Negli ultimi 20 anni è andato crescendo l’interesse sulla dissociazione in psicoterapia, periodo durante il quale si è anche sempre più affermata la prospettiva psicotraumatologica, con l’estensione e l’aumento di complessità del concetto di trauma.
L’origine del malessere psicologico ed emotivo si è infatti sempre più spostata verso l’individuazione di eventi ad impatto traumatico e si è evidenziata la pluralità delle manifestazioni dei sintomi traumatici e la loro frequente correlazione con la dissociazione (nel DSM 5 i disturbi dissociativi sono riportati in prossimità dei disturbi legati a traumi o a stress intensi).
Il quadro empirico indiscutibile è che la persona traumatizzata presenta frequentemente un quadro sintomatologico complesso che va al di là della diagnosi di disturbo da stress post traumatico (PTSD) e nei quadri post traumatici sia semplici che complessi la dissociazione è un elemento ricorrente e distintivo.
Molti studiosi convergono infatti nell’indicare la dissociazione (insieme alla disregolazione emotiva e alla somatizzazione) come un indicatore della condizione post traumatica cronica, recuperando quanto già Janet e Freud avevano espresso fin dalla fine dell’800, identificando la dissociazione come il meccanismo alla base della patologia isterica di origine traumatica.
Che cos’è la dissociazione?
Per comprendere la dissociazione è utile prima capire il suo opposto, cioè l’integrazione. Ognuno di noi è nato con una naturale tendenza ad integrare le esperienze personali in una storia di vita coerente e unitaria, con un senso stabile di “chi è”. La nostra capacità di integrazione ci aiuta a distinguere il passato dal presente e a mantenere il senso di essere nel presente anche quando ricordiamo il passato o pensiamo al futuro. Ognuno di noi sviluppa modi tipici e relativamente stabili di pensare, sentire e agire e ci riferiamo a questo nel suo insieme con il termine “personalità”. E manteniamo la percezione di chi siamo anche cambiando in modo fluido pensieri, emozioni e scelte di azioni.
La comprensione della dissociazione comincia dal rendersi conto che le persone umane (dissociative o non dissociative che siano) sono universalmente costituite da parti. Noi tutti abbiamo nelle nostre personalità parti (stati separati della mente) capaci di impegnarsi in compiti della vita quotidiana coesistendo, integrandosi e alternandosi e di cui siamo consapevoli.
La dissociazione è una grave difficoltà nell’integrazione di queste parti, che va ad interferire con il senso di sé della persona e con la personalità, cambiandola. Nella dissociazione una parte della persona possiede l’esperienza mentre un’altra parte non la possiede; le persone che soffrono di disturbi dissociativi non si sentono integrate, ma frammentate, poiché hanno ricordi, pensieri, emozioni, comportamenti che vivono come strani e non propri, come se non appartenessero a loro. Non sperimentano un unico senso di sé e non vivono se stessi come appartenenti ad una singola persona.
Questi sensi divisi del sé e delle modalità di risposta sono chiamate “parti dissociative della personalità”. È come se non ci fossero abbastanza collegamenti o connessioni mentali tra un senso di sé e l’altro. Per esempio una persona con un disturbo dissociativo può avere l’esperienza che alcuni ricordi dolorosi della sua infanzia non siano suoi (“io non sono quella bambina”). Questa mancanza di consapevolezza e di realizzazione, questa esperienza del “non me” è l’essenza della dissociazione. Essa può attuarsi per gradi e assumere molte forme. Può esserci una completa mancanza di consapevolezza reciproca tra parti della personalità oppure una parte può essere parzialmente consapevole di un’altra parte.
Tipicamente esistono due tipi di parti: una parte ha la funzione di gestire la vita quotidiana e per far questo è focalizzata sull’evitamento dei ricordi traumatici; altre parti (una o più di una) sono invece bloccate nelle esperienze traumatiche e continuano a vivere nel tempo passato come se fosse il presente e pensano, agiscono e percepiscono come se il trauma fosse ancora in corso o stesse per accadere nuovamente.
Si tratta quindi di parti prevalentemente emotive, con capacità limitate di pensare, che si sentono sopraffatte e rimangono spesso bloccate in comportamenti ripetitivi volti a proteggersi dal trauma, ma non adattivi rispetto al reale momento presente.
Le parti dissociative possono presentare gradi diversi di consapevolezza l’una dell’altra, ma anche quando le parti sono a conoscenza della loro reciproca esistenza possono essere in disaccordo sulle questioni importanti per la persona, a seconda di quelli che sono i loro significati e le loro funzioni all’interno della persona stessa.
