Il delirio: definizione
“Il delirio è in continuità col pensiero normale, è una potenzialità presente in ciascuno, consistente nel rifugiarsi in una realtà privata quando non si hanno gli strumenti per comprendere e fronteggiare la realtà che ci si para innanzi” (Lorenzini, 2018, p. 58)
Il delirio non è un sintomo presente esclusivamente in alcune categorie diagnostiche, bensì una manifestazione ritrovabile in vari aspetti della psicopatologia, nonché nel funzionamento “normale” delle persone.
Numerose ricerche di tipo genetico, farmacologico, neurofisiologico dimostrano l’importanza dei fattori biologici nella sua genesi, ma anche che tali fattori non sono di per sé sufficienti a spiegarne l’eziologia.
Per comprendere meglio l’insorgenza ed il decorso di sintomi quali il delirio è necessario prendere in considerazione come fattori psicologici e sociali interagiscano con una predisposizione biologica (Zubin & Spring, 1977; Strauss & Carpenter, 1981; Neuecheterlein, 1987; Ciompi, 1988; Perris, 1989).
Seguendo il pensiero di Maher (1988), il delirio può essere visto come una reazione ad esperienze minacciose nel tentativo di dar loro un senso. Esso avrebbe la forza psicologica di ridurre il senso di confusione, nonostante porti con sé un costo in termini di turbamento emotivo e di disagio che impatta sul funzionamento.
Secondo Lorenzini (2018) il delirio è comprensibile e connesso alla storia del soggetto e serve a spiegare un vissuto altrimenti incompatibile con gli schemi centrali di una persona. In altre parole, possiamo dire che il delirio si sviluppa proprio al fine di proteggere l’identità personale, come siamo abituati a pensare (e a trattare) le credenze disfunzionali di un paziente.
A partire da queste premesse, non solo appare possibile, ma anche necessaria una psicoterapia del delirio (qualcosa di molto diverso dalla sua “semplice” eliminazione).
La psicoterapia cognitivo-comportamentale per il delirio
“Il delirio viene descritto come l’estremo tentativo di dare coerenza e di mantenere un senso dell’esperienza soggettiva anche al prezzo di perdere consensualità con gli altri” (Lorenzini & Coratti, 2008, p.23)
La psicoterapia cognitivo-comportamentale (TCC), in questo frangente, consiste nel guardare alle credenze deliranti presumendo che loro contenuto rappresenti un tentativo di dare senso alle proprie esperienze, siano esse anomale (come nel caso di deliri generati da esperienze allucinatorie) oppure “normali”.
I processi di pensiero implicati nella strutturazione delle credenze deliranti si differenziano da quelli tipici della formazione delle altre credenze cognitive solo dal punto di vista “quantitativo”, essendo connotate da un notevole grado di resistenza al cambiamento, nonostante prove ed eventi contrari (Perris & McGorry, 2000).
Se il contenuto del delirio rappresenta un tentativo di dare senso all’esperienza interna o esterna, la forma che assume è espressione di possibili errori o distorsioni con le quali il paziente compie questa operazione. L’obiettivo di un intervento psicoterapico è, dunque, quello di aiutare il paziente a sostituire le sue credenze maladattive con credenze che diano un senso più adattivo alle esperienze in questione (Perris & McGorry, 2000).
“Non si può cambiare idea se non ce ne sono altre migliori, in grado, cioè di ampliare il panorama conoscitivo del soggetto, la sua possibilità di dare un senso al suo universo” (Lorenzini & Coratti, 2008, p.51)
L’importanza della “normalizzazione”
Secondo Kingdon e Turkington (1991) nella psicosi possono essere individuati segni e sintomi simili a quelli mostrati dagli individui sani: anche le convinzioni deliranti possono essere del tutto simili a idee diffuse nella società (che, tuttavia, vengono scartate in tempi ragionevolmente brevi nelle persone non diagnosticate come psicotiche).
Gli autori ipotizzano che in momenti di stress, la “ricerca di un senso” possa indurre alcune persone con una vulnerabilità pregressa ad accettare più facilmente alcune idee come vere. Questo avverrebbe tanto più facilmente quanto più una persona è isolata, priva di riferimenti familiari e/o amicali con cui confidarsi, oppure inserita in contesti in cui genitori, amici o partners hanno credenze o modi di comunicare anormali.
Su un piano terapeutico, Kingdon e Turkington sostengono che spiegare al paziente e alla sua famiglia i sintomi psicotici in un’ottica di “normalizzazione”, ovvero come effetti di situazioni di stress su un soggetto vulnerabile, contribuisce a ridurre la riprovazione sociale e getta le basi per trattare deliri e allucinazioni con argomentazioni razionali all’interno della TCC.
Nella terapia si parte dalla ricostruzione con il paziente degli eventi di vita che hanno preceduto l’esordio psicopatologico e si analizzano inoltre gli elementi di vulnerabilità che lo caratterizzano. Il concetto di stress-vulnerabilità viene descritto al paziente come un’interazione fra specifiche suscettibilità individuali e familiari ed eventi stressanti che renderebbero ragione dello sviluppo dei sintomi positivi (come i deliri).
