È ormai risaputo che, rispettando determinate condizioni, l’attività fisica induca un miglioramento dello stato di salute. Ciò che invece merita di essere approfondito è che a una pratica sportiva possono essere connessi determinati benefici psicologici, secondo l’attività fisica praticata.
L’effetto terapeutico dello sport sulla sfera psichica sembra evidente: esso è fondamentale per uno sviluppo armonico della personalità, è strumento di educazione, di socializzazione, di equilibrio e di terapia, è fondamentale nello sviluppo e nella crescita dell’individuo ed è di notevole aiuto nei casi di nevrosi e, spesso, di psicosi.
È ormai opinione comune che lo sport sia quindi per tutti. Esso può essere definito in base ad almeno quattro elementi psicologicamente importanti: movimento, gioco, norma, agonismo. In base a questi elementi potrebbe risultare un elemento fondante, determinante se non addirittura decisivo per un normale e armonico sviluppo psichico del bambino e dell’adulto.
Nell’attività fisica non c’è solo il vivere la propria aggressività, c’è anche l’istinto, l’amore, la sessualità. Lo sport può esercitare un’enorme influenza, perché c’è uno scarico di tensioni verso ideali specifici.
L’attività sportiva può dunque definirsi “psicoterapeutico-simile”, perché favorisce l’emancipazione dell’Io, la sua naturale espressione, e un sano ridimensionamento della realtà. Da essa sono soliti trarre vantaggio soprattutto soggetti nevrotici di età compresa tra i 20 e i 30 anni (specialmente attraverso attività quali, per esempio, le arti marziali).
In alcuni gruppi di terapia con soggetti nevrotici, si è visto come il praticare uno sport portasse a risultati positivi, come un minor bisogno di psicofarmaci o lo sviluppo di un maggiore autocontrollo. Antonelli parla di sport come “sentinella della salute”.
Se lo sport è efficace come ausilio alle psicoterapie tradizionali e alle terapie farmacologiche per le nevrosi, può esserlo in realtà anche per le psicosi; in tali casi, però, ci si trova di fronte a problemi che l’attività sportiva può solo attenuare e, solo entro certi limiti, contenere.
In particolare, le discipline meglio conosciute come arti marziali, che per propria natura fondono corpo e mente, hanno in questo senso virtù terapeutiche. Le arti marziali non possono essere definite precisamente dal termine di sport, come lo intendiamo oggi: questo perché sono diverse nella concezione e negli scopi. Hanno una tradizione e una componente filosofica e formativa che vanno infatti ben oltre la pura parte agonistica.
Esse sono nate per motivazioni ed esigenze precise, e anche il loro percorso storico ha un suo specifico significato. Per loro stessa definizione, lo scopo principale è il perfezionamento del carattere dell’individuo.
Così come sono giunte a noi oggi, le arti marziali possono essere suddivise in due grandi classi: le arti marziali “morbide” e le arti marziali “dure”, così evolute per fini e scopi diversi.
La scuola dura si avvale di colpi diretti e precisi, con lo scopo, si potrebbe dire, di opporre forza alla forza dell’avversario. Arti marziali dure sono, per esempio, il kung-fu, la thai-boxe, il full contact.
La scuola morbida si caratterizza invece per movimenti ampi, circolari, lenti e, appunto, morbidi, senza rigidità muscolare: lo scopo è principalmente dirigere la forza dell’avversario contro l’avversario stesso. Arti marziali morbide sono, per esempio, il tai chi chuan, il judo, l’aikido.
A ben guardare però molto spesso la suddivisione tra arti dure e morbide non è così marcata: tra gli stili morbidi (definiti anche “interni”, che enfatizzano la filosofia e la meditazione) e gli stili “duri” (definiti anche “esterni”, che enfatizzano invece la competizione e il combattimento) ci sarebbe in realtà un continuum.
Un’arte marziale è una delle poche attività che può essere praticata lungo l’intero arco della vita.
Non è necessario avere uno scopo da raggiungere, basta semplicemente vivere ciò che si sta facendo. L’arte marziale è un viaggio in cui è importante arricchirsi lungo il percorso. L’importante è il processo, non il prodotto.
I paralleli tra la psicoterapia e le arti marziali sono diversi. Si può affermare che tutte le arti marziali possono essere concepite come una sorta di percorso psicoterapeutico e, per questo motivo, ottimo ausilio al trattamento classico.
L’efficacia dell’approccio fisico è attribuibile alle basi fisiologiche dell’esperienza.
