La disforia di genere, precedentemente conosciuta come DIG (abbreviazione di Disturbo dell’Identità di Genere, ormai in disuso) è il disagio percepito da un individuo che non si riconosce nel proprio sesso fenotipico o nel genere assegnatogli alla nascita.
Nel 2018 l’ICD-11 depatologizza la disforia di genere spostandola dal capitolo dei disturbi mentali a un nuovo capitolo dedicato alla salute sessuale, in cui è classificata come incongruenza di genere. Nonostante sia chiaramente provato che non si tratti di un disturbo mentale, viene mantenuto nell’ICD per le significative cure mediche che la condizione richiede.
La disforia è indipendente dall’orientamento sessuale e non va confuso con esso: infatti queste persone possono avere qualsiasi orientamento sessuale e sentimentale. Ad esempio possono essere eterosessuali, omosessuali, bisessuali o asessuali. L’identificazione nel sesso opposto ed il relativo disagio provocato da questa condizione possono essere avvertiti già in fase preadolescenziale, in alcuni casi anche prima.
Criteri diagnostici
Anche il DSM-5 inserisce la disforia di genere in una categoria a se stante, dove il disturbo stesso coincide con la sofferenza provata dagli individui il cui sesso assegnato alla nascita non coincide con il genere percepito soggettivamente.
Secondo il DSM-5, i criteri diagnostici per identificare l’incongruenza di genere negli adolescenti e negli adulti sono i seguenti:
- Una marcata incongruenza tra il genere di cui una persona ha esperienza/esprime, e il genere assegnato alla nascita, di durata di almeno sei mesi, che si manifesta con almeno due dei seguenti:
- Marcata incongruenza tra genere esperito e caratteristiche sessuali primarie/secondarie ( o nei giovani adolescenti, le caratteristiche sessuali previste).
- Forte desiderio di liberarsi delle proprie caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie a causa della marcata incongruenza col genere esperito (o nei giovani adolescenti, il desiderio di prevenire lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie previste).
- Forte desiderio per le caratteristiche sessuali primarie o secondarie del genere opposto.
- Forte desiderio di appartenere al genere opposto (o ad un genere alternativo diverso da quello assegnato alla nascita).
- Forte desiderio di essere trattato come un membro del genere opposto (o di un genere alternativo diverso dal genere assegnato alla nascita).
- Forte convinzione di avere sentimenti e reazioni tipici del genere opposto (o di un genere alternativo diverso dal genere assegnato alla nascita).
- La condizione dev’essere associata inoltre a sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
Come accennato, la diagnosi di Disforia di genere interessa gli individui che mostrano una marcata incongruenza tra il genere che è stato loro assegnato alla nascita e il genere da loro esperito e deve esserci evidenza di una sofferenza legata a questa discrepanza.
La Disforia di genere si manifesta in modo differente nelle diverse fasce di età; negli adulti, in particolare, può esserci un desiderio di liberarsi delle caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie, e/o un forte desiderio di acquisire le caratteristiche sessuali del genere opposto.
Si sentono a disagio se devono comportarsi come membri del genere che è stato loro assegnato e possono adottare a vari livelli il comportamento, l’abbigliamento e i manierismi del genere esperito.
La Disforia di genere può riguardare sia i soggetti di sesso femminile (female to male, FtM) che quelli di sesso maschile (male to female, MtF); risulta comunque più frequente nella forma MtF (circa 3:1) (Bandini, 2009).
Problematiche psicologiche associate alla Disforia di Genere
Opinione condivisa e di fondamentale importanza è quella di tentare di ridurre il disagio indotto dalla disforia di genere a causa delle problematiche psicologiche associate a questa condizione. Tali aspetti, particolarmente presenti durante l’età evolutiva, riguardano:
- Ansia
- Depressione
- Disturbi alimentari, causati principalmente dal tentativo di controllare lo sviluppo del proprio corpo durante la pubertà e limitare i cambiamenti tipici di una maggiore “caratterizzazione sessuale” corporea
- Autolesionismo
- Ideazioni suicidarie (presente fino al 60% delle situazioni).
È stato dimostrato che, prima si interviene per garantire sostegno e comprensione ai ragazzi che presentano queste condizioni, minori sono i rischi per la loro salute e per il benessere psicofisico. Ciò non vuol dire, come vedremo nel prossimo paragrafo, che si intervenga necessariamente medicalmente, soprattutto in età precoce.
Il trattamento della Disforia di genere
La scelta del trattamento per problemi legati al genere dipende da numerosi fattori, tra cui la fase di sviluppo dell’identità sessuale, la conoscenza che l’individuo ha delle diverse opzioni di gestione del problema e la presenza di eventuale comorbilità o problemi psicosociali.
