dei risultati sembra di fatto dipendere da caratteristiche socio-demografiche del paziente, il 15% dalle sue aspettative, un altro 15% dalle specifiche tecniche scelte e il restante 30% da aspetti aspecifici che rendano salda la relazione terapeutica quali: empatia, accettazione positiva incondizionata, collaborazione tra terapeuta e paziente.
Recentemente Sapiro e Carlson, nel manuale “The art and science of mindfulness” (2017) si concentrano sul ruolo che la mindfulness può avere nell’aiutare la relazione terapeutica proprio considerandola il fattore aspecifico di maggior rilievo per un buon esito del trattamento.
Le caratteristiche di quello che gli autori definiscono il “mindful therapist” comprendono: a) la capacità di essere “presente” e “attentivamente focalizzato” sul momento attuale; b) un atteggiamento positivo durante la terapia; c) un atteggiamento auto-compassionevole del terapeuta; d) l’empatia verso il paziente; e) la regolazione delle emozioni e gestione del controtransfert da parte del terapeuta.
- La capacità di essere “presente” e “attentivamente focalizzato” sul momento attuale: Non importa, secondo gli autori, quanti anni di esperienza il terapeuta abbia o quante abilità specifiche vanti nel suo curricolum, se non è capace di sostenere l’attenzione durante la terapia e saperla dirigere volontariamente su diversi elementi (es., ciò che il paziente sta dicendo, ciò che comunica a livello non verbale, le proprie sensazioni corporee, ecc.). In letteratura, un crescente numero di studi controllati dimostra che la meditazione mindfulness accresce significativamente le capacità di focalizzare e mantenere l’attenzione. In particolare, la capacità di seguire una serie di stimoli subdoli in rapida successione è un’abilità attentiva – cruciale per la terapia – che è implementabile con la meditazione mindfulness.
- Un atteggiamento positivo durante la terapia: secondo gli autori, l’atteggiamento più efficace in terapia è quello caratterizzato da calore, accettazione, fiducia, pazienza, apertura e gentilezza. La pratica della mindfulness produce nel terapeuta un evidente accrescimento delle attitudini all’apertura mentale, la gentilezza ed il calore.
- Un atteggiamento auto-compassionevole del terapeuta: la compassione, intesa come capacità di empatizzare e volontà di lenire la sofferenza propria ed altrui, è una delle capacità esercitabili con la pratica della mindfulness. Con la meditazione mindfulness infatti è possibile implementare la capacità di auto-sintonizzazione emotiva, precursore fondamentale per sviluppare un atteggiamento auto-compassionevole. Nell’ipotesi che l’auto-compassione sia la condizione necassaria anche per la compassione verso gli altri, alcuni autori hanno analizzato interazioni terapeuta-paziente videoregistrate evidenziando che i curanti conatteggiamenti più critici verso se stessi erano quelli che mostravano più ostilità, controllo e non accettazione verso i pazienti. La pratica della mindfulness quindi potrebbe accrescere enormemente l’auto-compassione dei terapeuti facilitandone una modalità relazionale aperta e accettante anche nei confronti della sofferenza altrui.
- L’empatia verso il paziente: l’empatia, definita da Carl Roger (1957) come l’abilità di “percepire il mondo interno del paziente come se fosse il proprio, senza perdere il “come se””, è una condizione fondamentale per una terapia efficace. Tuttavia, come già detto, l’empatia verso l’altro è raggiungibile solo dopo aver sviluppato sintonizzazione e compassione verso noi stessi. In tal senso, la pratica della mindfulness ancora una volta assume un ruolo centrale nell’accrescimento della capacità di sintonizzazione emotiva e connessione empatica verso l’altro, come dimostrato da studi su terapeuti e campioni tratti dalla popolazione generale (Shapiro et al., 2007; Shure et al., 2008) e ricerche nel campo delle neuroscienze sui neuroni specchio (Goleman, 2006; Siegel, 2007).
- La regolazione delle emozioni e gestione del controtransfert da parte del terapeuta: una crescente mole di ricerche hanno mostrato come la pratica della mindfulness aumenti le capacità di regolazione emozionale, tanto da essere ormai parte integrante di trattamenti rivolti a problematiche della sfera della regolazione degli impulsi, quali la DBT (Linhean, 1993) e la terapia cognitiva basata sulla mindfulness (Segal et al., 2002). Indubbiamente, all’interno del setting clinico, i terapeuti devono modulare le proprie reazione emotive ed essere consapevoli di quando potrebbe essere utile esprimerle oppure quando sarebbe più produttivo non agire automaticamente. Questo vale soprattutto per la gestione delle emozioni controtransferali. Dato che la familiarità con il proprio corpo e le proprie emozioni si acquisisce enormemente con la meditazione mindfulness, il terapeuta mindfull è anche più capace di notare le proprie risposte emotive e non verbali rispetto al comportamento del paziente e regolare le queste reazioni automatiche in modo tale che la relazione terapeutica ne benefici.
Negli ultimi anni la ricerca si è rivolta sempre di più al campo della relazione terapeutica e le suddette ipotesi sono state confermate grazie a studi controllati-randomizzati. Studi condotti su terapeuti sottoposti a training di meditazione (Grepmair et al., 2007a; Grepmair et al., 2007b; Ryan et al., 2012) hanno dimostrato – rispetto a terapeuti senza alcuna pratica mindfulness – un esito indiscutibilmente positivo nei confronti, non solo della loro percezione soggettiva della qualità del loro lavoro (in termini di consapevolezza delle proprie dinamiche e di capacità nel superare le difficoltà terapeutiche) ma anche in termini di un outcome terapeutico.
In conclusione Shapiro e Carlson suggeriscono che sia l’acquisizione di una formazione specifica nella terapia basata sulla mindfulness (con competenze e conoscenze) sia una pratica informale per se stessi (ad esempio, tramite la meditazione) possa indubbiamente aiutare gli psicoterapeuti – al di là dell’orientamento – ad accrescere le qualità essenziali per l’efficacia del loro lavoro.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
S.L. Shapiro & L.E. Carlson (2017). The Art and Science of Mindfulness: Integrating Mindfulnes into Psychology and the Helping Professions. American Psychological Association
Jon Kabat-Zinn, 2003. Mindfulness based stress reduction (MBSR) (2003). Constructivism in Human Science, vol 8(2), 73-107.