La pandemia di coronavirus del 2019 (COVID-19) ha profondamente sconvolto la vita quotidiana in tutto il mondo. Ciò ha avuto profondi effetti sulla salute mentale e fisica.
Nel Gennaio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale. La combinazione di elevata mortalità e rapida diffusione del virus, ha portato a misure di salute pubblica senza precedenti su scala internazionale. Questo con conseguenti restrizioni significative della vita quotidiana di tutti noi.
A causa delle restrizioni imposte ai movimenti e spostamenti delle persone e delle modifiche nell’accesso al cibo durante il giorno, il lockdown ha impattato in modo significativo sulle abitudini alimentari, sull’esercizio fisico e sull’immagine corporea delle persone.
Cosa sappiamo ad oggi dell’impatto del COVID sull’alimentazione?
Italia
In un sondaggio su oltre 3500 intervistati durante il lockdown italiano (Di Renzo et al., 2020), più della metà dei partecipanti ha riportato un cambiamento nella percezione della fame e della sazietà.
In particolare il 17% delle persone ha riferito una riduzione dell’appetito mentre il 34% un aumento dell’appetito. La maggior parte dei partecipanti ha riportato un cambiamento nel loro consumo di cibi “sani” durante il lockdown. Nonostante ciò, il 48% del campione ha percepito di aver preso peso durante questo periodo.
Non ci sono stati, invece, cambiamenti significativi nei livelli di attività durante il lockdown per i partecipanti che riferivano di non aver mai svolto alcun esercizio anche prima della pandemia. Al contrario, nelle persone che già facevano attività fisica, la frequenza degli allenamenti è aumentata significativamente.
Resto del mondo
Un recentissimo studio basato su un sondaggio on line nel Regno Unito, ha esplorato i cambiamenti percepiti dell’alimentazione, nell’esercizio fisico e nell’immagine corporea in 264 partecipanti di età maggiore ai 18 anni.
Dall’analisi dei risultati, pare che le donne abbiano una maggiore propensione rispetto agli uomini, a ricercare una migliore regolarità alimentare. Ma riportano anche una maggiore preoccupazione per il cibo e un peggioramento dell’immagine corporea.
Le persone che hanno avuto in passato diagnosi di Disturbi Alimentari o che hanno attualmente un problema alimentare, hanno mostrato una modificazione nella percezione dell’immagine corporea particolarmente elevata e significativi cambiamenti nel mangiare e nell’esercizio fisico.
Questi risultati, fanno ipotizzare che ci sarà un aumento della domanda per la cura di anoressia, bulimia e binge eating. Si ipotizza anche un aumento di accesso ai servizi di persone che riportano sintomi più gravi.
L’attuale pandemia di COVID-19 pare quindi aver creato un contesto globale che potrebbe aumentare il rischio dello sviluppo dei disturbi alimentari.
Quali sono i fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi alimentari legati alla pandemia?
Interruzione delle routine quotidiane
In molti paesi la pandemia ha portato a restrizioni negli spostamenti e nelle attività quotidiane. Per limitare l’onda dei contagi, è stato incentivato lo smart working, la didattica a distanza per gli studenti. E’ stato chiesto di limitare ogni spostamento non strettamente necessario.
Tutto questo ha contribuito a modificare sostanzialmente le nostre abitudini, rimuovendo spesso le routine che scandivano le nostre giornate. Queste contribuivano a mantenere un’organizzazione spazio temporale equilibrata e sana.
La scarsa differenziazione tra luogo di lavoro (o di studio) e casa, orari flessibili, può aver portato alcune persone a fare un maggior numero di spuntini e snack.
Organizzare i pasti all’interno della famiglia era diventata in alcuni casi, la routine che maggiormente scandiva il tempo. Questo ha aumentato notevolmente il tempo trascorso a pensare al cibo e maneggiare cibo.
In alcune persone questo può aver avuto un impatto negativo sul rischio di sviluppare i disturbi alimentari.
