La terapia cognitivo comportamentale (CBT) è sottoposta a costante aggiornamento e rinnovamento.
La ricerca relativa al trattamento dei diversi disturbi clinici, da sempre elemento caratterizzante della CBT, ha portato e porta alla definizione di sempre migliori protocolli di trattamento e alla valutazione di quali tecniche risultino più efficaci.
In particolare, per il disturbo d’ansia sociale, da diverso tempo stanno fiorendo ricerche per valutare quanto sia efficace l’uso di nuovi protocolli e di nuovi interventi, tra i quali le cosiddette tecniche immaginative.
Nonostante l’uso dell’immaginazione e delle immagini mentali in terapia cognitivo comportamentale non sia certo una novità, si pensi ad esempio agli interventi di coping imagery o alle tecniche di esposizione in immaginazione, negli anni tale interesse è sembrato scemare privilegiando la via del pensiero e del ragionamento dialettico, sebbene fin dall’inizio lo stesso A.T. Beck suggerisse l’importanza di lavorare sulle immagini mentali dei pazienti.
Recentemente si sta assistendo a un rinnovato interesse per tale tipo di attività mentale, tant’è che diversi approcci, di cosiddetta terza generazione, hanno implementato una serie di tecniche rivolte proprio al lavoro sulle immagini mentali associate alle aree problematiche dei pazienti.
A riguardo, una recente pubblicazione della casa editrice Eclipsi, illustra egregiamente l’utilizzo dell’imagery nell’assessment e nel trattamento dei disturbi psicopatologici (“Le tecniche immaginative in terapia cognitiva. Strategie di assessment e di intervento basate sull’imagery”, A. Hackman, J. Bennet-Levy, E.A. Holmes – Eclipsi, 2014).
Per la fobia sociale, così come per altri disturbi, stanno fiorendo diverse ricerche volte a valutare l’efficacia delle tecniche di imagery.
Poiché i pazienti con fobia sociale, quando pensano a loro stessi tendono a farlo attraverso una prospettiva di campo, immaginandosi cioè come osservatori di se stessi, presentano una ricca immaginazione circa le proprie paure. Questo probabilmente rende la fobia sociale un disturbo particolarmente adatto all’utilizzo delle tecniche di imagery.
In un recente articolo, Frets, Kevenaar e van der Heiden (2014) hanno misurato l’efficacia dell’Imagery Rescripting (IR) come protocollo di trattamento a sé stante.
Il campione non è certo ampio, solo 6 soggetti adulti con diagnosi di fobia sociale, ma i dati sembrano promettenti.
Nello specifico, il protocollo consiste essenzialmente in interventi sulle immagini mentali e al follow-up a 6 mesi sembra aver dimostrato una certa stabilità del miglioramento.
In questo studio, durante le prime tre settimane i pazienti non hanno ricevuto alcun trattamento, ma solo la somministrazione di test a inizio e fine di tale periodo per tracciare una baseline.
Successivamente, i pazienti sono stati ammessi al trattamento, che è consistito in sedute basate sull’IR; in questo caso, non è stato previsto un protocollo definito, ma terapeuta e paziente hanno deciso la lunghezza del trattamento: il range di sedute effettuate è oscillato tra le 5 e le 17, con una media di 11,2 sedute.
I pazienti ammessi avevano un’età compresa tra i 21 e il 47 anni e i criteri di inclusione erano diagnosi primaria di fobia sociale, età tra i 21 e i 65 anni, non essere in psicoterapia (ma era ammessa una farmacoterapia in corso), assenza di disturbo depressivo, psicotico o post-traumatico.
Nel complesso, sia nella valutazione post intervento che al follow up a sei mesi i pazienti hanno mostrato un significativo miglioramento.
Frets, G.P., Kevenaar, C., van der Heiden C. (2014). Imagery rescripting as a stand-alone treatment for patients with social phobia: A case series. Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry, 45, 160-169.