Sebbene le ricerche nell’ambito della dipendenza patologica da cibo siano ancora in fase iniziale, negli ultimi 10 anni una serie interessante di contributi (autori come Gearhardt, Davis, Kuschner e Brownell) ha permesso di aprire un dibattito sul tema.
Sappiamo, ad esempio, che in una dimensione di ricorso patologico al cibo, l’esperienza soddisfacente e gratificante di consumo avverrebbe in assenza di reali necessità metaboliche.
Alcuni studi hanno dimostrato che i circuiti neurologici coinvolti nella ricerca di cibo e nella ricerca di droghe sarebbero gli stessi (es. Volkow e O’Brien, 2007).
Tuttavia il concetto di dipendenza patologica da cibo resta controverso, soprattutto per le sovrapposizioni che vengono a crearsi, sul piano diagnostico, con altri quadri ben più noti in letteratura, vediamo quali.
Una diagnosi controversa
Altri autori sostengono che la dipendenza da cibo si verifichi solo in specifici sottogruppi di pazienti obesi, ovvero quelli con disturbo da alimentazione incontrollata (Binge eating disorder – BED) (Wang, Potenza et al., 2012).
Molti criteri del BED assomigliano in effetti a quelli del disturbo da uso di sostanze (DUS) e molti clinici riferiscono utile l’impiego di tecniche psicoterapiche del trattamento del DUS nella gestione del BED (Von Ranson e Robinson, 2006).
Uno studio di Gearhardt et al. (2012) ha mostrato che il 57% dei pazienti con BED soddisfaceva anche i criteri per la dipendenza patologica da cibo e che punteggi più elevati di dipendenza predicevano maggiormente episodi di alimentazione incontrollata.
BED e dipendenza da cibo sono dunque condizioni distinte ma sovrapposte?
Il Binge eating disorder (BED)
Per poter diagnosticare un BED devono verificarsi episodi ricorrenti di abbuffata.
Un’abbuffata è definita da entrambe le caratteristiche seguenti:
(a) mangiare in un periodo definito di tempo (per es. nell’arco di due ore) una quantità di cibo indiscutibilmente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso intervallo di tempo e in circostanze simili
(b) sensazione di perdita di controllo sull’alimentazione durante l’episodio. Inoltre le abbuffate si devono associare ad almeno tre dei seguenti sintomi:
- mangiare molto più rapidamente del normale,
- mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni;
- mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati;
- mangiare in solitudine perché ci si vergogna di quanto cibo si stia assumendo;
- provare disgusto verso di sé, depressione e senso di colpa dopo ogni episodio.
Infine sappiamo che deve essere presente un marcato disagio nei confronti del comportamento bulimico e che le abbuffate avvengono, in media, almeno due giorni la settimana per un periodo di sei mesi.
La dipendenza da cibo
Usando la Yale Food Addiction Scale (YFAS) un gruppo di ricercatori di Yale – guidati da Gearhardt – ha rilevato che le caratteristiche più frequenti della dipendenza da cibo sono:
- tentativi ripetuti e inutili di ridurre l’alimentazione eccessiva;
- protrarsi del comportamento nonostante l’evidenza di problemi derivanti;
- molto tempo speso a cecare cibo, a mangiare e a riprendersi dagli eccessi.
Lo stesso autore sottolinea come, tuttavia, le stesse caratteristiche siano anche le più osservate nei soggetti obesi affetti da BES (Gearhardt, 2012).
Le maggiori evidenze a sostegno della sussistenza della diagnosi di dipendenza da cibo derivano dalla neurobiologia (Volkow, 2012): è certo che la dopamina abbia un ruolo nell’induzione delle dipendenze patologiche e molti cibi possiedono proprietà dopaminergiche.
La somministrazione di antagonisti della dopamina o la lesione del sistema dopaminergico, nei ratti, attenua la risposta al cibo e riduce l’effetto compensativo degli alimenti ad alto contenuto di zucchero (Avena et al., 2003).
La ridotta disponibilità di recettori D2-like per la dopamina a livello striatale è correlata all’insorgenza di assunzione compulsiva di cibo in roditori obesi (Johnson e Kenny, 2010).
A quali conclusioni arriva Gearhardt?
Alla fine dei suoi studi, l’autore conclude che il 43% dei soggetti con BED non soddisfaceva i criteri per la dipendenza da cibo con YFAS.
Il 30% dei soggetti con dipendenza da cibo diagnosticata con YFAS non soddisfaceva i criteri per BED.
Infine, il sottogruppo di soggetti BED che soddisfaceva i criteri YFAS per la dipendenza presentava maggiori livelli di: affettività negativa, disregolazione emotiva, minore autostima e disturbo del comportamento alimentare (DCA).
BED e dipendenza da cibo sono dunque condizioni distinte che possono però anche manifestarsi in modalità sovrapposta!
Quale trattamento?
Alla dipendenza patologica da cibo si applica la terapia Cognitivo Comportamentale per le dipendenze, con una dovuta precisazione: non si lavora sull’astinenza, ma sull’evitamento dei cibi che possiedono elevate proprietà̀dopaminergiche.
Si integra poi con alcuni elementi tratti dai protocolli di trattamento del BED, come ad esempio il protocollo di Fairburn (1981), con un ciclo di 20 sedute circa ripartite tra:
- Stabilire alleanza terapeutica/psicoeducare al disturbo/informare sulla TCC;
- Introdurre piano alimentare regolare e salutare (coinvolgimento del nutrizionista);
- Lavoro su dismorfofobia, distorsioni cognitive, perfezionismo clinico…
- Piano di mantenimento e gestione delle ricadute.
La TCC standard può essere integrata con elementi della Dialectical Behavior Therapy (DBT), come ad esempio:
- implementazione delle abilità di regolazione emozionale;
- tolleranza dello stress;
- mindfulness e consapevolezza
- abilità interpersonali.
In conclusione: è prematuro rifiutare il concetto di dipendenza da cibo e i dati disponibili indicano la necessità di ulteriori indagini epidemiologiche e cliniche.
È importante che future ricerche si concentrino sulla dipendenza da cibo nella sua peculiarità (distinguendola da altre forme di patologia del comportamento alimentare).
Bibliografia
- Gearhardt, A. N., Corbin, W. R. (2009). Food addiction: an examination of the diagnostic criteria for dependence. Journal of addiction medicine, 3(1), 1-7.
- Gearhardt, A. N., Corbin, W. R. (2009). Preliminary validation of the Yale Food Addiction Scale. Appetite, 52(2), 430-436.
- Gearhardt, A. N., Grilo, C. M., DiLeone, R. J., Brownell, K. D. & Potenza, M. N. (2011). Can food be addictive? Public health and policy implication. Addiction, 106(7), 1208-1212.