I disturbi dell’alimentazione sono caratterizzati da un’eziologia complessa e multifattoriale.
I dati sperimentali e prospettici suggeriscono che i modelli culturali influenzino l’immagine corporea. Rendono cioè più probabile l’alterazione del comportamento alimentare attraverso due processi principali. 1) l’interiorizzazione dell’ideale della magrezza e 2) l’investimento sul corpo per valutare se stessi.
Nella nostra cultura, il corpo e l’aspetto fisico rappresentano una base fondamentale attraverso cui valutarsi. L’autostima dipende in modo diretto dal raggiungimento di certi ideali di bellezza e forma del corpo.
L’irraggiungibile ideale della magrezza che la società promuove, però, genera spesso un’insoddisfazione del corpo. Questo a sua volta promuove comportamenti dietetici malsani, come la restrizione dell’assunzione di cibo.
L’insoddisfazione corporea nei disturbi alimentari
L’insoddisfazione verso il proprio corpo può favorire sentimenti negativi come ansia, vergogna e tristezza.
Nelle ricerche sull’insorgenza e mantenimento dei disturbi alimentari vengono tradizionalmente considerati alcuni fattori come:
- l’insoddisfazione del corpo
- l’internalizzazione dell’ideale della magrezza
- la dieta
- l’affettività negativa (ansia, tristezza e vergogna)
Recenti studi longitudinali hanno indagato come il fattore dell’auto-oggettivazione possa predire l’insorgenza e il mantenimento dei disturbi alimentari nelle persone di sesso femminile.
Ma cosa si intende per auto-oggettivazione?
Si tratta della tendenza a sperimentare il proprio corpo dalla prospettiva di un osservatore esterno. L’auto-oggettivazione descrive quindi, una particolare prospettiva sul sé corporeo. Una forma di autocoscienza caratterizzata dal monitoraggio abituale del corpo e dal suo costante pensiero in termini di aspetto (Riva et al., 2015).
In uno studio longitudinale su 2700 ragazze (Dakanalis et al., 2017) è emerso come l’auto-oggettivazione sia il fattore che più predice l’insorgenza dei disturbi alimentari nelle ragazze. Il suo potere predittivo pare essere il doppio dell’insoddisfazione corporea e tre volte l’essere a dieta.
Tali risultati stanno guidando sempre di più la ricerca sulla prevenzione e sul trattamento dei disturbi dell’alimentazione.
Gli studi mostrano un legame diretto tra sintomatologia dei disturbi alimentari e auto-oggettivazione, monitoraggio del corpo e interiorizzazione di certi standard socioculturali di bellezza.
Ma se tutte le donne sono esposte a certi modelli di bellezza, perché solo una piccola parte sviluppa un disturbo alimentare?
Riva insieme ad altri ricercatori, ha cercato di rispondere a questa domanda collegando la teoria dell’auto-oggettivazione con l’ipotesi del blocco allocentrico. Ha suggerito che i disturbi alimentari abbiano come antecedente un’immagine negativa allocentrica del proprio corpo. Ovvero che non riesce ad essere aggiornata dall’apporto sensoriale egocentrico della percezione.
- La prospettiva egocentrica è quella che ci permette di vedere gli oggetti in relazione a noi stessi: la posizione di un oggetto cambia quando ci muoviamo. Questa rappresentazione egocentrica viene utilizzata principalmente nell’attività motoria diretta nello spazio come afferrare o raggiungere un oggetto.
- Nella prospettiva allocentrica, al contrario, l’oggetto viene rappresentato indipendentemente dalla nostra relazione con esso. In riferimento al corpo è la prospettiva in terza persona, allo specchio. È interessante notare che anche i soggetti ansiosi (ad esempio chi soffre di ansia sociale) sono più inclini a ricordare gli eventi in una prospettiva allocentrica.
Un esempio di una rappresentazione allocentrica del corpo è: “guardo dall’esterno al mio corpo grasso di fronte ad una persona che mi prende in giro”.
Studi sulla prospettiva allocentrica nei disturbi dell’alimentazione
Una recente ricerca sulla memoria spaziale, ha dimostrato che queste due prospettive (egocentrica e allocentrica) hanno un’influenza nel modo in cui i ricordi vengono archiviati e recuperati.
Riva suggerisce che una donna può interiorizzare un’immagine di sé oggettivata quando usa una prospettiva allocentrica (modalità di osservatrice) per ricordare eventi in cui si valuta in base all’apparenza corporea.
Questa memoria di sé allocentrica, può avere un importante impatto comportamentale. La donna inizia nuovi comportamenti per contrastare i contenuti negativi del suo corpo oggettivato. Uno di questi può essere il controllo o la restrizione alimentare che, tuttavia, non risulta essere efficace per modificare il sé oggettivato.
Per modificare la memoria allocentrica del corpo grasso, il contenuto deve essere trasformato di un formato egocentrico. Questo per consentirne il confronto con i dati percettivi.
Secondo Byrne e altri colleghi, il circuito di Papez trasforma i contenuti allocentrici in un formato egocentrico. Grazie a questa trasformazione nuovi dati percettivi (corpo magro) aggiornano il contenuto della memoria personale oggettivata (“ora sono magra”).
Se questa trasformazione risulta essere compromessa, il soggetto è bloccato su una memoria di sé negativa. La percezione non è in grado di aggiornarsi anche dopo una dieta e una perdita di peso significativa.
Blocco allocentrico e disturbo alimentare
L’ipotesi di blocco allocentrico suggerisce che le persone con disturbi alimentari, siano bloccate in una memoria negativa oggettivata del corpo (si rappresenta da fuori, come in uno specchio). Questa non verrebbe più aggiornata da rappresentazioni egocentriche contrastanti, guidate dalla percezione (mi sento più grasso di quanto sono).
Sembra quindi, ci sia un’incapacità di integrare correttamente informazioni egocentriche e allocentriche.
Disturbi alimentari e realtà virtuale
Recentissimi studi sono volti a valutare come la realtà virtuale possa essere utilizzata per il trattamento dei disturbi dell’alimentazione, nello specifico nel correggere tale errore di integrazione sensoriale.
Per adesso, si tratta solo di studi preliminari o di studi su casi singoli. I risultati sembrano però mostrare che l’esperienza di un corpo virtuale, modifichi le distorsioni nell’integrazione multisensoriale.
Un recentissimo studio preliminare su 23 persone che soffrono di anoressia nervosa, evidenzia che una sola sessione di body swapping (esperienza di un nuovo corpo virtuale) è sufficiente per produrre una riduzione significativa del livello di distorsione corporea (Serino et al., 2017).
Nonostante gli incoraggianti risultati degli studi, l’utilizzo della realtà virtuale è ancora lontana dall’essere facilmente fruibile nella clinica. Ciò a causa degli elevati costi dei caschi, visori e software necessari per le sessioni e della difficoltà dell’utilizzo della strumentazione necessaria.