Le fobie hanno nomi propri e non dobbiamo commettere la leggerezza di confonderle con paure, timidezze, insicurezze e stress che fanno parte della vita comune e che, anzi, rendono tutti noi più “umani”, tratteggiando le peculiarità individuali.
Per fobia, in generale, intendiamo un “timore accusato e persistente che è eccessivo e irrazionale, scatenato dalla presenza o anticipazione di un oggetto o situazione specifica”; in altre parole, un’inspiegabile, estrema, sproporzionata e persistente paura nei confronti di determinate situazioni, oggetti, attività, creature viventi (animali o umane) o anche il solo pensiero di essi; pur non rappresentando di per sé una reale minaccia, l’oggetto della fobia può scatenare veri e propri comportamenti irruenti e disfunzionali da parte di chi ne soffre, che tende così a lasciarsi sopraffare dal terrore senza un’apparente giustificazione.
Probabilmente chiunque di noi si trovi a leggere questo articolo penserà che sia normale provare timore nel vedersi aggredito da qualcuno con un coltello o un altro oggetto acuminato, o che si emozioni di fronte a scene violente in cui siano utilizzati oggetti taglienti; così come è abbastanza frequente e “normale” avere un minimo timore nei confronti di oggetti come siringhe, bisturi o altri strumenti che associamo a situazioni in cui la nostra salute o la nostra vita siano in qualche modo da considerarsi in pericolo.
Tutto questo, di per sé, può essere considerato come una reazione fisiologica dell’organismo davanti a una situazione spaventosa, di minaccia o di pericolo.
Ma esiste una fobia specifica che rende impensabile poter anche solo immaginare di vivere una delle situazioni sopra citate; stiamo parlando della belonefobia (anche conosciuta come tripanofobia), altrimenti detta paura dell’ago, che viene definita come una paura persistente, anormale e ingiustificata di aghi e spilli e, nei casi più importanti, anche di forbici, coltelli e altri oggetti acuminati o taglienti.
I sintomi di questi pazienti sono nella maggior parte dei casi rappresentati da forte ansia e possono includere svenimenti, palpitazioni, tachicardia, sudorazione aumentata (soprattutto ai palmi delle mani), capogiri, pallore, nausea, sensazione di vertigine nel vedere l’ago o altri oggetti temuti.
A questa fobia possiamo vedere associate, come conseguenze dirette, anche altre problematiche, ovvero l’emofobia (paura del sangue) e la traumatofobia (paura delle ferite).
L’abbinamento di queste fobie rende davvero complicato gestire le proprie reazioni: la paura può divenire così forte da terrorizzare la persona fino a farle rifiutare addirittura interventi medici necessari. Le conseguenze e le ricadute sullo stato di salute possono quindi essere gravissime.
Le ricadute negative possono interagire anche sulla salute degli altri, infatti la belonefobia pare essere, ad oggi, la causa più citata dai non donatori (60%) come deterrente alla donazione di sangue o suoi derivati.
Sembra che si tratti di un disturbo abbastanza comune, poiché pare che circa il 10% della popolazione mondiale ne soffra, anche se non è meglio specificato in che misura. Si pensa che questa fobia possa avere una causa genetica, poiché molti di coloro che ne soffrono hanno un parente con la stessa paura, ma non è stato fino ad oggi dimostrato in alcun modo. Pare inoltre che gli uomini ne siano più colpiti delle donne, nonostante queste ultime siano statisticamente più fobiche degli uomini.
Chi soffre di belonefobia, può presentare forti stati di ansia in situazioni in cui gli oggetti appena citati non rappresentino una vera e propria minaccia concreta. Ad esempio, per un belonefobico, doversi recare in un laboratorio di analisi per farsi un esame del sangue può rappresentare uno stimolo ansiogeno estremamente forte; oppure vedere che qualcuno manipola un coltello mentre cucina, può portarlo ad avere una vera e propria crisi di ansia.
In casi estremi, per tentare di far fronte alla propria paura, le persone con belonefobia evitano di maneggiare gli oggetti tanto temuti o addirittura li eliminano dagli ambienti che frequentano; cercano di non trovarsi in situazioni in cui il rischio di entrare in contatto (anche solo visivo) con tali oggetti è molto alto; evitano analisi, visite mediche, visite dentistiche e quant’altro, solo per la paura di poter avere a che fare con aghi o oggetti acuminati e taglienti.
Nei casi più gravi, così come per tutte le altre tipologie di fobie specifiche, le persone belonefobiche finiscono per evitare sempre di più e sempre in maggior misura qualunque ambiente, contesto o persona, per il timore che questi possano portarle ad entrare involontariamente in contatto più o meno diretto con l’oggetto della loro paura; questo può portare queste persone a isolarsi socialmente e affettivamente, limitando il più possibile i contatti con il mondo esterno e rendendo quantomeno difficile lo svolgersi normale della loro vita.
Benché pare che questa fobia sia solitamente presente fin dalla gioventù, anche se è possibile che la persona riferisca di avere attraversato diverse fasi di gravità del problema, un momento specifico, per le donne, in cui questo può acuirsi improvvisamente e diventare disfunzionale per la loro salute, può essere rappresentato dalla gravidanza.
In questi casi, le donne manifestano grandi difficoltà al momento di affrontare i controlli ematici (che ormai sono previsti mensilmente dal sistema sanitario nazionale), nel caso di possibili esami invasivi prenatali (come amniocentesi o villocentesi) e, infine, in caso di necessità di essere sottoposte ad anestesia locale per il parto.
Altre situazioni in cui il problema può creare difficoltà importanti per l’individuo che ne soffre e preoccupazione per chi gli sta intorno, possono essere interventi chirurgici (anche se programmati e non di urgenza), incidenti stradali, semplici vaccini, cure che prevedano l’uso di siringhe o flebo, prelievi glicemici nel caso di check-up per il diabete, ecc.
Come sottolineato in un’intervista dal Dott. Ottavio Perini, presidente comunale di uno dei maggiori centri di raccolta sangue nazionali: “Nella nostra lunga esperienza lo vediamo tutti i giorni: se qualcuno ha paura dell’ago non viene a donare. Gli accorgimenti e le attenzioni nei confronti delle donatrici e dei donatori che temono la vista del sangue possono essere moltissime e abbiamo strategie specifiche dall’effetto tranquillizzante. Coprire la sacca ma anche fare chiacchierare i donatori sono la prima accortezza nei confronti di donatori che vivono la vista del sangue con forte stress. Ma la paura dell’ago va affrontata prima di entrare in sala prelievi. È su questo fronte che dobbiamo concentrare gli sforzi.”
Proprio nell’ottica di agire prima di aver bisogno di un prelievo, la psicoterapia Cognitivo-Comportamentale può rivestire un ruolo centrale, aiutando la persona a riconoscere subito il problema, ottenendo così una diagnosi quanto più precocemente possibile, e a superarlo nell’arco di poche settimane grazie all’utilizzo di tecniche specifiche.
Infatti, proprio perché questa fobia rischia di mettere in pericolo la salute e pregiudicare la possibilità di effettuare analisi cliniche, trovare la soluzione più adatta alle proprie esigenze è il primo passo conseguente alla diagnosi, e in questo degli specialisti adeguatamente preparati in materia possono giocare un ruolo decisivo.