Alcune sono parti giovani, bambine, che spesso esprimono bisogno di sicurezza, consolazione, vicinanza; altre parti possono vivere questi bisogni come eccessivi o pericolosi (viste le esperienze passate); ci possono poi essere parti che lottano contro la minaccia; parti che si vergognano; parti piene di rabbia e collera che imitano il comportamento di chi aggredisce; parti che tentano di aiutare in modo gentile le altre parti.
Quali sono i sintomi della dissociazione?
La maggior parte delle persone con un disturbo dissociativo non arriva in terapia riconoscendo e lamentando una difficoltà con il senso di sé. Solitamente cercano aiuto per altri problemi quali depressione, ansia, disturbi del sonno o difficoltà relazionali. Spesso descrivono sintomi che percepiscono come strani, spaventosi e che li fanno sentire “pazzi”.
Uno dei principali sintomi della dissociazione è il senso di involontarietà: quando una persona è consapevole di emozioni, ricordi, pensieri, comportamenti ma li vive come se non le appartenessero. Può esserci la sensazione di avere differenti “voci” o identità che possono essere percepite anche come molto diverse tra loro per età e con gradi diversi di funzionalità e complessità.
Alcuni sintomi dissociativi riguardano lo “sperimentare troppo poco”: ci può essere amnesia, cioè mancanza di memoria e perdita di alcuni ricordi, che va al di là della normale dimenticanza, la cui gravità si snoda lungo un continuum.
Le persone con dissociazione possono ricordare alcuni aspetti di un evento, ma non altri aspetti essenziali della stessa situazione. In altri casi l’intero ricordo di certi eventi è inaccessibile. Talvolta le persone “sospettano” che sia successo loro qualcosa, ma non ne hanno ricordo e possono provare paura anche solo a pensarci.
L’amnesia può quindi riguardare il passato ma anche il presente: quando ci si ritrova in un posto senza sapere come ci si è arrivati o si scopre di aver fatto qualcosa ma senza ricordare di averlo fatto. Questi sintomi, quando non rientrano un una “normale” disattenzione, sono legati al fatto che ogni parte della persona è impegnata in un comportamento e altre parti ne sono inconsapevoli.
Altri sintomi sono la depersonalizzazione e la derealizzazione. La prima è la sensazione di sentirsi estranei a se stessi, di guardarsi dal di fuori, come se si stesse guardando un’ altra persona. In alcuni casi può mancare la percezione di certe emozioni o parti del corpo; le persone possono ricordare cosa è successo in una determinata situazione, ma come se l’accaduto non fosse successo a loro. Questo modo è funzionale a mantenere la distanza tra se stessi ed esperienze terrificanti o insopportabilmente dolorose.
La derealizzazione è invece l’esperienza di sentire irreale ciò che ci circonda, cose e persone. Gli ambienti quotidiani possono apparire non familiari, una persona che si conosce bene può apparire estranea; il mondo circostante può apparire come immerso nella nebbia e le voci lontane.
Altri sintomi della dissociazione riguardano invece lo “sperimentare troppo”. Si tratta delle intrusioni, quando una parte dissociativa invade l’esperienza di un’altra attraverso flashback di eventi traumatici del passato, ricordi, sentimenti, impulsi o comportamenti che emergono inaspettatamente e all’improvviso; dolori inspiegabili o altre sensazioni che non hanno cause mediche; voci o esperienze interne che la persona non vive come proprie. Questo si verifica quando una parte dissociativa della persona entra nella sua consapevolezza vigile, e in quel momento la persona si trova ad essere “informata” di alcuni aspetti di ciò che quella parte sta vivendo.
Come si origina la dissociazione?
Di solito la dissociazione si origina quando un’esperienza è talmente minacciosa o soverchiante da non poter essere integrata pienamente, in particolare se manca un adeguato supporto emotivo da parte di altre persone. La dissociazione cronica può diventare quindi una strategia di “sopravvivenza” per le persone che hanno affrontato traumi infantili precoci.
La dissociazione offre alla persona, almeno fino ad un certo punto, la possibilità di andare avanti nella vita quotidiana, evitando di venire a contatto con esperienze del passato e del presente estremamente stressanti. Tuttavia essa lascia anche una o più parti della personalità bloccate nelle esperienze che non sono state risolte, nell’esperienza del trauma, mentre un’altra parte della personalità va avanti nella vita quotidiana cercando costantemente di evitare queste esperienze dolorose e non integrate.
Vi sono fattori biologici, sociali e ambientali che rendono le persone più vulnerabili alla dissociazione. In particolare i bambini piccoli hanno meno capacità di integrare esperienze traumatiche rispetto agli adulti per il fatto che i loro cervelli sono ancora immaturi; la loro personalità e il senso di sé ancora non abbastanza solidi e coesi e di fronte a tali esperienze si può arrivare ad una loro disgregazione e frammentazione.