La ricerca del “senso” del delirio
“La maggior parte dei deliri paranoici non avrebbe motivo di esistere se il soggetto avesse la libertà di dirsi che ha sbagliato e che non ha dimostrato di essere quello che credeva; aggiusterebbe un po’ la visione di sé stesso e si risparmierebbe la fatica di inventarsi un mondo a parte in cui continua a essere quello che è ‘costretto’ ad essere” (Lorenzini & Coratti, 2008, p. 32)
Secondo Fowler et. al (1995) se si cerca di convincere i pazienti – ad esempio con un approccio didattico – che soffrono di un disturbo medico, è possibile avere risultati controproducenti, soprattutto in presenza di convinzioni deliranti fortemente strutturate.
È invece opportuno spiegare al paziente la sua condizione in chiave cognitiva, ovvero come una tendenza a commettere errori di giudizio nel tentativo di dare un senso a eventi sociali e a sensazioni somatiche insolite o anche ai propri pensieri ed emozioni.
Questa ridefinizione ha il vantaggio di descrivere il paziente come una persona razionale, anche se portata (come tutti) a commettere errori di giudizio su di sé e sul mondo circostante.
Secondo gli stessi autori, è raccomandabile affrontare le convinzioni deliranti solo quando sono associate ad angoscia o interferiscono con il funzionamento della persona, non soltanto perché sono eccentriche o bizzarre.
Inoltre, gli interventi devono essere adattati alla consapevolezza di malattia del paziente. Nel caso in cui il paziente non sia critico, il terapeuta dovrà lavorare “all’interno del delirio”, accordandosi solo sul fatto che “non si è totalmente d’accordo” con la convinzione delirante del paziente e che potrebbero esserci “spiegazioni alternative”.
La maggior parte degli strumenti di intervento proposti dagli autori rappresentano adattamenti di tecniche classiche della TCC. Si va dal dibattito delle convinzioni del paziente, alla presentazione di punti di vista alternativi fino ad arrivare a test comportamentali per provare la fondatezza delle credenze deliranti e alla messa in discussione degli schemi cognitivi.
Sebbene il terapeuta abbia il compito di rassicurare esplicitamente il paziente sul fatto che le sue convinzioni rappresentano un tentativo ragionevole di spiegare le esperienze passate, è importante non dare l’impressione di accettarle in toto. Gran parte della terapia consiste nel mantenimento dell’equilibrio dialettico tra la capacità di validazione, per come descritta, e lo sprone all’integrazione di alternative.
I deliri inquadrati attraverso il paradigma cognitivo ABC
Il modello ABC offre un quadro di riferimento utile anche per comprendere l’esperienza del delirio. Secondo Chadwick e Birchwood (1996) all’interno dell’analisi ABC i deliri sono tecnicamente dello B, ovvero delle interpretazioni (deliranti) di un evento (A) che possono essere o non essere associate ad un disagio (C).
Per gli stessi autori, illustrare in questo modo l’esperienza delirante assicura che venga prestata attenzione agli eventi ambientali e personali che si costituiscono come attivanti (A). Chiarisce che il delirio è una delle interpretazioni possibili degli eventi e rileva se il delirio costituisce o meno un problema per il paziente (per esempio creando disagio e sofferenza).
Si comprende dunque come una psicoeducazione del paziente al modello classico della TCC proponendo la lettura della convinzione delirante i termini di ABC costituisca una colonna portante della psicoterapia di questo sintomo.
Il trattamento dei deliri
Le fasi dell’intervento terapeutico sui deliri nel modello di Chadwick e Birchwood (1996) possono essere così sintetizzate:
- Concettualizzazione del caso: incontri con il paziente condotti in modo non direttivo, incoraggiandolo a raccontare la sua storia, il suo problema attuale, gli eventi scatenanti e le esperienze che possono aver contribuito alla genesi del sintomo. Il terapeuta prova a ricostruire una concettualizzazione del caso, che poi condividerà col paziente, che sia capace di spiegare la genesi ed il mantenimento del disturbo.
- Valutazione del problema emotivo/comportamentale (C): la terapia cognitiva non possa essere applicata laddove non siano presenti problemi invalidanti a livello delle C, indipendentemente da quanto bizzarre siano le credenze del paziente (B) o negativi gli eventi di vita predisponenti (A).
- Valutazione dell’evento scatenante (A): lo scopo della valutazione delle A è portare il paziente a fornire un resoconto oggettivo e fattuale dell’evento specifico che “ha fatto scattare le C”, preferibilmente un evento recente. Nella ricostruzione dei vari episodi è compito del clinico richiedere ABC che partano da una A specifica e dettagliata e non generica. Clinico e paziente dovrebbero idealmente ricostruire diversi episodi secondo questo schema, fino a che non si palesano le ricorrenze (tipiche A).