Altre limitazioni alla libertà
Inoltre, le raccomandazioni per limitare attività fuori casa, come fare la spesa, combinate con la percezione della scarsità di alcuni prodotti alimentari, possono aver aumentato l’attenzione sul cibo e incoraggiato le persone a fare scorta di cibi (snack compresi) aumentando così la probabilità di comportamenti disfunzionali come le abbuffate.
Infine, le limitazioni all’accesso alle attività fisiche, in combinazione con l’aumento della disponibilità del cibo e conseguente aumento dei pensieri sul cibo, possono aver portato ad una maggiore preoccupazione per la forma e il peso corporeo.
Aumento dell’utilizzo dei social media e delle videoconferenze
Durante la pandemia, l’utilizzo dei social negli adolescenti e negli adulti, è significativamente aumentato.
Nei periodi di lockdown è diventata l’unica “finestra sociale” che ha permesso di mantenere dei contatti relazionali con le persone al di fuori del nucleo familiare.
Tuttavia, sappiamo che l’utilizzo dei media, compresi i social, è associato a un aumento del rischio di disturbi alimentari. Ciò a causa dell’esposizione continua a contenuti legati all’ideale della magrezza.
D’altra parte, l’utilizzo delle videoconferenze o della DAD, ha reso possibile lo svolgimento di alcune attività lavorative e la formazione dei giovani studenti. Questo però può aver contribuito ad aumentare le preoccupazioni per il proprio aspetto.
Infatti, attraverso questa tecnologia, la nostra attenzione è centrata sui volti e sull’aspetto, ma contemporaneamente lo schermo riflette anche il nostro volto. Ci troviamo quindi in una situazione virtualmente sociale, in cui è come se ci “guardassimo allo specchio” ripetutamente mentre si parla con altre persone.
Paura del contagio e disagio emotivo
La paura del contagio da COVID-19 può aver portato alcune individui ad avere preoccupazioni maggiori riguardo alla qualità del cibo.
In particolare potrebbero essere aumentate delle credenze sull’utilità della manipolazione della propria dieta (restringendo alcuni alimenti fino ad eliminarli e inserendone altri più “sani”). Ciò al fine di prevenire il contagio o ridurne e minimizzare la sintomatologia.
Non esistono prove scientifiche sull’utilità di mangiare alcuni cibi piuttosto che altri per prevenire il COVID-19. Tuttavia, la restrizione e l’eliminazione di alcuni gruppi alimentari possono portare le persone ad avere rigide regole dietetiche e predisporre così al rischio di sviluppare un Disturbo Alimentare.
La pandemia ha indubbiamente aumentato i livelli generali di stress e disagio emotivo. Le persone che tendono a utilizzare il cibo come regolatore emotivo, possono quindi, incorrere più facilmente in abbuffate e comportamenti di compenso per eliminare quanto ingerito in eccesso.
Quali sono i fattori protettivi che vengono meno in questo periodo di pandemia?
A livello mondiale, una delle principali strategie per contenere e limitare la pandemia è stata l’attuazione delle misure di distanziamento sociale.
L’isolamento sociale può costituire una barriera al supporto sociale, rendendo gli individui più vulnerabili allo stress derivante dalla situazione.
Allo stesso modo, anche altre attività utilizzate come aiuto nella regolazione emotiva (ad es. recarsi dallo psicoterapeuta, impegnarsi in attività piacevoli…) potrebbero non essere più accessibili agli individui. Al contrario, potrebbero utilizzare strategie di regolazione emotiva meno adattive.
Tra quest’ultime possiamo incontrare l’utilizzo di un’alimentazione restrittiva, un’alimentazione discontrollata o comportamenti di eliminazione.
Continuare a valutare i fattori di rischio (e quelli protettivi che vengono meno), anche in contesti culturali diversi, è la chiave per comprendere sempre meglio l’impatto che la pandemia ha avuto e avrà sullo sviluppo dei Disturbi Alimentari.