Piaget mostrò che i bambini imparano primariamente attraverso vie visuali, tattili e cinestetiche, che sono più tardi integrate in cognizioni più elevate.
Stern sostenne che la modalità fisica dell’esperienza è presente lungo tutta la vita, e la capacità di ciò che egli chiama “percezione transmodale” indica che tale apprendimento fisico è automaticamente trasportato alla sfera cognitiva ed emozionale.
Fuller ritiene che alcune arti marziali posseggano qualità che sostengono la salute psicologica e promuovono cambiamenti personali in una direzione socialmente desiderabile.
Nardi esamina i paralleli tra la Rational Emotive Therapy di Ellis e alcuni principi della pratica marziale (per esempio il concetto di mushin, cioè uno stato in cui la mente non si fissa in particolar modo su qualcosa, ma rimane aperta e disponibile verso tutte le cose e riflette come farebbe uno specchio).
Come Parsons, egli considera le capacità di uno psicoterapeuta e di un maestro di arti marziali come essenzialmente complementari.
Gleser e Brown fanno notare che il concetto di ju (morbido), cioè il cedere per usare la forza dell’avversario contro l’avversario stesso, è un concetto che è stato inconsapevolmente applicato in terapia dinamica e nelle psicoterapie strategiche di parecchi Autori fra cui: Erikson, Watzlawitck, Rogers, Bandler e Grinder.
Secondo Seitz e collaboratori le arti marziali hanno molto da offrire alla psicoterapia, particolarmente in termini di energia (chi o ki), per quanto riguarda il corpo, la mente e le relazioni interpersonali. Un’efficace gestione dell’energia è una dimensione importante nelle arti marziali, come nelle professioni riguardanti la salute mentale.
A ciò si aggiungono anche i concetti di distanza, tempi e posizione. Weiser e collaboratori propongono le arti marziali come una legittima forma di terapia sia per le nevrosi sia per alcune malattie mentali croniche, già di per se stesse, ma soprattutto in aggiunta alla psicoterapia standard: esse sono tanto più utili in sostegno alla psicoterapia in soggetti che hanno difficoltà di relazione con una modalità verbale, come pazienti con ansia sociale, disturbi psicosomatici e alessitimia.
Ancora più interessante, ciò che viene dimostrato da Kutz e collaboratori, riguardo alla possibilità delle arti marziali di evidenziare problemi che, se osservati e riconosciuti per tempo da maestri esperti, possono essere trattati in psicoterapia da specialisti del settore: si rivelano per esempio in maniera chiara le difficoltà di relazione, i sentimenti di paura e la regolazione delle distanze interpersonali.
Così la psicoterapia, unita alla pratica delle arti marziali può direttamente migliorare la salute mentale: favorisce l’integrazione corpo-mente, il rilassamento, l’attenzione, la comunicazione, l’autoaccettazione.
Riguardo agli effetti a breve termine delle arti marziali esistono ancora pochi studi, ma sembrerebbe comunque necessario un minimo di attività perché possano avvenire cambiamenti significativi.
Da quando si è ritenuto che le arti marziali possano offrire benefici psicologici, un grande numero di persone ha guardato ad esse come a un valido ausilio alla psicoterapia nel trattamento di alcuni disordini o disagi psicologici.
Guthrie ha trovato, per esempio, come la combinazione tra psicoterapia e arti marziali sia stata d’aiuto soprattutto a donne vittime di abusi psicosessuali; una certa utilità è stata evidenziata anche per il trattamento dei disturbi alimentari, abusi di sostanze e crescita in famiglie disfunzionali.
Le arti marziali, risulterebbero utili anche nella psicoterapia dei soggetti disabili così come di pazienti psicotici violenti, difficilmente raggiungibili con una psicoterapia standard, attuta nel modo classico.
Anche nella psicoterapia rivolta agli adolescenti con problemi comportamentali e a bambini con problemi comportamentali, le arti marziali fornirebbero maggiori incrementi nell’autostima rispetto al solo trattamento tradizionale.
Va infine considerato che le arti marziali possono essere controindicate in alcuni casi: in particolare, possono non essere adatte per soggetti che potrebbero usare le tecniche di combattimento in maniera inappropriata, come personalità sociopatiche, o persone che fanno abuso di droghe o altre sostanze.
A seguito delle ipotesi sulle possibilità psicoterapeutiche offerte, si prospettano perciò molteplici sviluppi di ricerca, riguardo al loro impiego come integrazione o supporto alla psicoterapia tradizionale.