Quando una coppia decide di avere un figlio si crea uno spazio mentale dove nasce e inizia a crescere il bambino sognato, in cui vengono proiettati i propri desideri e le aspettative per la sua vita futura.
Nell’immaginario collettivo la gravidanza è rappresentata come un’esperienza perlopiù positiva e appagante. Con la nascita, il bambino immaginato per nove mesi – e spesso già da molto tempo prima della gravidanza stessa – dovrà lasciare il posto al bambino reale.
Prima ancora di questo delicato passaggio, però, la donna e la coppia devono attraversare il momento della diagnosi prenatale, che può essere portatrice di grandi speranze per il futuro del bambino, ma anche di notizie inquietanti sulla sua salute e il suo sviluppo.
L’ecografia ostetrica rappresenta uno dei momenti più attesi e carichi di aspettative; la visualizzazione del feto sullo schermo risulta essere l’attrazione più grande per la coppia, arrivando a rappresentare la certezza oggettiva della propria gravidanza.
Spesso l’appuntamento ecografico viene condiviso con il partner o altri componenti della famiglia; non di rado, infatti, la donna è accompagnata dal marito o da un altro figlio, desiderosi di “conoscere” il fratellino o la sorellina.
D’altra parte, è raro oggi incontrare un rifiuto da parte della donna al momento di richiedere un’ecografia in gravidanza: anzi, è più facile dover “contenere” la richiesta di eseguirne di superflue, dato che la tecnica è considerata innocua e ripetibile da una moltitudine di studi in letteratura.
Le indagini in materia sottolineano inoltre che le donne che si sottopongono a ecografia prenatale sono estremamente sensibili al contesto in cui avviene, ricordano perfettamente le sensazioni fisiche ed emotive provate e preferiscono avere subito tutte le informazioni desumibili dall’esame, anche se incomplete, piuttosto che vivere nell’incertezza. Affinchè un’ecografia venga considerata soddisfacente dal punto di vista relazionale, l’operatore dovrebbe:
- assicurarsi che la donna trovi confortevole l’ambiente;
- parlarle sempre direttamente, stabilendo anche un contatto oculare;
- rispondere con franchezza alle sue domande;
- provvedere a un’immediata interpretazione dei risultati dell’esame;
- essere sensibile ai bisogni non espressi;
- assicurare la presenza di personale di supporto.
Purtroppo può succedere che ad un controllo ecografico venga riscontrata una malformazione fetale e immediatamente si concretizzano tutte le paure, le ansie e le angosce che i genitori hanno provato durante la gravidanza, nei mesi precedenti la diagnosi.
Si dissolvono tutte quelle fantasie riguardanti il sesso, le somiglianze, il nome da scegliere; anche le paure legate al parto spontaneo o al parto cesareo si ridimensionano immediatamente. Quando il bambino presenta un difetto, il conflitto tra bambino immaginario e bambino reale diventa molto forte.
Il processo di idealizzazione subisce una brusca interruzione e con l’improvvisa presa di coscienza che il bambino non corrisponde all’immagine sviluppata durante la gravidanza, i genitori si trovano ad affrontare la perdita dell’immagine di sé come persone in grado di generare un bambino sano e bello.
La funzione dello psicologo, nella struttura di diagnostica prenatale, è quindi quella di prevenire i disagi che il piccolo, una volta nato, potrebbe trovarsi ad affrontare nel caso in cui i suoi genitori non riescano a elaborare il lutto relativo alla perdita del bambino sano e quei sentimenti di delusione, rabbia, impotenza e dispiacere che potrebbero compromettere il normale processo di attaccamento.
I genitori potrebbero allora rifiutare quel bambino, colpevolizzare i medici, negare la malformazione e i rischi che il bambino corre o, al contrario, potrebbero sviluppare un senso di colpa talmente grave da annullarsi per dedicarsi completamente al figlio.
Creare uno spazio speciale affinché questi genitori possano affrontare ed elaborare il processo di lutto è indispensabile per cercare di assicurare al bambino un processo di attaccamento solido; riconoscere ed elaborare i sentimenti rabbiosi che ogni genitore si trova a vivere in tali momenti può ridurre il rischio che tutto questo venga proiettato sul bambino stesso o che porti a conflitti di coppia, generando sintomi e problemi psicologici in uno o più componenti della famiglia.