E’ importante infatti che, prima di trattare le questioni relative all’identità sessuale, si affrontino eventuali condizioni più urgenti che possono in qualche modo ostacolare il corretto svolgimento del trattamento della Disforia di genere (Bockting, Knudson e Goldberg, 2006).
Secondo Bocking e Coleman (1993) il miglior modello di trattamento dei pazienti con Disforia di genere dovrebbe comprendere cinque compiti fondamentali:
- assessment;
- gestione di eventuale comorbilità;
- facilitazione della formazione dell’identità;
- gestione dell’identità sessuale;
- valutazione dopo la cura.
Le varie opzioni terapeutiche comprendono:
- psicoterapia (individuale, di coppia, familiare o di gruppo) con lo scopo di esplorare le varie identità/ruoli/espressioni di genere, modificare l’impatto negativo della Disforia di generee dello stigma sociale sulla salute mentale, alleviare la transfobia interiorizzata (la persona con disforia prova vergogna per la propria condizione, spesso autoisolandosi e autoescludendosi dalla vita di relazione o lavorativa), migliorare il supporto sociale, migliorare l’immagine del corpo, promuovere la capacità di recupero;
- terapia ormonale;
- chirurgia per modificare le caratteristiche sessuali primarie o secondarie;
- cambio di espressione di genere (Meyer e coll., 2011).
La psicoterapia
In particolare, per quanto riguarda il lavoro psicoterapeutico, la letteratura disponibile (Green e Fleming, 1990; Michel et al., 2002; Pfafflin e Junge, 1998) indica che un’adeguata psicoterapia a pazienti con Disforia di genere prima dell’intervento della chirurgia è predittiva di un positivo esito post-chirurgico.
Alcuni individui richiedono assistenza psicoterapeutica volontariamente, ad altri può essere raccomandata in previsione di una terapia ormonale o della chirurgia.
Secondo la letteratura disponibile, non esisterebbe un modello psicoterapeutico migliore rispetto ad un altro per il lavoro sulla disforia di genere, ma è comunque possibile identificare le questioni verso cui si deve indirizzare la terapia.
I professionisti della salute mentale, in base al loro orientamento teorico, possono usare diversi approcci terapeutici, non tanto con lo scopo di curare la Disforia di genere, quanto piuttosto di accompagnare la persona nell’esplorazione della propria identità, così da garantirle uno stile di vita stabile a lungo termine con probabilità realistiche di successo nelle relazioni interpersonali, nel lavoro e nell’espressione stessa dell’identità di genere (Dèttore, 2005).
Come sempre nel lavoro psicoterapeutico, è fondamentale che il terapeuta sappia stabilire una relazione autentica in cui la persona possa sentirsi compresa e non giudicata (Bockting, Knudson e Goldberg, 2006).
All’interno del percorso terapeutico con i pazienti con Disforia di genere viene data particolare rilevanza all’esplorazione della storia di genere e dello sviluppo dell’identità sessuale per dare l’opportunità al soggetto di ristrutturare cognitivamente eventi significativi, validare le sue emozioni e rafforzare il senso di Sé. In alcuni casi il transessuale può chiedere di coinvolgere la famiglia nella terapia per esplorare e risolvere conflitti sorti in infanzia.
La transfobia interiorizzata
Un’altra area su cui è bene focalizzarsi in terapia è la transfobia interiorizzata, cioè quell’insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi che una persona può provare nei confronti della propria condizione.
Le caratteristiche associate alla transfobia interiorizzata sono scarsa accettazione e stima di sé, sentimenti di inferiorità, vergogna, senso di colpa e l’identificazione con gli stereotipi denigratori. In questi casi l’obiettivo del terapeuta è rendere il paziente consapevole e promuovere l’accettazione di sé (Lingiardi e Nardelli, 2019).
Una volta che sono stati trattati questi aspetti, la terapia si può concentrare sul supporto dell’individuo nell’attuazione del suo progetto di transizione.
I risultati riportati da uno studio di Rachlin (2002) presentano cambiamenti positivi in seguito alla psicoterapia nell’87% dei soggetti intervistati; inoltre il livello di soddisfazione dopo il processo di transizione è migliore nel caso in cui la persona presenti una buona vita professionale, buone relazioni familiari, supporti sociali e stabilità emotiva.
Sebbene l’attuale normativa italiana non preveda la consulenza psicologica quale passaggio obbligato nell’iter per l’ottenimento della rettificazione anagrafica del sesso, è ormai prassi consolidata, nella maggior parte dei casi, il ricorso a essa.
Bisogna infatti considerare la sofferenza di chi si trova a vivere il proprio corpo come estraneo, i vissuti di non appartenenza, derealizzazione, incertezza e le sensazioni di confusione che possono accompagnare tale condizione; a tutto ciò si aggiunge la possibile presenza di episodi dolorosi o traumatici che spesso costellano la vita di queste persone.
