La ricerca sugli impatti diretti di un clima in rapido cambiamento sulla salute umana è cresciuta enormemente nell’ultimo decennio.
Tuttavia, il bilancio del cambiamento climatico sulla nostra salute mentale è stato studiato molto meno. Gli sforzi per combinare studi psicologici e sociali in relazione alla crisi ecologica e alla crisi climatica sono in aumento dagli anni 2010 (Hoggett, 2019).
“Eco-ansia” è un termine che cattura le esperienze di ansia relative alle crisi ambientali (Pihkala, 2020). La forma più prevalente di eco-ansia sembra essere l’ansia climatica: significativamente legata al cambiamento climatico antropogenico (Ray 2020; Pihkala 2019), compreso il riscaldamento globale, l’innalzamento del livello del mare e l’aumento dell’incidenza di disastri naturali ed eventi meteorologici estremi (Clayton e Karazsia, 2020; Pihkala, 2020).
Allo stesso tempo si compone anche di forme d’ansia relative a una molteplicità di calamità ambientali, che possono o meno essere direttamente causate dai cambiamenti climatici, inclusa l’eliminazione di interi ecosistemi e specie vegetali e animali, l’inquinamento globale di massa e la deforestazione.
La definizione di eco-ansia
Nella letteratura scientifica, l’eco-ansia è stata definita come “la sensazione generalizzata che le basi ecologiche dell’esistenza siano in procinto di crollare” (Albrecht, 2019).
Questa definizione collega l’eco-ansia a una preoccupazione generale, paura o ansia. Nonostante alcuni studiosi sottolineino che l’eco-ansia non sia ancora considerata come un riconosciuto disturbo d’ansia, ma piuttosto una reazione comprensibile alla gravità della crisi ecologica, evidenti sono i casi in cui l’eco-ansia è così forte che risulta necessario un supporto per la salute mentale (Doherty, 2016; Manning e Clayton, 2018; Pihkala, 2019).
Sebbene quindi l’eco-ansia non sia attualmente considerata una condizione medica, l’APA l’ha definita una “paura cronica del destino ambientale” (Clayton et al. 2017).
Gli effetti della eco-ansia
Esiste un’ampia gamma di condizioni individuali con cui può essere espressa tale paura. Alcune persone hanno episodi quotidiani di dolore e disperazione, altre esibiscono attacchi di panico improvvisi, mentre altre ancora hanno persino preso in considerazione la possibilità di non avere figli perché credono che potrebbe non essere etico a causa della futura qualità della vita.
Un esempio specifico, chiamato solastalgia, deriva dai danni che il cambiamento climatico produce sui luoghi cari a una persona: il concetto è stato coniato dal filosofo ambientale australiano Glenn Albrecht per descrivere la nostalgia che una persona può provare se i dintorni della propria casa vengono danneggiati o distrutti (Albrecht, 2019) riferendosi agli effetti dannosi che il boom dell’estrazione del carbone ha avuto sugli abitanti della Upper hunter valley, in Australia.
I sintomi della solastalgia possono essere sia a breve che a lungo termine, acuti e cronici, evidenziando lo stretto rapporto tra salute dell’ecosistema e salute umana. Includono sentimenti di dolore, nostalgia, stress, alienazione, depressione, ansia, senso di perdita, disturbi del sonno, pulsioni suicide e aumento dell’aggressività e possono essere spesso duraturi.
Fattori di vulnerabilità
Ci sono alcuni fattori che rendono una persona, o un gruppo, più vulnerabile all’eco-ansia. Questi includono la giovane età, l’elevata esposizione a problemi ambientali fisici e la forte esposizione a notizie inquietanti sulla crisi ecologica.
Le donne sembrano essere maggiormente sensibili a tali emozioni rispetto agli uomini (Pihkala, 2019; Clayton e Karazsia, 2020). I professionisti della sostenibilità e gli attivisti ambientali soffrono di una maggiore eco-ansia, sebbene abbiano anche alcune risorse speciali che aumentano la resilienza, come il senso di efficacia e la possibilità d’intervento (Pihkala, 2020).
Indipendentemente dalla sua espressione, l’eco-ansia ha effetti duraturi sul benessere emotivo e la sua incidenza è in costante aumento. Tale tendenza riflette le preoccupazioni degli psicologi circa un drammatico aumento del numero di pazienti che mostrano i suddetti sintomi.
Ciò ha portato alla richiesta di una maggiore attenzione alla comprensione dei legami tra il cambiamento climatico e la salute mentale.
Impatti diretti e indiretti del clima sulla salute mentale
Alcuni studiosi preferiscono usare il termine distress per descrivere fenomeni che altri etichettano come ansia (Randall, 2019). In effetti l’Eco-ansia può derivare dall’esposizione diretta o indiretta alla crisi ecologica.