Le difficoltà dell’ecografista nel comunicare una diagnosi di malformazione sono riconducibili anche al fatto che l’operatore non sempre riesce a comunicare immediatamente un quadro definito e preciso della situazione fetale. Ulteriori difficoltà per l’operatore sono costituite dal fatto che:
- l’ecografia è un esame in tempo reale e il tempo necessario a chiarire la diagnosi spesso è inadeguato;
- è probabile che siano presenti i familiari della donna e bisogna tener conto anche delle loro reazioni emotive;
- spesso è la prima volta che l’operatore incontra quella paziente.
Ogni esame dovrebbe essere affrontato avendo di fronte una paziente esaurientemente informata sui limiti e le possibilità della metodica: è quindi importante ritagliare, prima dell’esame, uno spazio di qualche minuto finalizzato ad istaurare una relazione personale con la coppia.
Sarebbe auspicabile una sempre maggiore informazione preliminare all’esame, anche attraverso opuscoli informativi in varie lingue, riguardo alle indicazioni, alle possibilità e ai limiti dell’ecografia ostetrica. Ogni centro ecografico dovrebbe poter fornire il contatto con mediatori culturali, per il crescente aumento delle popolazioni migranti.
E’ altresì importante chiarire che l’esame, nella parte iniziale, necessiterà di grande concentrazione e che le informazioni e la visualizzazione, con la spiegazione delle strutture fetali, si concentreranno al termine dell’esame: ciò eviterà spiacevoli interpretazioni dei silenzi dell’ecografista, spesso segno solo di attenzione e non di mutismo o, peggio, di qualcosa di negativo.
Le informazioni dovrebbero inoltre rispondere sempre a criteri di chiarezza e semplicità: quantità e qualità delle informazioni devono essere ben ponderate, al fine di fornire una prestazione adeguata sia sul piano specialistico, sia per possibili futuri contenziosi medico-legali.
Tra le principali indicazioni per comunicare ai pazienti notizie negative troviamo le seguenti:
- utilizzare un luogo riservato;
- sedersi accanto al paziente e ai suoi familiari;
- capire quale sia il livello di cultura generale e scientifica del paziente, e quanto conosca a proposito della malattia;
- chiedere che cosa sia già stato spiegato;
- capire il grado di dettaglio informativo che il paziente desidera;
- offrire indicazioni chiare e semplici sulla natura della patologia e le opzioni terapeutiche;
- capire le reazioni e i sentimenti, prendendosi cura del paziente;
- programmare l’iter degli eventi futuri.
Da quanto esposto si può dedurre che, dopo una diagnosi di malformazione fetale, sarebbe vantaggioso per la coppia potersi trovare in un contesto di un’équipe a carattere multidisciplinare in grado sia di fornire l’informazione, che di sostenere la reazione da essa scaturita e poter così garantire ai genitori la condizione per una consapevole e libera scelta, prettamente personale.
Il primo strumento da fornire alla coppia dopo una diagnosi di malformazione fetale prenatale è rappresentato da informazioni non preconcette, ma basate sulla medicina dell’evidenza, in modo da permettere decisioni autonome in maniera informata.
L’offerta di consulenza dovrebbe essere fornita in tempi brevi, anche per evitare inconsulte ricerche via Internet, spesso generiche e confondenti. Il rapporto con la coppia deve sempre essere diretto, la consuenza psicologica fornita sin dal momento della diagnosi, e la programmazione della cura continua nel tempo.
In questo modello il medico ha un ruolo di primo contenimento di fronte ad una diagnosi nefasta e bisogna considerare che ciò che potrebbe acuire la sofferenza di una coppia è l’incomprensione da parte dei genitori circa la precisa patologia riportata dal feto: più il medico si presenta freddo, silenzioso e poco chiaro, più il dolore dell’informazione aumenta.
Il bisogno di chiarezza è utile al paziente per avere un appiglio in un momento in cui si sente sprofondare. Quando il medico è accogliente, empatico e chiaro nei confronti del genitore fornisce una prima base dalla quale poter cominciare ad elaborare il difficile risultato.
La mancanza di un’accurata spiegazione potrebbe generare nel genitore il bisogno di procurarsene una senza fondamento che mina all’autostima della coppia al punto di percepirsi inefficaci e fallimentari.
Il medico chiaro e compresibile diventa un essenziale supporto perchè quando un genitore esperisce la sensazione di aver compreso le parole dell’esperto sente di poter padroneggiare meglio l’evento, quando ciò non accade la confusione generata dalla notizia tende a crescere in maniera distruttiva e senza la capacità di comprensione ci si sente in soggezione, inferiori, impotenti e dunque schiacciati dagli eventi.
