Come tutti i servizi sanitari anche quelli di Salute Mentale Adulti hanno dovuto modificare il loro operato in rapporto alla pandemia da COVID-19.
La condizione fuori dall’ordinario che stiamo vivendo richiede un’ottimizzazione delle capacità gestionali che deve superare notevoli difficoltà, non ultima quella di costruire un coordinamento efficace.
Per la ristrettezza dei tempi e per l’assoluta novità e portata del fenomeno ogni dipartimento di Salute Mentale sta cercando di gestire l’emergenza in virtù delle proprie conoscenze seguendo la indicazioni che riceve dalla propria amministrazione regionale, sapendo bene che in Italia ci sono realtà regionali molto differenti.
Nell’area della salute mentale manca ad oggi un coordinamento nazionale, ampliando quelle diversità già esistenti tra area e area.
La prima risposta, trasversale, è stata un ridimensionamento degli interventi, concentrando gli sforzi sui nuovi ingressi e sulle situazioni più critiche.
Ciò è accaduto in tutte le nazioni interessate; un sondaggio dell’OMS ha rilevato che nel 93% dei paesi del mondo c’è stata una riduzione delle attività dei servizi di Salute Mentale mentre aumentava la domanda di salute mentale. La solitudine, l’isolamento, la separazione da figure significative, la preoccupazione per la salute propria e dei cari, la precarietà economica sono state alcune delle grandi emozioni che maggiormente hanno afflitto chi si è confrontato con questa pandemia.
Il compito primario dei Servizi di Salute mentale è stato quello di distinguere le urgenze dalle pseudo-urgenze cercando di identificare il prima possibile i soggetti a rischio di scompenso (che poteva poi tradursi in condotte autolesive, agiti aggressivi eterodiretti o in disregolazione comportamentale).
Essere costretti ad abitare in stretto contatto con i familiari ha determinato in molte situazioni un incremento esponenziale di conflittualità ed Emotività Espressa che più della pandemia stessa ha comportato un peggioramento nelle situazioni a bassa soglia di vulnerabilità.
La situazione ha richiesto ai Servizi di Salute Mentale un rapido cambiamento del loro operato: molti interventi territoriali sono stati sostituiti da contatti tecnologici – telefonate, mail, videochiamate – in particolare per quelle situazioni già in carico e stabilizzate. La modalità di prestare aiuto è rimasta invece invariata per le visite che risultavano un primo accesso e per le situazioni critiche.
In questi ultimi casi veniva mantenuto il contatto ambulatoriale adottando tutte le procedure necessarie ad evitare i contagi. Le strutture residenziali hanno bloccato le uscite e gli ingressi; i centri diurni per lo più non hanno interrotto le attività, in un primo momento limitandosi a sospendere il lavoro gruppale, ma fungendo comunque da punto di riferimento telefonico o tramite videochiamate e in un secondo momento accompagnando l’utenza verso un progressivo reinserimento nella quotidianità.
L’attenzione dei servizi di Salute Mentale è stata anche rivolta a una disponibilità nel fornire supporto agli operatori sanitari dei reparti COVID che ne facevano richiesta.
Quali le problematiche più spesso riportate?
Le conseguenze psichiche dell’attuale pandemia – aggiungerei quelle “a breve termine” poichè quelle che si presenteranno nel tempo sono tutte da valutare – sembrano caratterizzate da un’alta prevalenza di disturbi del sonno associati a sintomi depressivi ed ansiosi.
I temi prevalenti riguardavano la paura di ammalarsi e morire, di avvicinarsi alle strutture sanitarie per paura di essere infettati durante le cure (e questo non ha aiutato quelle situazioni eterogenee nelle quali era invece indispensabile il contatto con le strutture sanitarie) , timore di essere socialmente esclusi, di perdere il lavoro e i mezzi di sussistenza, vissuti di impotenza nel proteggere i propri cari dal rischio infettivo.
Cosa differenzia la popolazione generale da quella dei servizi di salute mentale
Sicuramente un dato accertato è che la popolazione psichiatrica ha un generale livello di vulnerabilità maggiore.
Lavoro in un servizio pubblico nel quale vi sono due ingressi separati , uno per la Salute Mentale Adulti e uno per gli altri rami specialistici o diagnostici che chiameremo “utenza generale”.