Nel caso di disastri naturali, che si sono intensificati a causa dei cambiamenti climatici, gli impatti somatici e psichici risultano intensi e diretti, le conseguenze sulla salute mentale sono generalmente più gravi e improvvise.
In questi casi, possono manifestarsi forti sintomi di ansia, nonché stress post-traumatico e altre complicazioni (Clayton et al., 2017).
Allo stesso tempo, è diventato ormai evidente che semplici notizie, conoscenze e paure sui problemi ecologici possano essere sufficienti a causare ansia poiché la crisi ambientale globale è percepita estremamente minacciosa (Pihkala, 2020).
Degrado ambientale come fattore di stress
Gli effetti dello stress sulla salute sono ben noti, con pericoli comuni tra cui ipertensione, malattie cardiache, obesità e diabete.
I ricercatori stanno esplorando i modi in cui il cambiamento climatico contribuisca a innalzare i livelli di stress: si osserva che le conseguenze fisiche delle catastrofi climatiche sono spesso molto inferiori quelle psicologiche (Union of Concerned Scientists, 2010).
Le persone che affrontano condizioni meteorologiche avverse possono sperimentare seri sintomi di salute mentale, inclusi stress post-traumatico, depressione e ansia. Questo ovviamente non ci sorprende: quando le persone perdono la casa, le attività commerciali e i beni o sono potenzialmente testimoni della perdita di vite umane, è probabile che l’impatto risultante sulla psiche sia traumatico.
Ricerche suggeriscono che tra il 25 e il 50 per cento delle persone che soffrono i disastri meteorologici possono risentire degli effetti sulla salute mentale (Union of Concerned Scientists, 2010). L’American Psychological Association (APA) ha riferito che i sopravvissuti a disastri naturali sperimentano un enorme aumento di depressione, disturbo da stress post-traumatico, ansia e suicidio (The Guardian, 2019).
Surriscaldamento terrestre e innalzamento dei tassi di suicidio
Sin dal 1880 si è cercato un collegamento tra cambiamenti climatici e tassi di suicidio, in seguito a osservazioni dell’aumento di tale tendenza durante i mesi estivi, evidenziando che la regolarità delle statistiche sui suicidi era “troppo grande per essere attribuita al caso della volontà umana” (The Atlantic, 2018).
Più recentemente altre ricerche statistiche hanno confermato questo collegamento (vedi The Royal College of Psychiatrist, 2018 nel Regno Unito; Helama et al., 2013 in Finlandia). Naturalmente, vi sono state notevoli difficoltà nello stabilire una causalità diretta.
Anche molti altri fattori contribuiscono al suicidio, come problemi socioeconomici, la sicurezza finanziaria, fattori di stress relazionale, nonché precedenti difficoltà di salute mentale.
In tali studi infatti, sono stati riscontrati notevoli limiti nella metodologia. Per affrontare questi problemi, Burke e colleghi (2018) hanno esaminato decenni di dati sulla temperatura e sui suicidi, in più hanno scansionato oltre mezzo miliardo di aggiornamenti sui social media per cercare un linguaggio negativo associato al benessere mentale.
I ricercatori hanno concluso che se un mese è 1° Celsius più caldo della media, il tasso di suicidi aumenterà dello 0,7% negli Stati Uniti e del 2,1% in Messico (Burke et al., 2018). Anche tenendo conto delle influenze della povertà, del genere, del possesso di armi e di altre questioni socioeconomiche, lo studio ha riscontrato una piccola correlazione statisticamente significativa, dunque fa un’affermazione causale.
Inoltre, rileva che questa correlazione vale ovunque nei due paesi studiati, indipendentemente dal fatto che si tratti di una città calda in Messico o di una città fredda negli Stati Uniti.
Altrove, le temperature e gli estremi meteorologici hanno effetti più indiretti sul suicidio. Nelle comunità in cui l’agricoltura o l’allevamento costituiscono la stragrande maggioranza del reddito, i legami con il suicidio sono forti. Ad esempio, uno studio recente ha rilevato oltre 60.000 casi di suicidio in India negli ultimi 30 anni. I raccolti scarsi, a causa della variabilità climatica, hanno portato gli agricoltori a indebitarsi, con nessuna garanzia di rimborso dopo il nuovo raccolto. (Safi, 2017).
Allo stesso modo, nelle comunità di gruppi indigeni, soprattutto tra le popolazioni Inuit e Sami, sono stati rilevati gli stessi impatti.
Questi gruppi spesso dipendono dalla terra, dal mare e dal ghiaccio artico per continuare le loro vite tradizionali. Metà dei Sami adulti in Svezia soffre di ansia e depressione e un giovane allevatore di renne indigeno su tre ha pensato al suicidio (Environmental Justice Foundation, 2019).
