Le emozioni sono un aspetto intrinseco dell’esperienza umana. Influenzano il modo in cui percepiamo, pensiamo e interagiamo con il mondo che ci circonda.
Tuttavia, la gestione efficace delle emozioni richiede processi complessi di regolazione emotiva. Esaminiamo più da vicino questo meccanismo cruciale che plasma la nostra vita emotiva.
A cosa ci riferiamo precisamente quando parliamo di regolazione emotiva?
Nella complessità del nostro mondo interiore, la regolazione emotiva emerge come una competenza fondamentale per la nostra salute mentale e il nostro benessere complessivo.
Potremmo definirla in sintesi come il processo attraverso il quale riusciamo ad accedere ad una varietà di emozioni, sappiamo identificarle chiaramente e riusciamo a gestirle, modularle e adattarle al momento e al contesto nei quali si presentano.
In sostanza, è la capacità di influenzare il nostro stato emotivo per poterci adattare alle sfide e alle situazioni che affrontiamo quotidianamente.
Sviluppo delle strategie di regolazione emotiva
Le strategie di regolazione emotiva possono essere viste in termini di intelligenza emotiva e attualmente è sempre più preponderante l’idea che la regolazione emotiva giochi un ruolo critico nell’eziologia e nel mantenimento della psicopatologia.
Nel bambino quando è possibile e l’ambiente lo permette si sviluppano parallelamente sia processi interni, in cui è il bambino che agisce autoregolandosi (regulation in self), che processi esterni (regulation in other), in cui qualcuno agisce per regolare le sue emozioni.
In altre parole come esseri umani possiamo gestire le nostre emozioni agendo su noi stessi, e in questo caso parliamo di autoregolazione. Oppure affidandoci ad altri che ci fanno sentire al sicuro, e in questo caso parliamo di co-regolazione.
Se è vero che la regolazione delle emozioni sia inizialmente maggiormente mediata dal caregiver e successivamente, nel corso dello sviluppo, si presenti più come una modalità autonoma, è altresì vero che autoregolazione e co-regolazione si presentano come abilità più interconnesse di quanto sembri.
Se ci pensiamo bene già nei primissimi giorni di vita il bambino adotta tecniche di autoregolazione, come ad esempio la suzione del pollice o del ciuccio. Allo stesso tempo non è difficile immaginare un adulto sano e funzionale che in un momento di difficoltà riesce a regolare il proprio vissuto emotivo solo attraverso una connessione sicura con uno o più esseri umani.
Se l’importanza dell’autoregolazione è ormai nota, vediamo insieme invece quali aspetti rendono anche la co-regolazione indispensabile per l’essere umano.
Il ruolo dell’attaccamento
Numerosi studi testimoniamo che le abilità di regolazione emotiva si sviluppano tanto più quanto più il bambino è inserito in un contesto familiare in cui sviluppa un attaccamento sicuro.
Come teorizzato da John Bowlby, il padre fondatore della teoria dell’attaccamento, il bambino che cresce alla presenza di un caregiver che lo fa sentire al sicuro in un clima di armonia, fiducia e libertà di esplorazione. Un caregiver che rappresenta quindi un porto sicuro a cui tornare riesce a sviluppare processi di gestione emotiva più efficaci e duraturi nel tempo.
Sentirsi al sicuro con l’altro ci permette infatti di esplorare il mondo, correndo il rischio di provare qualsiasi tipo di vissuto, in quanto abbiamo sempre qualcuno da cui tornare a cui affideremo e che accoglierà qualsiasi tipo di emozione.
La persone che hanno fatto esperienza di un legame sicuro come filo conduttore della propria vita riusciranno meglio a sviluppare modalità autonome di regolazione e gestione dei propri vissuti: riusciranno a mantenere meglio l’equilibrio a ogni livello di esperienza emotiva.
Co-regolazione nell’arco di vita
Secondo Bowlby l’attaccamento va “dalla culla alla tomba”. Il beneficio dell’utilizzo delle strategie di co-regolazione può essere visto quindi nel nostro arco di vita.
La Kangaroo Mother Care (Terapia del Marsupio) viene ormai utilizzata in tutto il mondo e i suoi benefici sono indiscussi. Posizionare un neonato a contatto con il corpo della madre (o dell’altro genitore) in modo che possa sintonizzarsi con il suo battito cardiaco e attraverso questo contatto e il calore percepito possa regolarsi.
Tra i tanti benefici troviamo il miglioramento delle funzionalità cardiorespiratorie, della regolazione dei ritmi vitali, riduzione del rischio di infezioni nonché migliori esiti comportamentali, emotivi e relazionali.
Il cosleeping
Sono sempre più presenti (nonché discusse) evidenze che il co-sleeping possa essere praticato finché il bambino non si sente sicuro e volenteroso di uscire dal lettone per poter dormire in autonomia nella propria stanza.