Non sempre il lavoro psicologico nel campo della disforia di genere si rivela fattibile: le difficoltà sembrano potersi ascrivere al fatto che, raramente, il paziente transessuale porta allo psicologo spontaneamente una domanda di esplorazione di sé, ma si rivolge ad esso su richiesta di un terzo, ossia dell’istituzione incarnata nel giudice. In questa situazione si crea, tra soggetto e terapeuta, una difficoltà relazionale di fondo in cui il lavoro psicologico viene inteso solo come una sorta di test o di puro mezzo; l’obiettivo è quindi superare la difficoltà iniziale, spostando l’asse del dialogo da quella “sociale/giudice-psicologo” a quella “utente-psicologo”.
Le linee guida mediche
Dal punto di vista più specificatamente medico, invece, esistono diverse Linee Guida Internazionali (le più seguite sono quelle del WPATH (World Professional Association for Transgender Health) per la terapia a persone transgender con diagnosi di disforia accertata, ma tutte concordano nel raccomandare le terapie per la sospensione per lo sviluppo puberale prima che si verifichino i primi cambiamenti fisici tipici di questa fase.
Nel nostro Paese, la legge che rettifica l’attribuzione di sesso è la L164/1982 (“Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”): tale legge riconosce il diritto all’identità sessuale (che è condizione personale e sociale difficilmente mutabile), permettendo così la modifica chirurgica, ormonale e farmacologica dei caratteri e l’adeguamento del sesso sui documenti. Il tutto previa consulenza psicologica.
Il protocollo seguito da quasi tutte le strutture è quello proposto dall’ONIG (Osservatorio Nazione sull’identità di Genere): questo prevede l’affiancamento a un sostegno psicologico per una durata minima di sei mesi, la quale ha una doppia valenza, diagnostica e terapeutica/supportiva.
Una volta accertata l’incongruenza di genere e si ritenga che la persona transgender sia pronta ad affrontare la seconda fase del percorso di transizione, viene esaminata l’opportunità di autorizzare la TOS (Terapia Ormonale Sostitutiva), in accordo con un medico endocrinologo.
Lo scopo della TOS è quello di modificare i caratteri sessuali terziari, femminilizzando l’aspetto nelle donne MtF (da maschio a donna) e mascolinizzandolo negli uomini FtM (da femmina a uomo), e inibire manifestazioni fisiche proprie del sesso biologico di appartenenza.
Contestualmente all’inizio della TOS la persona, sempre seguita dal supporto psicologico, passa così ad un’altra fase, il “Test di vita reale” (RLT, Real Life Test), adottando il ruolo del genere di appartenenza.
Trascorsi due anni dall’inizio del percorso psicologico, la persona che intenda cambiare i documenti e accedere alle operazioni chirurgiche dovrà prima di tutto presentare un’istanza al tribunale della zona di residenza, attraverso un proprio legale di fiducia, portando poi in un secondo momento le dovute perizie di parte. Queste verranno utilizzate a supporto della richiesta di autorizzazione.
La Riconversione Chirurgica di Sesso (RCS), anche detta Sex reassignment Surgery (SRS), è quella serie di interventi chirurgici che una persona transgender può fare, successivamente all’autorizzazione del Tribunale. Fino al 2015, in Italia, la RCS era obbligatoria ai fini del cambio di nome e di sesso sui documenti anagrafici.
Nel caso la persona non ritenga necessario l’intervento chirurgico per raggiungere un proprio equilibrio, in Italia è possibile comunque ottenere il cambiamento dei dati anagrafici, come ha chiarito una sentenza del Tribunale di Roma nel 2012.
Le persone che hanno concluso, da un punto di vista legale, la transizione da un sesso all’altro possono sposarsi e adottare.
Bibliografia:
- Bockting W.O., Coleman E., 1993. Gender Dysphoria: Interdisciplinary Approaches in Clinical Management. New York, NY: Haworth Press.
- Bockting W.O., Knudson G., Goldberg M., 2006. Counselling and Mental Health Care of Transgender Adults and Loved Ones. Vancouver Coastal Health.
- Dettore D., 2005. Il Disturbo dell’Identità di Genere. Diagnosi-Eziologia-Trattamento. MacGraw Hill.
- Green R.M.D., Fleming Davis T., 1990. Transsexual Surgery Follow-Up: Status in the 1990s. Annual Review of Sex Research, Vol. 1 1990. Issue 1.
- Lingiardi V., Nardelli N., 2019. Il counseling e la psicoterapia con persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT). In S. Massa (a cura di), Counseling Psicodinamico. Colloquio, consultazione e restituzione in contesti clinici e applicativi (pp. 255-269). Torino: Ananke Lab.
- Rachlin K., Transgender individuals experiences of psychotherapy. IJT 2002; 6 (1).