Entrambe le tipologie di utenza attendevano fuori in fila, come già detto davanti a ingressi diversi. L’ingresso dell’utenza generale era spesso caratterizzato da litigi, segni di insofferenza, esplosione di rabbia verso gli addetti ai controlli prima dell’ingresso.
Tali atteggiamenti non li ho mai osservati tra gli afferenti a un servizio di Salute Mentale: queste persone attendevano pazientemente in fila, col caldo di luglio o con le piogge autunnali, rispettosi, collaboranti verso le disposizioni anti-contagio.
Ho capito che i pazienti di un servizio psichiatrico avranno sì la loro vulnerabilità maggiore ma hanno tante cose in più e in meglio: sanno cosa vuol dire gestire il proprio disagio non cercando i rimedi del tutto e subito, capiscono il disagio altrui evitando di porsi su un piano simmetrico, sono abituati purtroppo a fare i conti con la paura, la precarietà, la difficoltà a dare o ricevere un abbraccio, e altro, ancor prima che ci fosse la pandemia.
Ho toccato con mano una forza che già conoscevo e della quale ho avuto un’ulteriore conferma. In questo periodo di pandemia l’osservazione di Hobbes – per il quale l’uomo può essere lupo per un altro uomo – l’ho rilevata in altri contesti ma non nei Servizi di Salute Mentale di mia conoscenza, e di ciò ho avuto conferma anche da colleghi operanti in altre aree territoriali.
Forse un elemento che va evidenziato è che per una fetta di popolazione psichiatrica l’isolamento derivante dalle norme messe in atto per l’emergenza potrebbe costituire addirittura un fattore di miglioramento a breve termine – i terapeuti cognitivo-comportamentali sanno bene che alcuni pazienti si illudono di trovare nell’evitamento una cura al proprio disagio – a ragione della riduzione degli stimoli sollecitanti e dello stress che può derivare dall’interazione sociale (ognuno di noi sa bene che il relazionarsi non sempre è portatore di armonia e beatitudine).
Verosimilmente per questa tipologia la fase critica sarà l’esposizione alle normali attività che se non fatta con gradualità potrebbe portare all’esacerbazione di molti sintomi una volta terminata la fase di emergenza, quelli ansiosi in modo particolare,.
Cosa possiamo apprendere?
Tante cose, alcune individuabili nell’immediato e altre nel tempo.
Mi soffermerei solo su due punti. Il primo è già stato esposto: non credo sia d’aiuto identificare i pazienti psichiatrici esclusivamente come soggetti vulnerabili. Lo sono indubbiamente ma presentano anche elementi di forza che i cosiddetti “normali” dovrebbero conoscere e se possibile anche prendere ad esempio.
L’altro elemento che prenderei in considerazione riguarda gli approcci teorici che stanno alla base del fornire aiuto. La tipologia di problematica legata alla pandemia, la gestione anche a distanza di forme ansiose – traumatiche o non – timiche, esistenziali, ha messo bene in luce che gli interventi più efficaci sono quelli cognitivo comportamentali.
In queste situazioni è importante accogliere ma anche saper mandare messaggi concreti e utili per la gestione della problematica del quì ed ora e della prevenzione delle ricadute. Ci troveremo a prendere in carico sempre più pazienti nel corso della pandemia e nel post-crisi – già si supponeva e i dati ce lo confermano.
Sappiamo che molta utenza sarà costituita da soggetti – finora asintomatici o sub-sintomatici – che a seguito dell’attuale crisi affronteranno fasi di intenso disagio che richiederà un intervento specialistico. La richiesta riguarderà strategie di gestione di sintomi specifici, di situazioni pratiche e complesse che richiedano competenze di problem solving e ottimizzazione dell’integrazione tra aspetti emotivi e cognitivi.
Possiamo apprendere che una migliore formazione e competenze cognitivo comportamentali all’interno dei Servizi potrebbe essere un’ottima strategia per affrontare situazioni critiche collettive.
Ciò già lo sapevamo con gli interventi psicologici sulle popolazioni terremotate: questa volta sappiamo che i terremoti possono essere anche metaforici e di portata molto più ampia.