- Valutazione delle credenze B (immagini, inferenze, valutazioni): quasi sempre la concatenazione dei pensieri comincia con un’inferenza ed al termine di una catena di inferenze o deduzioni si trovano di solito una o più valutazioni (negative) riguardo al sé, agli altri, o alle circostanze. La raccolta sistematica dei B avviene finché clinico e paziente non riescono a ricostruire i collegamenti tra B e le credenze di base del paziente.
- Messa in discussione delle credenze disfunzionali del paziente: questa consiste nel riesaminare le prove a favore e contro il delirio, creare spiegazioni alternative possibili all’interpretazione degli eventi e fare delle prove empiriche. Compito del terapeuta è quello di illustrare al paziente i vantaggi di adesione alla nuova spiegazione non delirante degli eventi.
- Esperimenti comportamentali: Chadwick e Birchwood (1996) sottolineano come tali esperimenti, per quanto importanti, non rappresentino il modo primario col quale il paziente delirante arrivi a modificare la sua credenza. Gli autori spiegano questo facendo riferimento al fatto che, con molta probabilità, il paziente delirante ha bisogno di costruire una cornice esplicativa alternativa al delirio (e lo fa in disputing col terapeuta) prima di poter assimilare e dar senso alla confutazione empirica tramite gli esperimenti comportamentali.
Il presupposto fondamentale (più di sempre!): la relazione terapeutica
Inutile dire che prima di tutto questo occorre creare un’ottima relazione terapeutica, operazione non semplice con una persona delirante e che diventa impossibile se il terapeuta viene percepito come minaccioso o viene incluso nel delirio. Si dovrà accogliere pienamente la sofferenza del paziente sospendendo ogni giudizio sul contenuto del delirio. Gli autori evidenziano alcuni dei maggiori ostacoli alla relazione terapeutica:
- Se il terapeuta ha la percezione che l’ideazione delirante ed il comportamento psicotico siano “al di là di ogni possibile comprensione”, questo si rifletterà sui suoi sentimenti e comportamenti nei confronti del paziente e sulle sue aspettative rispetto al cambiamento, inficiando l’intervento (e anche i successivi interventi).
- È necessario utilizzare il setting terapeutico in modo flessibile, conducendo colloqui più brevi e più frequenti, a volte in modo informale, evitando i silenzi prolungati ed evitando di insistere con il paziente affinché esponga le proprie idee deliranti.
- Nel trattamento del delirio il terapeuta deve accettare l’eventualità che il paziente non alteri le proprie credenze, ma ciò nonostante, lavorare in un’ottica di empirismo collaborativo ed utilizzare il dialogo socratico per fare in modo di poter aiutare il paziente ad elaborare i propri dubbi e a fare delle esperienze in modo da capire che possono esistere altri modi per comprendere ed elaborare i suoi vissuti e le sue relazioni.
Bibliografia essenziale
- Chadwick, P.; Birchwood, M. & Trower, P. (1996) Cognitive therapy for delusions, voices and paranoia. John Wiley and Sons Ltd. Ed.It. La terapia cognitiva per i deliri, le voci e la paranoia. Roma, Astrolabio 1997.
- Ciompi, L. (1988) The psyche and schizophrenia. The bond between affect and logic. Cambridge, Mass: Harvard University Press.
- Garety, P. (1985) Delusions: problems in definition and measurement. British Journal of Medical Psychology, 58, 25-34.
- Kingdon, D.G. & Turkington, D. (1994) Cognitive Behavioural Therapy of schizophrenia. Hove: Lawrence. Erlbaum. Trad. It. (1997) Terapia cognitivo-comportamentale per la schizofrenia. Milano, Cortina.
- Kingdon, D.G. & Turkngton, D. (1991) Preliminary report. The use of cognitive behavior therapy and a normalizing rationale in schizophrenia. Journal of nervous & Mental Disease 179: 207-211.
- Lorenzini, R. & Coratti, B. (2008) La dimensione delirante. Psicoterapia cognitiva della follia. Raffaello Cortina Editore.
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- Lorenzini, R. (2018) Il senso del delirio. Cognitivismo clinico, 15, 53-65.
- Maher, B.A. (1988) Anomaluos experience and delusional thinking : the logic of explanations. In F.T. Oltmanns and B.A. MAHER (Eds). Delusional Beliefs, New York: John Wiley, 15-33.
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- Perris, C. (1989) Cognitive therapy with schizophrenic patients. New York Guilfort Press. Ed.It. Terapia cognitiva con i pazienti schizofrenici. Torino, Bollati Boringhieri 1996.
- Perris, C.; Merlo, C.G. & Brenner, H.D. (2005) Terapia cognitiva per la schizofrenia: evoluzione di un approccio terapeutico. Roma, Il Minotauro.
- Strauss, J. S. & Carpenter, W.T. (1981) Schizophrenia. New York, NY: Plenum.
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