Vi è un consenso generale riguardo al fatto che i principali disturbi dissociativi complessi si sviluppano tipicamente durante l’infanzia, soprattutto per i bambini che vivono gravi trascuratezze ed abusi, e i suoi effetti permangono fino all’età adulta.
Le conoscenze sul funzionamento del sistema nervoso aiutano la comprensione dei processi dissociativi descrivendo, da un punto di vista fisiologico, i meccanismi di stress e difesa. Il nostro organismo è continuamente impegnato nella valutazione del pericolo e delle nostre possibilità di gestione delle richieste dell’ambiente. In caso di pericolo abbiamo la possibilità di mettere in atto 3 possibili risposte: attacco-fuga; freezing (congelamento) e faint (svenimento/distacco).
La risposta di attacco – fuga è una iper-reazione di attivazione mediata dalla parte simpatica del sistema nervoso autonomo; nel caso questa strategia venga valutata non percorribile, il freezing permette all’organismo di immobilizzarsi (per non farsi vedere dal predatore); ma quando nessuna di queste strategie sembra possibile, l’estrema risposta che abbiamo a disposizione è il faint, cioè la brusca ed estrema riduzione del tono muscolare accompagnata da una disconnessione dei centri superiori da quelli inferiori.
Questo significa che con il perdurare di stati di stress estremo il sistema nervoso autonomo può commutare l’iperattivazione in ipoattivazione. Viene così attivata la parte dorsovagale del sistema nervoso autonomo, deputata a portare l’organismo in una condizione di disimpegno, passività, sottomissione, appiattimento degli affetti e dell’energia, che consente una riduzione del metabolismo e l’estremo tentativo di difesa: lo stato di finta morte, tipico degli animali quando sono in estremo pericolo. In questa situazione vi è distacco dall’esperienza e una insensibilità che sta all’origine della possibile deriva dissociativa.
Le attuali concettualizzazioni chiariscono quindi come i disturbi dissociativi “abbiano un senso” nel contesto di una difficile storia di vita. In terapia questo tipo di comprensione concettuale è spesso uno strumento cruciale per aiutare i pazienti che soffrono di dissociazione ad arrivare a comprendere la propria “normalità”. Molte persone che prima venivano considerate “non trattabili” o “non in grado” di cambiare oggi possono essere aiutate con trattamenti terapeutici mirati.
L’attenzione sugli aspetti cognitivi ed emotivi del trauma è sicuramente importante, ma l’evidenza clinica e le ricerche in psicotraumatologia portano in evidenza la necessità di occuparsi più direttamente del corpo, dove rimangono scritte anche le memorie delle esperienze più precoci, anche normalmente inaccessibili alla memoria esplicita.
In questa direzione guarda la terapia sensomotoria di Pat Odgen, così come la teoria polivagale di Porges descrive come la disregolazione neurovegetativa sia conseguenza della cronica attivazione dei sistemi di difesa della persona di fronte alla traumatizzazione grave e continua.
Il lavoro pluriennale di clinici come Jim Knipe e Dolores Mosquera ha portato ad adattamenti necessari e fondamentali per l’utilizzo della terapia EMDR nella traumatizzazione complessa. I protocolli standard lasciano lo spazio in questi casi ad un lungo ed imprescindibile lavoro di stabilizzazione e potenziamento delle capacità di regolazione emotiva del paziente, che deve prima di tutto potersi sentire al sicuro; di presa di consapevolezza e dialogo con e tra le parti; di ricerca di una collaborazione tra le parti nel sistema interno della persona, riorientandosi continuamente nello spazio e nel tempo presenti, dove è possibile sperimentare la sicurezza e rimanere all’interno della finestra emotiva di tolleranza, solo all’interno della quale è possibile poi elaborare direttamente i ricordi traumatici irrisolti.
Non possiamo che sottolineare quanto sia importante avere conoscenza dei processi e dei sintomi dissociativi, perché la loro eventuale presenza possa essere colta e compresa anche quando sottostante ad altre problematiche portate invece direttamente all’attenzione del terapeuta. Questo sia per rendere il trattamento davvero efficace, sia per orientare l’intervento terapeutico in una dimensione di ottimale sicurezza per la persona che porta dentro importanti vissuti traumatici in relazione al mondo, agli altri e a se stesso.
Bibliografia
American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fifth Edition.
S. Boon, K.Steele, O. Van Der Hart (2013). La dissociazione traumatica. Comprenderla e affrontarla. Mimesis Edizioni, Milano.
Jim Knipe (2017). EMDR Toolbox. Teoria e trattamento del PTSD complesso e della dissociazione. Giovanni Fioriti Editore, Roma.
A. Gonzalez, D. Mosquera (2015). EMDR e dissociazione: l’approccio progressivo. Giovanni Fioriti Editore, Roma.