La fobia del sangue è una paura caratterizzata dall’intenso timore di entrare in contatto, anche solo visivo, con questa sostanza (Lillecreutz et al., 2010). I confini di questa fobia, tuttavia, si estendono frequentemente anche ad aghi, iniezioni, ferite e procedure mediche invasive. Tanto che, nel mondo anglosassone, è definita Blood-injection-injury phobia (fobia del sangue-iniezioni-ferite).
Le persone con la fobia del sangue e delle siringhe tendono a evitare situazioni in cui la maggioranza degli individui si sente a proprio agio. Ad esempio, programmi TV violenti, donazioni di sangue, visite mediche o odontoiatriche. Secondo studi epidemiologici, tale fobia è presente nel 3-4% della popolazione generale (Bienvenu & Eaton, 1998), ponendola tra le paure più frequenti.
Il ruolo della sensibilità al disgusto nella paura del sangue
Letteratura recente (Connolly et al. 2006; Olatunji et al. 2006) ha messo in evidenza il ruolo delle emozioni in questa fobia. Oltre all’emozione di paura, comune a tutte le fobie, un’altra componente tipica della fobia del sangue e delle siringhe risulti essere quella di disgusto. Le persone con paura eccessiva del sangue sembrerebbero avere una soglia di sensibilità al disgusto più bassa rispetto alla popolazione generale nei confronti di ferite, iniezioni e sangue (de Jong & Merckelbach, 1998). Questo è vero a tal punto che l’emozione di disgusto può raggiungere livelli ben superiori rispetto alla paura stessa.
La reazione vasovagale
A livello fisiologico, la fobia del sangue sembra differenziarsi dalle altre paure per una risposta particolare e caratteristica. Innanzi al sangue, la persona prova sensazioni come giramento di testa, annebbiamento, testa leggera e, talvolta, svenimento (Ost & Sterner, 1987; Marks, 1988). Tali sintomi sembrano assenti in tutte le altre fobie conosciute.
Tipicamente quando la persona affetta da una fobia entra in contatto con lo stimolo temuto sperimenta un incremento dell’attivazione del sistema nervoso simpatico che produce, ad esempio, tachicardia. Le persone con fobia del sangue sperimentano inizialmente tale risposta con un incremento del battito cardiaco e della pressione sanguigna. Questa però è seguita da un’improvvisa reazione del sistema nervoso parasimpatico che comporta una caduta di questi due parametri (Mednick & Claar, 2012). Questa seconda fase è chiamata sincope vasovagale ed è responsabile dello svenimento tipico di chi soffre di tale fobia.
Non sorprende, quindi, che più del 50% delle persone con questa fobia del sangue riporti una storia di svenimenti durate il corso della vita (Ost, 1992). Lo svenimento conseguente alla vista di sangue, iniezioni o ferite si configura come una perdita di coscienza della durata di alcuni secondi. Segue una fase di ripresa caratterizzata da spossatezza che può durare anche alcune ore.
Perché lo svenimento davanti al sangue o alle siringhe?
Sul piano evoluzionistico (Bracha, 2004) le motivazioni proposte per tale pattern di risposta sono sostanzialmente tre:
- Il rapido ciclo attivazione/disattivazione fisiologica può aver favorito la sopravvivenza di alcuni antenati in epoca preistorica poiché molti animali non attaccano vittime defunte o incoscienti. Lo svenimento, mimando il decesso, può ridurre la probabilità di un attacco.
- In termini di apprendimento, essendo lo svenimento una risposta sgradevole alla vista del sangue e delle ferite, promuove la paura per tali stimoli. Cioè, la persona, prevedendo lo svenimento, avrà maggior timore di entrare in contatto con il sangue e questo la porterà ad evitare maggiormente situazioni pericolose, aumentando così le sue probabilità di sopravvivenza.
- In caso di ferimento, la riduzione improvvisa della pressione sanguigna comporta minor apporto di sangue agli arti. L’organismo così previene l’eccessiva perdita di sangue e potenzialmente il decesso.
Nonostante le possibili funzioni adattive, risulta chiaro come tali conseguenze comportino numerose limitazioni nella vita quotidiana. Ad esempio, la fobia del sangue può limitare la libertà della persona. Questo sia in termini di scelte lavorative, non permettendo di intraprendere una carriera medica, sia in termini di cura della salute fisica se comporta l’evitamento di esami diagnostici. La persona vive così nel costante timore di potersi ferire o che altri si feriscano, riducendo la propria libertà e il proprio benessere psicologico.
