Quando si parla di psicopatologia della personalità, non sai può far a meno di pensare al dibattito decennale che ha diviso gli esperti in tema di diagnosi e classificazione.
Se, da un lato, molti professionisti sostengono un modello classificatorio basato su categorie discrete che distinguono la personalità patologica da quella “normale” in termini qualitativi (diagnosi categoriale), sul versante opposto si collocano i sostenitori del modello dimensionale, dove la personalità è vista come un insieme di tratti disposti lungo un continuum e la patologia presenta delle differenze di ordine quantitativo con la personalità “sana”.
Nonostante il modello categoriale sia stato a lungo criticato per la scarsa attenzione data al vissuto soggettivo dell’individuo e l’elevato numero di co-diagnosi che esso implica (perché basato sul principio della presenza/assenza di determinati criteri), l’approccio dimensionale non ha mai costituito una valida alternativa che permettesse ai professionisti della salute mentale di creare un linguaggio comune col quale connotare certi quadri patologici di personalità (anche per il fatto di considerare l’unione dei singoli tratti come equivalente all’insieme).
Quando la task-force APA si è trovata – in fase di stesura del DSM-5 (2013) – ad affrontare il tema della classificazione dei disturbi di personalità, la scissione tra le due posizioni è emersa nuovamente, generando non poche criticità.
L’esito, dopo anni dibattiti che hanno anche coinvolto nomi noti della psichiatria del nostro Paese, è stato quello di lasciare essenzialmente invariata la classificazione categoriale della precedente versione del DSM (DSM-4-TR), che illustrava 10 disturbi di personalità divisi in 3 clusters distinti.
A fianco di tale inquadramento, è stato proposto nella sezione III del DSM-5, un modello alternativo per la diagnosi dei disturbi di personalità, secondo un approccio ibrido dimensionale-categoriale.
I disturbi di personalità, in questo nuovo modello, sono caratterizzati da due elementi principali: 1) da compromissioni del funzionamento della personalità e 2) da tratti di personalità patologici.
Gli elementi di funzionamento della personalità proposti sono:
- IDENTITA’: l’esperienza di sé come unico, con chiari confini tra sé e gli altri; stabilità dell’autostima e precisione di auto-valutazione; capacità di regolazione emotiva.
- AUTODIREZIONALITA’: capacità di perseguire obiettivi coerenti e significativi sia a breve che a lungo termine, utilizzo di standard di comportamento interni costruttivi e prosociali; capacità autoriflessive (self-reflect) che permettano di acquisire il senso delle proprie capacità e anche dei propri limiti.
- EMPATIA: comprensione e apprezzamento delle esperienze e motivazioni altrui; tolleranza di prospettive diverse; comprensione degli effetti del proprio comportamento sugli altri.
- INTIMITA’: profondità e durata della relazione positiva con gli altri; desiderio e capacità di vicinanza; comportamento improntato al rispetto reciproco.
Il funzionamento della personalità dell’individuo all’interno del dominio del Sé (composto da identità ed autodirezionalità) e nel dominio interpersonale (costituito da empatia ed intimità), viene valutato lungo un continuum dimensionale che va da un livello 0, equivalente a una assenza di compromissione, a un livello 4 che indica una compromissione estrema (Scala per il livello di funzionamento della personalità; LPFS).
Il secondo criterio (stavolta di ordine categoriale!) distintivo di un disturbo di personalità all’interno di questo nuovo modello è la presenza di almeno un tratto di personalità patologico.
Le 25 sfaccettature di tratto proposte, che sono state sviluppate da una prima revisione dei modelli di tratto già esistenti in letteratura e poi attraverso ricerche su soggetti clinici, sono organizzate in 5 tratti di ordine superiore:
- Affettività negativa (vs. Stabilità emotiva): sperimentare intensamente e frequentemente emozioni negative.
- Distacco (vs. Estroversione): ritiro da altre persone e da interazioni sociali.
- Antagonismo (vs. Disponibilità): presentare comportamenti che mettono in contrasto con altre persone.
- Disinibizione (vs. Coscienziosità): impegnarsi in comportamenti impulsivi senza riflettere sulle possibili conseguenze future.
- Psicoticismo (vs. Lucidità mentale): avere esperienze insolite e bizzarre.
Il DSM-5 inoltre presenta i criteri diagnostici, coerenti con il modello alternativo proposto, per 6 specifici disturbi di personalità (antisociale, evitante, borderline, narcisistico, ossessivo-compulsivo, schizotipico) e per di disturbo di personalità tratto specifico (quando il disturbo di personalità è presente ma non si soddisfano i criteri per nessuno dei precedenti).
In conclusione, il nuovo approccio, sicuramente interessante dal punto di vista teorico, ha di fronte a sé la possibilità di cambiare davvero il linguaggio di noi professionisti oppure quella di restare, anche in futuro, solo un “modello alternativo”.
E’ forse ancora troppo presto per dire se avrà successo tra i professionisti della salute mentale o se riuscirà a dirimere completamente la questione della classificazione dei disturbi di personalità; tuttavia, ciò che è auspicabile, è che perlomeno possa costituire una valida alternativa ben spendibile nella pratica clinica e nella ricerca.