Quando la paura circa la salute del proprio feto si fa concreta a causa di una diagnosi di malformazione, diventa necessario, da subito, fornire indicazioni del grado clinico di cui può essere affetto il feto, che può variare da lieve a molto grave; in entrambe le circostanze sarà generato nei genitori un forte stress oltre che per la gravità della patologia riscontrata, per quelle che saranno le scelte che la stessa implica.
Sarebbe utile in questi casi fornire alla coppia il giusto supporto psicologico per poter affrontare le reazioni conseguenti alla triste notizia per poi sostenerli nel percorso che porta alla scelta, e soprattutto, al fine di prevenire eventuali importanti patologie o disturbi che questo tipo di scompenso possono far sviluppare: depressione post-partum, depressione per l’interruzione di gravidanza e problemi nello sviluppo del bambino.
Va infine sottolineato che, qualunque sia la modalità di comunicazione attuata, le parole pronunciate dall’ecografista in quel momento saranno ricordate per tutta la vita dalla paziente. Solitamente di fronte ad una diagnosi ecografica di malformazione fetale la reazione psicologia si esprime in fasi – più o meno lunghe – necessarie per dare tempo al soggetto di poter padroneggiare il dolore arrecato.
La prima reazione è sicuramente quella di shock e a distanza di tempo, ricordando il momento della diagnosi, i genitori utilizzano frasi come: “Il mondo mi è crollato addosso”, “E’ stato un grosso colpo”, “Il mondo si è fermato”, “Non ho capito più niente”. In questa fase è la confusione che regna e che porta ad una disorganizzazione psichica transitoria, durante la quale si fa impellente il bisogno di attribuire un significato all’esperienza.
Subito dopo questa fase è possibile assistere alla negazione, in cui si arriva ad allontanare il proprio vissuto doloroso pensando che “potrebbe essere un errore” o “sbagliare è umano”.
La fase che solitamente segue è quella della delusione, in cui si comincia a spostarsi sul senso del fallimento e della colpa. Molto forte è il vissuto di impotenza, di frustrazione e vergogna.
Quando la notizia ha attraversato le fasi appena viste avrà cominciato a trovare la strada sul piano di realtà, è questo dunque il momento in cui l’angoscia e la collera diverranno le emozioni caratterizzanti e ci si chiede “perchè proprio a me?”.
La potenza dell’angoscia a volte è tale da poter far insorgere reazioni talmente intense da portare l’individuo ad avere credenze irrazionali, come ad esempio la sensazione di essere stati puniti. A questo punto si è generata una sorta di vicinanza al problema.
Verso la fine si assisterà all’adattamento fino ad arrivare all’ultima fase dell’accettazione, grazie alla quale avviene una più completa integrazione a livello mentale del bambino malformato.
Dalle fasi appena viste si può dedurre quanto sia necessario un supporto psicologico. Nelle prime fasi è sicuramente importante un approccio che supporti la coppia e che contenga l’importante dolore del primo impatto. Le fasi appena citate variano in relazione alla soggettività in termini di tempo e di intensità.
A seconda del tipo di patologia da cui è affetto il feto, i genitori manifestano reazioni e difese diverse. Si nota per esempio una grande differenza tra un difetto interno al corpo e uno molto visibile, come una labiopalatoschisi o una sindrome genetica: in questo secondo caso, la reazione di dispiacere e delusione dei genitori è molto forte, anche quando le anomalie non mettono a rischio la vita del bambino.
Tra i più comuni meccanismi di difesa osservabili in queste situazioni, oltre alla negazione vi è, per esempio, il distanziamento emotivo che produce una tendenza a rendere poco significativa la comunicazione con i genitori, generando in tal modo la giusta distanza dall’emozione dolorosa. A causa di ciò è, inoltre, probabile che la possibilità di relazionarsi con il proprio bambino venga inficiata.
L’evitamento, è un altro esempio di difesa evidenziabile; così ad esempio si possono trovare coppie che sostengono continue visite da specialisti diversi, che portano tutte al medesimo esito, e che non riescono a fermarsi in questo processo.