Una storia simile si svolge nella nazione Inuit. L’APA ha studiato cinque comunità Inuit in Canada e ha scoperto diverse conseguenze per il benessere di gruppo e individuale. Molti hanno riferito dell’aumento dell’uso di droghe e alcol per riempire il tempo vuoto che sarebbe normalmente utilizzato per le attività a terra (American Psychological Association, EcoAmerica & Climate for Health, 2017).
The Hogg Eco-Anxiety Scale: una scala di valutazione dell’eco-ansia
Hogg e colleghi (2021) hanno scoperto che le persone potevano sperimentare eco-ansia sia per una serie di condizioni ambientali che per il loro personale impatto negativo sul pianeta.
In particolare, si è notato che l’ansia delle persone per le diverse condizioni ambientali (ad es. Cambiamento climatico, degrado ambientale, inquinamento) era interconnessa, ciò ha fornito supporto per corroborare l’ipotesi dell’esistenza dell’eco-ansia (inteso come un costrutto più ampio che comprende l’ansia per il cambiamento climatico).
Questi risultati sono stati utilizzati per lo sviluppo della loro scala composta da 13 elementi. Gli items hanno catturato quattro dimensioni specifiche dell’eco-ansia: sintomi affettivi, ruminazione, sintomi comportamentali e ansia per il proprio impatto negativo sul pianeta, ciascuno distinto da stress, ansia e depressione.
I risultati supportano l’eco-ansia come esperienza psicologica quantificabile, misurata in modo affidabile utilizzando la scala di valutazione.
Le istruzioni della Hogg Eco-Anxiety Scale (HEAS-13): “Nelle ultime 2 settimane, quanto spesso sei stato infastidito dai seguenti problemi, quando hai pensato al cambiamento climatico e ad altre condizioni ambientali globali (ad es. riscaldamento globale, degrado ecologico, risorse esaurimento, estinzione di specie, buco nell’ozono, inquinamento degli oceani, deforestazione)?”
- Sentirsi nervoso, ansioso o nervoso
- Non essere in grado di fermare o controllare le preoccupazioni
- Preoccuparsi troppo
- Sentirsi spaventati
- Impossibile smettere di pensare al futuro cambiamento climatico e ad altri problemi ambientali globali
- Impossibile smettere di pensare agli eventi passati legati al cambiamento climatico
- Impossibile smettere di pensare alle perdite per l’ambiente
- Difficoltà a dormire
- Difficoltà a godersi le situazioni sociali con la famiglia e gli amici
- Difficoltà a lavorare e/o studiare
- Sentirsi ansiosi per l’impatto dei propri comportamenti personali sulla terra
- Sentirsi ansiosi riguardo alla propria responsabilità personale nell’aiutare ad affrontare i problemi ambientali
- Sentirsi ansiosi che i propri comportamenti personali possano fare ben poco per aiutare a risolvere il problema
Scala di risposta: 0 = per niente, 1 = più giorni, 2 = più della metà dei giorni, 3 = quasi ogni giorno.
(La scala non è stata ancora validata in versione italiana, quella presentata ha scopo puramente descrittivo, non deve essere considerata in alcun modo uno strumento diagnostico o utilizzabile per la ricerca).
Come gestire l’eco-ansia
L’eco-ansia dovrebbe essere inquadrata sia come un problema, quando è paralizzante, sia come una risorsa.
Fondamentalmente, le emozioni che si celano dietro l’eco-ansia possono risultare anche produttive se, e solo se, affrontate e gestite in modo costruttivo.
La paura ci aiuta a orientarci verso possibili pericoli. Il senso di colpa ci aiuta a renderci conto che siamo stati parte di azioni sbagliate e dobbiamo impegnarci nella riparazione.
La vergogna ci dice che non siamo stati le persone che dovremmo essere e che abbiamo bisogno di uno stile di vita nuovo e più onorevole.
Il dolore ci aiuta a elaborare la perdita delle cose che abbiamo amato.
La rabbia e l’indignazione possono darci energia per apportare cambiamenti, per praticare l’azione civile (Pihkala, 2019; Ray, 2020).
Esistono inoltre guide per la cura di sé e la costruzione di progetti e supporto comunitari in relazione all’ansia ambientale e all’ansia climatica (Coping with Climate Change Distress, 2017). Gli psicologi raccomandano di limitare l’esposizione dei media alle informazioni preoccupanti in determinati momenti della giornata, nonché di organizzare gruppi di supporto tra pari.
Un esempio di approccio psicologicamente fondato rivolto alla sostenibilità è il metodo Carbon Conversations (n.d.), di Rosemary Randall, pioniera psicologa del clima, che si basa su discussioni di gruppo sia sulle emozioni che sulle attività climatiche.
Esiste poi il Project Inside Out, sviluppato principalmente da Renée Lertzman, un’altra antesignana della psicologia ambientale, offre un sito web ricco di materiali pensati per coinvolgere le persone su tematiche ambientali in modo psicologicamente sensibile (Project Inside Out n.d.).
Bibliografia
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