I modelli di bellezza proposti dai media e dal mondo della moda contribuiscono a promuovere l’ideale della magrezza che sempre più assume un valore assoluto per raggiungere il successo e sentirsi realizzati. Siamo portati a credere che tutti, se volessimo, potremmo raggiungere quei modelli e quella perfezione che troviamo in ogni rivista.
Nonostante le immagini siano manipolate attraverso programmi di grafica e siano quindi delle rappresentazioni artificiali costruite ad hoc, vengono percepite come naturali e reali. Tali modelli di bellezza vengono interiorizzati come prototipi, con i quali si tende a operare un confronto al fine di giudicare il nostro aspetto.
Molte ricerche sottolineano che queste immagini idealizzate e irrealistiche proposte dai media, hanno un effetto negativo sull’immagine corporea ed aumentano l’insoddisfazione per il proprio corpo.
Dato che quest’ultima è stata identificata come un fattore di rischio per i disturbi alimentari, a livello internazionale si stanno cercando delle strategie di prevenzione universale che possano essere applicate in modo semplice e rapido, nel tentativo di prevenire nelle donne l’insoddisfazione corporea conseguente all’esposizione mediatica a certi ideali di bellezza.
Alcuni paesi come Israele, Francia e Australia, hanno introdotto delle normative che suggeriscono o richiedono di applicare delle diciture su qualsiasi immagine modificata digitalmente. Il razionale alla base di tale politica sociale, è che l’avvertenza scritta di una manipolazione grafica, posta accanto ad ogni foto, metta in evidenza l’aspetto non reale di quella modella e che quindi si percepisca tale target, inappropriato per un confronto.
È ragionevole pensare che delle semplici diciture apposte sulle immagini alterate e migliorate da programmi di grafica, possano limitare il confronto e quindi ridurre l’insoddisfazione corporea?
Un recentissimo studio (B. Bury et al., 2016) condotto su un campione di 280 ragazze australiane tra i 18 e i 30 anni, aveva come obiettivo quello di verificare se la presentazione di un breve messaggio informativo circa l’alterazione digitale delle immagini, prima della visione di alcune pubblicità su fashion magazine, potesse annullare confronti mentali inappropriati e preservare la soddisfazione del corpo. L’ipotesi era che il messaggio informativo avrebbe ridotto il realismo percepito di certe immagini e di conseguenza, il confronto basato sull’aspetto.
Le 11 immagini mostrate alle ragazze, sono state selezionate dai fashion magazine più popolari (Cleo, Marie Claire e Vogue) e ritraevano modelle che rappresentano l’ideale di bellezza basato sulla magrezza, con almeno tre quarti del corpo visibile.
I risultati mostrano chiaramente che le avvertenze circa le modificazioni digitali delle pubblicità non sono in grado di ridurre i livelli di realismo percepito, il confronto sociale o l’insoddisfazione corporea.
Dai risultati emerge inoltre, che le ragazze con la tendenza ad operare frequentemente confronti sociali, valutano le immagini delle modelle (nonostante il messaggio preliminare) come più realistiche rispetto alle donne che hanno una minor tendenza al confronto sociale.
In conclusione, fino ad oggi, non è stata individuata nessuna misura di prevenzione universale efficace nel contrastare e ridurre gli effetti negativi dell’esposizione alle immagini dei media.
Forse l’impegno al fine di proteggere l’immagine corporea dovrebbe essere indirizzato non tanto su una prevenzione universale, quanto su un arduo cambiamento nella rappresentazione del corpo delle donne nei media.