Le reazioni genitoriali, dunque, possono essere le più disparate non solo per ciò che riguarda il tipo di malformazione riportata dal feto e quanto questa potrà renderlo compatibile o meno con la vita, ma anche, e soprattutto, dalla struttura di personalità dei genitori, da quella che è la loro storia personale e poi di coppia, e dalle rappresentazioni mentali di ciascun genitore.
La malformazione incide direttamente sulla salute del bambino, ma colpisce indirettamente tutto ciò che ruota intorno alla famiglia. La gravidanza, per sua natura, è caratterizzata da complessi processi adattivi, nel caso di malformazione fetale tale progresso subisce una nuova ed esigente alterazione che richiede una repentina riorganizzazione in termini psicologici.
Alcune malformazioni fetali possono essere corrette chirurgicamente, appena il bambino sarà pronto per questo tipo di interventi, nelle più gravi il bambino sarà portatore di problematiche che richiederanno maggiore dedizione e preparazione per il suo sviluppo, fino ai casi più estremi, in cui non vi è garanzia che il feto possa continuare nel suo sviluppo.
Dinanzi a tale diagnosi la coppia genitoriale è posta ad un bivio che offre scelte non scevre di dolore: interruzione della gravidanza o la sua continuazione malgrado le conseguenze. Nei casi in cui si sceglie di proseguire nel cammino della genitorialità è possibile che si sperimenti la sensazione di sentirsi come soggetti portatori di malattie, che falliscono nel naturale processo di procreazione, dal quale è facile che insorga la vergogna e un senso di inferiorità.
In queste circostanze fra le preoccupazioni più grandi vi è la paura circa la qualità della vita nel futuro del proprio bambino che diventerà adulto ed il senso di impotenza circa l’impossibilità di poter intervenire in tal senso. Oltre a ciò vi è il timore di non essere compresi dalla propria rete sociale, di sentirsi soli, e quindi di non poter garantire un supporto nel momento in cui i genitori non saranno più in grado di occuparsi del proprio figlio.
Portare avanti una gravidanza che comporta malformazioni fetali, per alcuni, può essere associato alla preoccupazione di rimanere soli e può portare la coppia alla scelta di interrompere la gravidanza. Quando la coppia sceglie o è costretta ad abortire si trova dinanzi ad un evento incomprensibile ed inaccettabile. La perdita di un feto malformato richiede una particolarissima elaborazione del lutto.
I lutti sono solitamente accompagnati da riti funebri che aiutano la metabolizzazione del dolore. Molti di questi aspetti non sono rintracciabili nel lutto perinatale, e quindi l’elaborazione della perdita diventa complessa perchè manchevole di quelle parti facilitatrici e necessarie per il distacco da esso.
Quando si comunica ad una donna di essere portatrice di un feto malformato, bisogna assicurarsi che non le vengano inflitte ulteriori sofferenze. Per questo le informazioni dovrebbero essere fornite nel modo più chiaro e semplice possibile.
In base alla complessità della situazione, possono essere richiesti ulteriori accertamenti diagnostici – per esempio, l’esame del cariotipo fetale, test genetici, consulenze specialistiche pediatriche – al fine di chiarire ai futuri genitori le implicazioni della diagnosi di malformazione fetale.
Gli eventi successivi dipendono dalle scelte della coppia; nel caso di un problema fetale suscettibile di correzione chirurgica post-natale, ad esempio, si fornisce un supporto multidisciplinare da parte di una équipe formata, oltre che dall’ecografista ostetrico e dallo psicologo, anche dal neonatologo e dal chirurgo pediatra. Il team così formato funziona anche da “contenitore” delle emozioni in gioco, fornendo il sostegno umano e psicologico necessario.
La prassi operativa prevede la stesura di un piano di cura, con un calendario delle successive consulenze e degli esami ecografici seriati per il controllo dell’evoluzione della malformazione. La descrizione del piano di cura, oltre ad essere fatta con termini semplici, si avvale di disegni e fotografie di bambini operati per aiutare la coppia a conoscere l’organo interno da riparare chirurgicamente o per mostrare l’esito di interventi esterni.
Un ulteriore aiuto fornito alla coppia è l’organizzazione di incontri con altri genitori che abbiano seguito lo stesso iter terapeutico. In tal senso è preziosa la collaborazione con associazioni di genitori di bambini nati con malformazioni, per favorire un confronto con chi ha superato le tappe proposte e offrire un prezioso contributo su come affrontare, in modo costruttivo e positivo, le diverse difficoltà che una diagnosi di malformazione comporta.