Sebbene vada compresa bene qual è l’intenzione con cui i genitori approvano il dormire insieme al figlio questa pratica rimane molto diffusa e i benefici sono incoraggianti (il co-sleeping è ancora molto discusso dal mondo clinico e pedagogico in quanto spesso racchiude ansie e preoccupazioni sia dei bambini che dei genitori stessi. Rimane fondamentale comprenderne l’intenzione).
Nella crescita fino all’età adulta la solitudine rappresenta forse una delle minacce più universalmente riconosciute, basti pensare al recente periodo di pandemia da coronavirus.
Questo perché sebbene lo stare da soli per un individuo adulto può essere visto anche come un piacevole spazio personale, quando ci si sente costretti allo stare da soli rimaniamo bloccati in un senso di minaccia costante. Questo può accadere se come durante il COVID-19 non possiamo letteralmente uscire e connetterci oppure se, alla luce storici o recenti traumi relazionali, il nostro sistema di connessione va in tilt e l’altro diventa minaccioso e inaffidabile.
Se abbiamo sviluppato uno schema dell’altro come non sicuro, rimarremo paralizzati in un loop in cui da un lato sentiamo la mancanza di connessione, dall’altro il nostro sistema protettivo ci impedisce di affidarci.
In questi casi, riuscire a sintonizzarci di nuovo con altre persone e tornare quindi ad usare anche la co-regolazione come sistema protettivo risulta fondamentale.
Psicoterapia: autoregolazione o co-regolazione?
Siamo sempre più immersi in un epoca storia dove veniamo invitati a “fare da soli” e a farcela senza aiuto”. La debolezza, la vulnerabilità non sono più percepite come condizioni fisiologiche e identitarie dell’essere umano ma si tende a patologizzarle e a considerarle in termini inadeguatezza e disvalore.
La società neoliberale in cui siamo considera la mente umana come l’origine del problema: se siamo depressi o ansiosi o non riusciamo ad essere produttivi è perché c’è qualcosa di sbagliato in noi.
Va da se che abbiamo inizialmente assistito, anche nel panorama clinico, ad un aumento dell’attenzione verso le strategie di autoregolazione. Ciò, se da un lato ha come scopo il far sentire l’individuo autoefficace nel gestire le difficoltà quotidiane, dall’altro mantiene importante l’idea di autonomia.
Psicoterapie e regolazione emozionale
Alcuni dei più utilizzati approcci terapeutici vedono nella regolazione emotiva il nucleo del lavoro psicoterapico, come ad esempio la Dialectical Behavior Therapy – DBT sviluppata da Marsha Linehan.
Questi approcci offrono numerose strategie di autoregolazione emotiva e aiutano individui ormai di tutte le età a imparare tecniche efficaci per mantenere il proprio livello di attivazione psicofisiologica. Questo per mantenersi all’interno di quella che Daniel Siegel ha chiamato “finestra di tolleranza emotiva”, ovvero quel range in cui riesco a gestire le mie emozioni in modo equilibrato e armonico.
Attualmente abbiamo però osservato la nascita sempre maggiore di modelli che si scostano dall’idea di cercare migliori terapie e strategie per i singoli individui e approcciano una visione in cui invece diventa nucleare il prenderci cura l’uno dell’altro.
Questo costrutto può essere controverso in quanto significa che abbiamo molto meno controllo sulla nostra felicità e abbiamo più bisogno di costruire un contesto sociale sicuro e prenderci cura dei nostri bisogno sociali: in sintesi, non dipende tutto da noi.
Fra gli approcci che sposano questa recente e interessante direzione troviamo fra altri approcci la Teoria Polivagale sviluppata da Stephen Porges e la Terapia focalizzata sulla Compassione (CFT – Compassion Focused Therapy) ideata da Paul Gilbert. Vediamone le caratteristiche principali in questi termini.
Teoria Polivagale e co-regolazione
Nella sua Teoria Polivagale Porges afferma che la connessione è un imperativo biologico.
Uno dei tre principi di questo modello infatti afferma che “attraverso la co-regolazione ci connettiamo agli altri e creiamo un senso di sicurezza condiviso”.
Come molti mammiferi l’uomo è un animale sociale e la nostra sopravvivenza dipende dalla co-regolazione del nostro stato neurofisiologico attraverso l’interazione sociale: non conta solo sopravvivere ma anche sentirsi al sicuro in relazione agli altri.
Come già anticipato sopra, questo crea spesso un conflitto: se l’ambiente e gli altri sono minacciosi rimarrò intrappolato tra la spinta alla sopravvivenza e la necessità di connettermi.
Nella teoria di Porges un ruolo centrale è giocato dal nervo vago, che rappresenta un sistema di coinvolgimento sociale: il sistema sociale di ingaggio che si attiva tramite il nervo vago diventa un vero e proprio circuito di sicurezza, che ci permette di creare connessioni regolando lo sguardo, il tono di voce, la prossemica, la gestualità.
Attraverso la regolazione reciproca dei nostri sistemi nervosi creiamo relazioni di fiducia e ci sentiamo al sicuro.
