I disturbi di personalità suscitano frequentemente reazioni molteplici.
La diagnosi di un disturbo di personalità, soprattutto di alcuni, spaventa spesso sia i pazienti che i clinici stessi, portando con sé un presagio di condanna.
La definizione di questa condizione, come sappiamo, è quella di un pattern stabile e pervasivo di esperienza interiore e comportamento che devia dalla norma, che crea disagio clinicamente significativo o disadattamento sociale ed insorge nella prima età adulta.
Fino alla quarta edizione del manuale statistico dei disturbi mentali (DSM-IV-TR, APA 2000) i disturbi di personalità sono stati suddivisi in categorie diagnostiche. Nella quinta edizione di DSM (DSM-5, APA 2013) si inserisce, accanto alla consolidata (ma criticata) diagnosi categoriale, una classificazione (anch’essa criticata) basata su concetti dimensionali (come spiegato in questo articolo).
Il dibattito è stato ed è tuttora molto acceso, ma l’inserimento della possibilità di formulare una diagnosi dimensionale riflette l’evoluzione del pensiero sulla salute mentale.
Il modello biomedico, infatti, che considera la salute come assenza di malattia continua ad imperare anche nell’ambito della salute mentale. Per quanto il modello biopsicosociale (Engel, 1977) che pone l’attenzione sui fattori psicologici e sociali come variabili significative nell’insorgenza delle malattie, sia riconosciuto e sostenuto con enfasi, tuttavia anche nell’ambito del disagio psicologico la guarigione viene identificata come l’assenza di malattia.
Risulta comprensibile come muoversi verso una dimensionalità per la diagnosi, piuttosto che verso una categorizzazione che preveda presenza o assenza di un tratto, possa essere la direzione da prendere per comprendere e indirizzare i trattamenti all’interno del complesso mondo della personalità psicopatologica.
A tal proposito la ricerca si è interessata al concetto di recovery nei disturbi di personalità.
Il concetto di recovery
La parola recovery è presente da decenni, soprattutto nell’ambito della riabilitazione psichiatrica.
Questo concetto, non traducibile in italiano come guarigione, è stato diffuso nel mondo anglosassone anche grazie all’aiuto dei movimenti socio-politici in difesa dei diritti delle persone con disabilità psichiatriche. Spostando il focus sulla persona e sulla capacità di questa di recuperare dei soddisfacenti livelli di funzionamento nella propria vita.
Come sottolinea Carozza (2006) “..il concetto di recovery è stato tradotto e definito in molti modi, ma nessuna accezione corrisponde con la scomparsa della malattia, piuttosto rispecchia il recupero di abilità compromesse dalla malattia e il recupero di un ruolo valido e soddisfacente all’interno della società”.
Per Liberman e Kopelowicz (2005) “le persone sono in recovery quando i sintomi della loro malattia non interferiscono con il loro funzionamento nella vita quotidiana….”.
Il concetto di recovery è immaginabile come un percorso di apprendimento di gestione del proprio disturbo, vivendo una vita soddisfacente all’interno della società.
Grazie quindi al cambio di paradigma, dalla malattia alla persona, nella riabilitazione psichiatrica si sono potuti implementare interventi efficaci (Liberman, Kopelowitz, Ventura & Gutkind, 2002) che mirassero proprio a quel recupero menzionato nell’ampia definizione di recovery, oltre che cominciare a fare ricerca sui fattori che la influenzano e la definiscono sia dal punto di vista dei clinici che dei pazienti.
I processi implicati nel recovery
Una revisione della letteratura sulla recovery ha identificato cinque processi la caratterizzano (Tew et al., 2011):
- potenziamento e recupero del controllo sulla propria vita
- ricostruzione di un’identità personale e sociale positiva
- connessione con gli altri
- speranza e ottimismo per il futuro
- trovare significati e scopi nella vita
Il concetto di recovery per i disturbi di personalità
Tornando quindi alla dimensionalità anche nell’ambito della personalità patologica la ricerca si è interessata alla possibilità di introdurre il concetto di recovery anche all’interno di questa vasta area.
Gli studi sull’efficacia delle terapie per i disturbi di personalità sono in prevalenza riguardanti il Disturbo Borderline di Personalità (Bateman et al., 2015) così come gli studi sul processo di recovery.
Tuttavia le ricerche sono numerose (Balaratnasingam & Janca, 2020; Shepherd et al., 2016; Gillard et al., 2015; Stone, 2010) e forniscono spunti interessanti per l’implementazione, negli approcci terapeutici di comprovata efficacia, di un atteggiamento orientato al recovery.
Nel complesso, nel lavoro con i disturbi di personalità si evidenzia una stretta articolazione tra il recovery e lo sviluppo della comprensione di sé, la connessione con sé e con la società e la riorganizzazione dell’esisitenza (Leamy et al., 2011; Whitley & Drake, 2010).
I domini del recovery
In una recente metanalisi su l’esperienza dei pazienti Borderline nel trattamento e nel processo di recovery (Katsakou & Pistrang, 2018) vengono identificati 3 domini distintivi.
Il primo dominio, “Aree di cambiamento“, suggerisce che i clienti apportino cambiamenti in quattro aree principali:
- sviluppare l’accettazione di sé e la fiducia in se stessi
- controllare pensieri ed emozioni difficili
- praticare nuovi modi di relazionarsi con gli altri
- attuare cambiamenti pratici e lo sviluppo della speranza
Il secondo dominio, “Caratteristiche del trattamento utili e non utili“, evidenzia gli elementi del trattamento che hanno sostenuto il processo di recovery:
- sicurezza e contenimento
- essere rispettati
- essere un partner alla pari nel trattamento
- concentrarsi sul cambiamento
Il terzo dominio, “La natura del cambiamento“, si riferisce all’esperienza del cambiamento dei clienti come un viaggio senza fine in una serie di successi e battute d’arresto.
La ricerca sui disturbi di personalità ha ancora molta strada, ma il concetto di recovery è fondamentale per far passare il pensiero che una diagnosi di disturbo di personalità non è qualcosa di immutabile e definitivo. Si può fare molto da parte dell’utenza e dei servizi clinici per evolvere aldilà e al di fuori della patologia e per riacquistare una prospettiva centrata sui vissuti della persona e non sull’etichetta.
Bibliografia
- American Psychiatric Association. (2000). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (4th ed., text rev.) Washington, DC: American Psychiatric Publishing
- American Psychiatric Association(2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed). Washington, DC: American Psychiatric Publishing
- Bateman, A. W., Gunderson, J., & Mulder, R. (2015). Treatment of personality disorder. Lancet (London, England), 385(9969), 735–743.
- Balaratnasingam, S., & Janca, A. (2020). Recovery in borderline personality disorder: time for optimism and focussed treatment strategies. Current opinion in psychiatry, 33(1), 57–61.
- Carozza, P. (2006). Principi di riabilitazione psichiatrica. Milano: FrancoAngeli.
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- Liberman, Robert & Kopelowicz, Alex & Ventura, Joseph & Gutkind, Daniel. (2002). Operational criteria and factors related to recovery from schizophrenia. International Review of Psychiatry
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- Tew, Jerry & Ramon, Shula & Slade, Mike & Bird, Victoria & Melton, Jane & Le Boutillier, Clair. (2011). Social Factors and Recovery from Mental Health Difficulties: A Review of the Evidence. British Journal of Social Work. 42. 443-460.
- Whitley, R., & Drake, R. E. (2010). Recovery: a dimensional approach. Psychiatric services (Washington, D.C.), 61(12), 1248–1250.