Trattamento della fobia del sangue e delle siringhe
Il trattamento d’elezione per la fobia del sangue è la terapia cognitivo-comportamentale basata sulla tecnica dell’esposizione graduata agli stimoli fobici (Wolitzky-Taylor et al., 2008).
Il trattamento si struttura in quattro fasi:
Prima fase
Una prima fase in cui, insieme al terapeuta, la persona impara delle tecniche attive per contrastare il riflesso vasovagale. Un esempio di queste tecniche è la tensione muscolare volontaria che prevede la contrazione di più gruppi muscolari contemporaneamente al fine di mantenere la pressione sanguigna a livelli di normalità di fronte allo stimolo fobico (Chapman & DeLapp, 2013; Mednick & Claar, 2012).
Seconda fase
La seconda fase, comune al trattamento di molte fobie, è quella di individuare situazioni specifiche che evocano emozioni di paura o disgusto. Questo è un passaggio fondamentale poiché ordinando tali situazioni in base alla loro capacità di evocare paura sarà possibile creare una gerarchia dalla meno temuta a quella maggiormente temuta.
Tipicamente le situazioni evitate sono:
- programmi televisivi a tema medico o film violenti
- immagini di persone ferite
- donazioni o analisi del sangue
- visite mediche e ospedali
- altre persone (compresi i bambini) con tagli
- sport ad alto tasso di contatto fisico
- interventi chirurgici (compreso semplici operazioni dal dentista)
- maneggiare coltelli o altri oggetti appuntiti
Terza fase
Successivamente, nella terza fase, in collaborazione con il terapeuta sono individuati i pensieri evocati da queste situazioni. È importante che la persona diventi consapevole di essi, poiché spesso, convivendo da molto tempo con la fobia del sangue, essa è ritenuta automatica e incontrollabile. In realtà, comprendere il ruolo che la persona può avere nel contrastare la reazione è di fondamentale importanza per superare il problema.
In particolare sono state individuate due classi di pensieri tipiche della fobia del sangue:
- Pensieri negativi circa la situazione
- Pensieri negativi riguardo alla propria reazione di fronte alla situazione
Nel primo caso il tema riguarda quali la persona immagina siano le conseguenze della situazione. Ad esempio “soffrirò”, “l’ago si romperà”, “il medico potrebbe sbagliare”. Nel secondo caso sono centrali le aspettative riguardo a se stessi: “Sverrò”, “Tremerò”, “Perderò il controllo”, “Sarà imbarazzante”.
Un passo fondamentale nel superamento della fobia del sangue e delle siringhe è quello di modificare i pattern comportamentali che la sostengono. Evitare le situazioni temute rafforza le convinzioni viste poc’anzi e, se da un lato permette di ridurre la paura a breve termine, sostiene le convinzioni di incontrollabilità rispetto alla reazione fobica.
In altre parole, l’evitamento impedisce di apprendere nuove informazioni. Ad esempio che quanto temuto riguardo alle iniezioni raramente si verifica, ma soprattutto impedisce di sviluppare strategie maggiormente utili per gestire tali situazioni.
Quarta fase
Pertanto, la quarta fase del trattamento è dedicata all’esposizione graduale alle situazioni temute. Con la guida e il sostegno del terapeuta la persona che ha paura del sangue e delle siringhe si espone agli stimoli fobici partendo dalle situazioni meno attivanti e mettendo in pratica le tecniche apprese all’inizio del percorso. Per quanto inizialmente l’esposizione possa generare disagio, nel giro di alcune sessioni le sensazioni sgradevoli inizieranno a diminuire favorendo il proseguo del trattamento.
Parallelamente, i pensieri catastrofici saranno discussi con il terapeuta, la loro validità verificata attraverso le esposizioni e generate nuove strategie cognitive per farvi fronte.
Concludendo, la fobia del sangue e, più in generale, delle ferite è una paura altamente invalidante che può incidere in modo consistente sulla vita della persona. Fortunatamente esistono trattamenti strutturati che possono notevolmente ridurla, se non eliminarla, permettendo un recupero del benessere psicologico e della libertà personale.
Bibliografia
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