Co-regolazione e Compassion Focused Therapy (CFT)
Paul Gilbert ha fondato il suo modello terapeutico (la CFT) sull’assunto che “creare connessioni di cura compassionevoli con se stessi e con altri accudenti favorisce lo sviluppo di una mente sana e funzionale”. Un individuo che ha compassione di sé ma che non ha interesse o capacità di aiutare gli altri e di essere aiutato dagli altri, alla fine mostrerà difficoltà e costruirà un problema per la sua comunità.
Il concetto di co-regolazione sembra quindi centrale in questo modello terapeutico in cui il contesto sociale conta tanto quando la biologia dell’essere umano.
Gilbert definisce la compassione come “una sensibilità verso la sofferenza di noi stessi e degli altri, unita ad un profondo impegno nel tentare di alleviarla o prevenirla”. Uno dei contributi di questo approccio è inoltre il fatto che la compassione può avere tre direzioni: la compassione verso se stessi, la compassione verso gli altri e la compassione ricevuta dagli altri.
Essere empatici e compassionevoli con noi stessi non basta per il nostro benessere: dobbiamo imparare ad aprirci all’esterno e a essere in equilibrio tra la possibilità ci comprendere e aiutare gli altri e la disponibilità a fidarci ed affidarci alle cure degli altri.
Spesso una delle cose più difficili per gli esseri umani è proprio quest’ultima via della compassione: se siamo diventati bravi ad autoregolaci e anche a prenderci cura dell’altro in difficoltà, non è detto infatti che siamo in grado di essere vulnerabili davanti al prossimo e in questo caso la possibilità di co-regolazione salta.
La co-regolazione nella relazione terapeutica
Da anni si è visto uno spostamento delle psicoterapie verso nuclei di natura più emotiva.
Sempre più approcci sposano l’idea che il vero cambiamento all’interno della terapia sia mediato dalle emozioni che si vanno a toccare, esplorare e regolare incontro dopo incontro: numerosi studi empirici sul cambiamento riconoscono all’emozione il grande potere di riuscire a modificare le prospettive e a portare alla consapevolezza di nuove informazioni adattive su di sé e sugli altri.
Le nuove esperienze emotive che possiamo sperimentare in terapie permettono un graduale rimodellamento dei nostri modelli: in questo modo avviene il cambiamento.
Per poter far sì che tutto ciò avvenga, come già Bowlby sosteneva a fine ‘900, il terapeuta deve essere una base sicura per il paziente, e mettere in atto quei meccanismi di co-regolazione che attraverso l’attaccamento promuoveranno la capacità innata di crescita di ogni individuo.
Anche il terapeuta nel ruolo di figura di attaccamento potrà quindi fornire le condizioni per cui il cambiamento possa avvenire nel modo migliore: esplorando il nostro mondo interno e i nostri modelli interpersonali in uno spazio dove ci sentiamo accolti, di fronte ad una figura che percepiamo salda, saggia e desiderosa di prendersi cura di noi riusciremo a fare esperienze emotive nuove e molto più adattive.
Cosa concludere?
La regolazione emotiva sembra essere un aspetto fondamentale se non centrale del nostro benessere.
Autoregolazione e Co-regolazione sono due processi indispensabili e soprattutto interconnessi. Se ci focalizziamo e ne alleniamo solamente uno finiremo per rinforzare il conflitto che c’è tra essere autonomo ed essere in relazione.
Questi due aspetti si influenzano a vicenda, sono come le due gambe su cui si poggia e si sposta l’essere umano. Se investi solamente in uno dei due camminerai scomodo, ti sentirai sbilanciato, il tuo corpo farà male e potrai cadere, farti male e magari sarai costretto a fermarti. Se invece nutri entrambi questi aspetti e scegli di muoverti attraverso entrambi queste gambe allora potrai camminare in equilibrio e in armonia, sentendoti in quella zona di “interpdipendenza dall’altro” in cui quando sei da solo senti le tue relazioni stabili e quando sei in relazione senti il tuo spazio personale al sicuro.
Bibliografia
- Akabri, E. e. (2018). Kangaroo mother care and infant biopsychosocial outcomes in the first year: A meta-analysis. Early Human Developement, 122, p. 22-31.
- Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Applicazioni clincihe della teoria dell’attaccamento. Raffaello Cortina Editore.
- Gilbert, P., & Simos, G. (2023). Compassion Focused Therapy. Guida pratica alle applicazioni cliniche. Erickson.
- Jhonson, S. (2021). La teoria dell’attaccamento in pratica. La terapia focalizzata sulle emozioni (EFT) nel setting individuale, di coppia e familiare . Franco Angeli.
- Montano, A., & Iadeluca, V. (2023). La Teoria Polivagale in pratica. Wired to Connect: un programma teorico-esperienziale per gruppi. Erickson.
- Porges, S. (2014). La teoria polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione. Giovanni Fioriti Ed.